L’inizio dell’estate di ogni anno porta con sé una grande certezza: il MiAmi Festival. Giunta ormai alla sua diciannovesima edizione, questa rassegna non finisce mai di stupire per il suo continuo dialogo tra passato, presente e futuro. L’evento milanese ormai quasi storicizzabile è la cartina tornasole di come sta la nostra musica, scrigno di passati gloriosi e catalizzatore quasi unico di novità.
La casa del Festival, dal 22 al 24 maggio 2025, sarà questa volta in un altro spazio più ampio dell’Idroscalo, il Villaggio del Bambino, con le braccia sempre aperte a tutti coloro che non vogliono fare a meno di un’oasi preziosa per la tutta la musica italiana.
Tutti i dettagli sono minuziosamente comunicati sulla pagina dell’evento. Noi, come ogni anno, vi forniamo senza spoilerare troppo qualche suggerimento su nomi, volti e momenti da non perdere in questi tre giorni di musica non stop, in una guida per non perdersi (troppo) fra le miriadi di proposte che si alterneranno sui palchi.
22 Maggio
Bladee
Bladee è sicuramente uno degli artisti più indecifrabili e influenti dell’ultima decade. Viene da Stoccolma, ma la sua musica sembra provenire da un’altra dimensione: autotune spinto, suoni dilatati in salsa electro-rap e testi criptici come mantra digitali. Con il collettivo svedese Drain Gang ha ridefinito il concetto di underground, diventando un’icona globale senza mai cercare l’approvazione del mondo musicale più mainstream. Il suo rap non è rabbia, semmai visione. Bladee non cerca di impressionare, semmai di trasportare: dentro atmosfere rarefatte e riferimenti visivo sonori che mischiano moda, internet e introspezione. Al Mi Ami, durante la prima serata, porterà proprio questo: una performance sospesa in cui tutto il resto, per un attimo, smette di avere senso.
23 Maggio
Fast Animals And Slow Kids
Alla fine della prima decade degli anni zero, sia nei circuiti mainstream che in quelli underground si sentiva parlare di rock sempre meno; i motivi sono ignoti e la musica, per fortuna e per quei pochi che ancora ci credono, non è una scienza esatta. Poi nel 2013 è arrivato Hybris, il primo disco dei FASK e in tutti coloro che avevano perso l’aquilone del rock tenendo però lo spago si è riacceso qualcosa. Dopo qualche mese di distanza abbiamo avuto tutti la conferma, con il fortunatissimo Alaska, che i quattro ragazzi di Perugia facessero veramente sul serio. Aimone Romizi e associati hanno riportato l’attenzione su un modo di fare musica che rischiava, perlomeno nel nostro stivale, di diventare cartolina di un passato che fu e che non ci saremmo più potuti permettere.
I FASK hanno riportato il rock al centro della scena senza fronzoli o velleità di sorta: chitarre distorte, poetica essenziale, diretta ma non per questo povera di significato. Attorno a questi ragazzi si è sviluppata una comunità coesa e autentica. Forse è cominciato veramente tutto undici anni fa, davanti al palco della collinetta Jack del MiAmi,dove chi scrive ricorda un’esplosione di energia vitale sopita da tempo.
Prima stanza a destra
M83, Liberato, Bon Iver? Queste le prime domande di coloro che hanno posato l’orecchio su Amanda di Prima stanza a destra, pubblicato da Sugar poco tempo fa. Domande complicate e “troppo italiane”, come direbbe Stanis La Rochelle, star della serie tv cult Boris. Poco sappiamo sull’identità di questo progetto ma la certezza è che nella prima stanza a destra di questo appartamento forse milanese si produce musica, oltre che onirica, assolutamente autentica. L’esperienza per l’ascoltatore è immersiva e scandita da dichiarazioni d’amore sincere, spesso sofferte ed affidate ad una voce metallico-androgina che ci guida in un viaggio al momento unico nella storia del panorama indipendente italiano.
Le poche informazioni disponibili su Prima stanza a destra si trovano su Instagram, dove in quasi tutti i post del progetto appare una finestra sulla città, al crepuscolo, dove le luci esterne delle case dei palazzi di fronte dialogano con le spie delle tastiere elettroniche e dei campionatori presenti nell’appartamento; il tutto contornato da frammenti di musiche e testi di canzoni che appaiono e un’ombra dietro gli strumenti pronta a guidarci nella notte del MiAmi.
Delicatoni
Quando qualcuno dice “jam session” l’immaginario corre verso quei locali di provincia che utilizzano questo riempitivo per dare fiato alla programmazione settimanale. Spesso a metà di queste serate arriva il virtuoso della chitarra che alza l’amplificatore per condividere i suoi assoloni egoriferiti. Le jam session in realtà sono una cosa seria, soprattutto se a praticarle sono i Jazzisti Italiani da Berghain, titolo del primo disco dei Delicatoni che sembra quasi essere uno pseudonimo.
