Casoretto chiama, Universo risponde. La connessione tra l’headquarter degli Al Doum and the Faryds e le forze cosmiche del bene, del resto, è stabile e collaudata da tempo, tanto da potersi permettere – anche in tempi secondo alcuni non esattamente luminosi come questo – un quinto album che suona come un rituale no stop registrato nei luoghi più festanti del globo, una copertina meravigliosa che richiama un “Giardino delle delizie” del futuro e di suonare naturalmente come dei freakkettoni fuori dal tempo (e da uno spazio specifico), riportando concetti come “musiche dal mondo” e “inclusività” lontano da trend vuoti e dentro una dimensione collettiva liberatoria e realmente vissuta (da oltre dieci anni). Talmente vissuta che in certe parti del disco l’energia è così potente che i musicisti sembra di averceli davanti, dentro la stanza – roba che appena accendi lo spliff le pareti si trasformano in un palco di ZUMA un attimo prima che sia estate.
Il nuovo, quinto, album degli Al Doum and the Faryds si intitola “Freaky People”: un disco che non poteva che nascere in un quartiere come quello “a forma di casa”, in uno degli angoli di Milano in cui il multiculturalismo non s’è ancora fatto di tendenza. È qui, in Casoretto, che prende forma la triangolazione magica fra il Guscio Studio (lo studio di registrazione di Lorenz, chitarrista della band, dove sono stati registrati tutti i loro album), Black Sweat Records (etichetta indipendente guidata da Dome, voce e basso degli Al Doum, su cui sono usciti anche i dischi di Addict Ameba e Maistah Aphrica) e Legno (lo studio di serigrafia ed etichetta che ha pubblicato il disco fisico in collaborazione con Black Sweat, l’edizione digitale esce invece in collaborazione con La Tempesta), realtà musicali che contribuiscono a mantenere in salute la scena underground cittadina (e non solo). La miscela è quella che da tempi non sospetti connota il flusso sonoro cosmico e naturalista degli Al Doum and the Faryds, al crocevia tra spiritual jazz, psichedelia e afrobeat, ma stavolta la formazione è ancora più espansa, sembra ancora più carica, fa il salto di qualità, suona irresistibile come la più collaudata delle big band – ma questo non è jazz, è musica universale. E infatti insieme all’ascolto integrale su Bandcamp, gli Al Doum and the Faryds ci regalano la visione in anteprima del loro primo video, intitolato “Universe pt. 1” e sintesi di un’attitudine in cui le forze di ogni singolo si fondono per dare forma a una musica collettiva intensa e passionale, che racchiude suoni di parti note e ignote del mondo (dal gospel a Sun Ra, passando per Woodstock), che si sviluppa lungo un climax corale e propiziatorio. Una sinergia che “dal quartiere a forma di casa” arriva a toccare le sfere celesti (e a far ballare pure quelle).
«Il gruppo è composto da due anime: da un lato c’è la semplicità, la spensieratezza e la stupidità degli amici che stanno bene insieme a suonare, i cosiddetti “Faryd Freaks”; dall’altro c’è una riflessione sulla società attuale partendo dai nostri messaggi utopici che sentiamo nel profondo del cuore. Come emerge dai testi delle canzoni, non vogliamo abbandonare l’idea di un mondo migliore: oggi sembra impossibile pensare a un mondo pieno di intensa umanità, dove essere accoglienti, ascoltare gli altri e amare sinceramente siano atteggiamenti che prevalgono sul resto. Tutto diventa utopia: qualcosa che solo i pazzi possono pensare e permettersi come realtà. Tuttavia, se si pensa profondamente all’utopia, l’utopia diventerà realtà». “Utopia” è una delle parole chiave per entrare nel suono degli Al Doum and the Faryds e “utopico” è il viaggio che attraversa tutto il disco, fino a quella “Woodstock” conclusiva che in dieci minuti parte da un ritmo jazz essenziale per esplodere in un tripudio di colori, versi liberatori, crescendo gospel ed echi lisergici in cui la parola “together” ricorre a segnare la via. Utopia è anche mettere insieme una band di dieci persone, tra componenti storici e nuovi, che su questo disco sono Antonio Paciello (sax alto), Cecilia Iaconelli (voce), Davide Domenichini (basso e voce), Ivan Guillaume Cosenza (Fender Rhodes, voce, flauti), Ivan 2 Maddio (sax tenore e soprano), Jimmy Catagnoli (sax alto), Lorenz (chitarra e percussioni), Matteo “Sauron” Saronni (batteria, percussioni, clarinetto), Martina Lazzeri (voce), Stefano “Puma” Tamagni (batteria, percussioni).
E infine, utopia e meraviglia sono le vibrazioni che arrivano dirette guardando il bellissimo artwork del disco, ispirato a “Il Giardino delle delizie”, celebre olio su tavola di Bosch qui reinterpretato in una versione futuristica e ultra psichedelica da Noura Tafeche, insieme alla grafica interna sviluppata da Chiara Dal Maso. Aspetti visivi in perfetta armonia con un album curato in ogni dettaglio e capaci, se possibile, di espanderne gli orizzonti.