La base dei quattro musicisti di cui stiamo parlando (Antonio Bettini, Giorgio Manzardo, Claudio Murru e Ian Cibic) è sicuramente il jazz,ma sublimato in un disordine sonoro che abbraccia tanti altri generi, dall’elettronica alla dance music. L’attitudine da collettivo democratico anti-concerto con una passione smodata per la musica è palpabile in molti episodi del nuovo disco Delicatronic, che hanno precisato non essere un tributo a Cosmo: basta ascoltare in cuffia, magari chiudendo gli occhi, la traccia Jam per essere trasportati in luoghi in cui il microfono aperto è una cosa seria, per davvero. Tornano al MiAmi dopo due anni, con la stessa voglia di farci ballare.
Gio The Lizia
Il suo ritorno al Mi Ami sa di consacrazione più o meno definitiva: un palco importante per un artista che ha imparato a stare sotto i riflettori senza mai alzare troppo la voce. Nato all’inizio di questo secolo, siciliano trapiantato a Bologna per studiare Giurisprudenza (scelta che rivendica sempre con grande orgoglio), Gio The Lizia è cresciuto a pane, Strokes, indie e rap romano. Nel suo essere cantautore contemporaneo c’è tutta l’attitudine naturale alla contaminazione: chitarre acustiche, drum machine e citazioni pop. Tutto funziona e tutto torna. Chi ha sentito per la prima volta quella voce quasi rotta e implacabile sul palco di questo festival lo ritroverà sicuramente con grande piacere.
Ele A
E’ un po’ che ne sentiamo parlare di questa Ele A. Nata e cresciuta in una città insospettabile per un’artista rap / pop / urban (come preferite) come Lugano, ciò che colpisce della giovane artista svizzera, oltre alle inaspettate produzioni soul che la accompagnano, del tutto fuori sync per la tendenza urban contemporanea che strizza l’occhio a suoni sempre più elettronici, sono le dinamiche di scrittura delle barre.
Classe 2002, la ragazza ha 23 anni e racconta storie, situazioni ed emozioni personali con la consciousness di una persona di tutt’altra età, in contrapposizione con una direzione musicale del genere che va verso il flex estremo e la cafonaggine. Che tu faccia baddie moves o meno, vale la pena andare a vedere che cosa fa lei sul palco.
Laguna Bollente
Si chiamano Laguna Bollente, come il locale di scambisti veneziano aperto fino a non molto tempo fa. Dunia Maccagni e Elia Fabbri sono una creatura post-punk sporca e maleducata e bellissima, che ormai da anni fa vibrare la laguna che li ospita con suoni irriverenti. Se li cerchi su Instagram per vedere chi li segue e quanto sono grandi, troverai un profilo con 22 followers e una bio che dice “Non sono loro”. Chissà se sono loro. Nel dubbio ci sono comunque finiti anche senza social sul palco della Musica Importante A MIlano.
24 Maggio
Diodato
“Le parole sono importanti!” Così tuonava Nanni Moretti a bordo piscina contro una giornalista in un film di qualche anno fa. Non sappiamo se Diodato sia un fan del regista romano ma la sua cifra stilistica ci dice che nelle sue canzoni ogni parola è al posto giusto, sempre. E non solo. Diodato è l’antitesi perfetta del caos, della prepotenza, dell’ego smisurato e di tutto ciò che sta inquinando il nostro Mondo, musica compresa. Ciò non è sinonimo di apatia o timidezza, tutt’altro. Diodato è uno dei pochi cantautori veramente impegnati che resistono e che incarnano ancora il senso di questa complicata parola. Basti pensare alla direzione artistica del concertone del primo maggio della sua Taranto, fino ai recenti incontri con gli studenti delle scuole più periferiche e disastrate d’Italia e tanto altro ancora. Azioni decisive, silenziose, che però fanno breccia, proprio come la sua musica, a volte sussurrata, suonata in punta di piedi e allo stesso tempo potentissima..
Il Teatro Degli Orrori
Il Teatro degli Orrori è un fenomeno musicale unico formato da Gionata Mirai, Giulio Favero, Francesco Valente e Pier Paolo Capovilla, uno dei performer più iconici della cosiddetta scena indipendente italiana, quando ancora questa etichetta non era un contenitore vuoto. Fu lui stesso ad annunciare la fine del progetto e del sodalizio artistico con gli altri tre musicisti citati sopra. In questo 2025 musicalmente pieno di sorprese era difficile immaginare che il Teatro sarebbe ritornato prepotentemente sulla scena ma, come recita il manifesto del loro tour, Mai dire Mai. La sera di sabato 24 maggio per Capovilla e soci sarà un ritorno nella casa del MiAmi e nella mente di molti sarà come rivivere quell’edizione 2010 (chi scrive era presente), in cui la band, forte dell’uscita dell’album A Sangue Freddo, destinato per sempre a cambiare i paradigmi di tutto ciò che era stato indie fino a quel momento, a colpi di riff e messaggi politici chiari e durissimi aveva letteralmente lasciato buona parte del pubblico a bocca aperta. Non resta che conservare tutta la carica possibile per questo attesissimo ritorno.
Joan Thiele
In occasione delle recenti presentazioni del suo fortunatissimo Joanita, Joan Thiele ha più volte dichiarato il suo amore tanto spassionato per il compianto Piero Umiliani, da essere riuscita ad accedere ai suoi archivi grazie all’intercessione della famiglia del compositore. Tutto ciò è sinonimo di fame, di ricerca, di lotta all’algoritmo. La sua musica è un abbraccio ai suoni del mondo a cui ha accesso grazie al sangue multiculturale che scorre nelle sue vene, dal lago di Garda (si definisce spesso creatura lacustre) all’equatore venezuelano.
La performance live di Joan è per definizione artistica, sia dal punto di vista delle vibrazioni sonore curate nel dettaglio e mai banali, sia per la sua capacità di stare sul palco. L’augurio per questa edizione del MiAmi è che porti con sé le sue stilosissime chitarre progettate e realizzate in collaborazione con il designer Marco Guazzini; strumenti per nulla ornamentali, che hanno un suono potente, lacerante (basti pensare al riff ormai già storico di Eco) e che rappresentano in maniera puntuale l’eclettismo e la personalità di una grande artista del suo calibro.
Offlaga Disco Pax (Socialismo Tascabile)
“Fasci di Merda!, questo sarà l’unico momento populista della serata”. Diceva così Max Collini dal palco di Santeria, un paio di mesi fa, in una delle due date milanesi del tour per il ventesimo anniversario di Socialismo Tascabile. Un concerto che doveva concentrarsi in una data sola ma che la sete di esserci per ridere, piangere, pensare e guardarsi negli occhi per il solo fine di riconoscersi in questo marasma ha indotto addetti ai lavori e collaboratori ad aggiungerne un’altra. Difficile sapere se gli Offlaga stessi si aspettassero tutto questa meritata riconoscenza, mista ad un amore pressoché incondizionato.
Poco importa, forse. Ciò che conta davvero è che Max Collini è riuscito a creare una simbologia politico-romantica universale in cui riconoscersi è davvero bellissimo; la sua poetica ci insegna che per conoscere davvero il mondo può bastare una Golf a quattro marce targata Parma con l’adesivo di Lula Da Silva sul lunotto posteriore pronta ad attraversare la pianura grassa e concimata (scusa Pier Vittorio Tondelli) intorno a Reggio Emilia. E ci sarebbe ancora tanto altro da dire ma è meglio che a parlare sia Max, dal palco del MiAmi.
Il Mago del Gelato
Milano, 2025. Quattro ragazzi rispondono al nome di Giovanni Doneda, Ferruccio Perrone, Pietro Gregori e Alessandro Paolone. Amano il funk e le sue infinte possibilità di espansione in un viaggio che parte dal loro quartiere, un luogo dell’anima del tutto personale da custodire: il barrio di via Padova. Un Mondo che da Parco Trotter a nuovi spazi necessari e in espansione come Mosso offre spunti di contaminazione che questi musicisti hanno magicamente sublimato nei loro dischi. Per mescolare in modo originale funk, jazz, afrobeat ed atmosfere mediterranee senza fare confusione o scadere nell’emulazione di prodotti fortunati già esistenti (vedi Nu Genea) ci vuole talento e qui ce n’è tanto. Gavetta di matrice underground all’attivo, tantissima; palchi prestigiosi calcati altrettanti. Notizie su Nicola Felpieri ancora molto poche. Forse ne avremo di nuove sul palco del MiAmi. Un attesissimo ritorno dopo il debutto sul palco del Magnolia del 2023. L’hype, anche dopo il concertone di Piazza San Giovanni di qualche giorno fa, è altissimo.
Baseball Gregg
Luca da Bologna e Sam dalla California, insieme a mille altre persone che hanno accompagnato e impersonificato questa formazione ormai longeva, sono i Baseball Gregg, progetto nato in una Bologna di ormai più di una decade fa di cui abbiamo sempre più nostalgia. La sincera attitudine DIY che incontra la sensibilità indiepop creano la semplicità affascinante di cui abbiamo sempre più bisogno, sia attraverso i suoni che i video amatoriali su Youtube dall’intensità minimale. Una piccola oasi di dolcezza in un festival affollato.
Studio Murena
Chi segue la scena milanese attuale ha sicuramente già sentito parlare di loro. Il gruppo, attivo già da qualche anno fondendo influenze jazz con elettronica e comunicando attraverso la scrittura e il flow del rapper Carma, due settimane fa è uscito con il suo ultimo disco, Notturno, che verrà suonato sul palco del Mi Ami per una delle prime volte. Il loro suono mixa così tante influenze da diventare qualcosa di completamente nuovo e difficile da collocare nel panorama contemporaneo. Ed è proprio questo il bello.