Purtroppo Stefano Bellotti è morto il 14 settembre 2018, le più sentite condoglianze alla sua famiglia.
Dal 5 al 7 marzo al Palazzo del Ghiaccio di Milano andrà in scena Live Wine 2016, Salone internazionale del vino artigianale con piccoli e grandi vignaioli italiani ed europei. Anche quest’anno abbiamo deciso di intervistare i protagonisti dell’evento per capire la loro idea di vino artigianale. Dopo Michele Loda, oggi è il turno di Stefano Bellotti, nato a Genova 58 anni fa, dell’Azienda Agricola Cascina degli Ulivi di Novi Ligure. È per noi un piacere chiacchierare con lui perché siamo stati più volte alla Cascina degli Ulivi, fermandoci anche a dormire e innamorandoci sia di un’azienda che produce tutto da sé salvo “sale, zucchero e caffè” che di molti dei suoi vini, anche se non di tutti a dir la verità: la cosa non è piaciuta a Stefano, che in qualche risposta non ce la manda certo a dire. Gli vogliamo bene anche per questo.
Hai un ricordo d’infanzia legato al vino?
Sì certo, quando per esempio a 6 anni aiutai a imbottigliare una damigiana di vino regalata a mio padre e il giorno dopo ero tutto fiero di andare a scuola con le mani nere di tannino. A 12 anni invece presi la prima sbronza vuotando i fondi dei bicchieri rimasti dopo una cena sociale del CAI.
Puoi presentare la tua azienda e la sua filosofia? Come hai iniziato a produrre vino?
Nella mia azienda c’è molta più pratica che filosofia. Si esercita da sempre un’agricoltura rispettosa del suolo, del paesaggio e del naturale sviluppo armonico delle piante. Alla fine parliamo di un qualcosa di molto semplice. A 17 anni non avevo più voglia di stare in città e ho deciso di insediarmi nella piccola azienda di famiglia: c’era un ettaro di vigna e con l’aiuto e l’insegnamento di un anziano che abitava vicino a noi, analfabeta ma appassionato e competente, ho iniziato a vinificare senza enologia. E ho continuato su quella strada.
Novi Ligure è terra di Gavi e Monferrato. Quali sono i vini che producete e da che uve vengono prodotti? Ce ne è uno di cui vai particolarmente fiero?
Semplicemente Vino Rosso: da uve barbera e dolcetto; oppure Semplicemente Vino Bianco: da uve cortese; Seemplicemente Rosa: uve merlot. Poi produciamo il Gavi, il Montemarino e il Filagnotti tutti tre da uve cortese. Il Demua: vitigni bianchi rari o antichi della tradizione ligure piemontese. Inoltre Riesling, Verdea, Bosco, Timorassa, Chasselas. Poi la Merla Bianca: sauvignon e traminer aromatico. In rosso il Nibio: dolcetto e il Moumbé da uve barbera e dolcetto. Finalmente il passito da uve moscato appassite. Sono fiero di tutti ma sicuramente dei due cru Filagnotti e Montemarino e del Moumbé.
Il vino è la trasformazione del succo d’uva tramite fermentazione, e questo voi lo sapete bene. Ci puoi spiegare come questo sia particolarmente vero per un purista del vino come te? Quali sono le modifiche sostanziali che hai apportato nel modo di fare il vino, sia in vigna e poi in cantina e qual è l’elemento di rottura più evidente?
Il processo che conduce un grappolo di uva a diventare un bicchiere di vino è un processo completamente naturale ma in natura diviene improbabile. Mi spiego meglio. Bisogna semplicemente porre le condizioni delle “probabilità”, ossia favorire i saccaromiceti (le sostanze che provocano la fermentazione alcolica, ndr). Dopo questo passaggio tutto avviene in maniera spontanea. Ma i saccaromiceti necessari alla giusta fermentazione si formano a partire dalla microbiologia del suolo e quindi ci vuole un’agricoltura sana e rispettosa della struttura unica del suolo stesso. Non c’è nessuna rottura nelle tecniche che io adotto, semmai solo una questione di incontro. Troppo spesso noi siamo visti come matti, ribelli o altro. I veri pazzi sono ben altra cosa: quelli che uccidono il suolo con i diserbanti ad esempio. Noi cerchiamo l’accordo, l’armonia e le cooperazione con la natura e le forze della vita. Credo che la vera rottura è di chi va contro la vita e le leggi della natura con abusi, forzature, artifici.
Quante persone lavorano da voi? Accogliete richieste di giovani che vorrebbero lavorare in un’azienda vinicola? Ne ricevete molte?
Più o meno 20 persone lavorano nella nostra azienda. Siamo in tanti perché ci sono anche altre attività che portiamo avanti parallelamente – ristorazione, orticultura, allevamento, coltivazione di cereali e panificazione. Ci sono molti giovani che arrivano attraverso diversi circuiti e accogliamo tutti… finché c’è posto.
Naturale, biologico, biodinamico, artigianale. Le definizioni sui vini si sprecano, e il consumatore è sempre più confuso. Voi come definireste il vostro vino?
Vino! Ovviamente poi biodinamico se nasce da agricoltura biodinamica e se poi alle fine “naturale” è un termine che si usa per intendersi su uno metodo di vinificazioni pulito e senza artifici enologici, allora lo definirei anche così. Una parola bisognava pur trovarla.
Potete parlarci della scelta di utilizzare il tappo a corona per il vostro Bellotti rosso e bianco?
Economico, sicuro, riciclabile.
Come mai i vostri vini bianchi invecchiati sono così ostici al naso (come La Merla Bianco, A Demua)? Fino a dove è giusto spingersi nei territori del purismo a tutti i costi?
A provocazione si risponde con provocazione. Totò, il grande Totò avrebbe risposto: «ostico sarà lei!». Vi posso dire di prendervi del tempo perché i vini senza solfiti hanno bisogno di quei cinque minuti per aprirsi e rendersi disponibili. In ogni caso non mi piace fare incavolare le persone: per me è ostico il profumino di banane e di bonbon dei vini che ci sono sul mercato e l’odore della solforosa. Non è questione di spingersi, io non produco vini estremi, anzi li lascio esprimere nelle loro personalità. Di nuovo vi consiglio prendetevi tempo, non si mangia un pane appena sfornato per dire al fornaio che il suo pane brucia la lingua. Prendetevi il tempo delle gioia e lasciate quello della polemica, mi sembra molto più importante chiedere fino a che punto sia giusto spingersi nelle violenze dell’aggressione chimica alla terra, e dell’aggressione enologica al vino. Fatevi le domande giuste e sarete più sereni e meno polemici.
Dai Stefano, non te la prendere (nda).
Stai lavorando da anni per eliminare l’aggiunta di anidride solforosa. In che posizione ti collochi riguardo a questo tema? Pensi sia veramente possibile eliminarla del tutto?
Io sono 40 anni che non uso solforosa. Quindi non lo penso, lo faccio e non è enologia, è agronomia. Se vi serve un breve corso o un articolo di agronomia ve lo faccio volentieri.
Dai Stefano, non te la prendere (nda).
Live Wine 2016 si definisce “Salone Internazionale del Vino Artigianale”. Che cos’è un vino artigianale per te?
Esistono i vocabolari: vuol dire che ci metti le mani, che conosci le tue piante una per una, le tue vasche giorno per giorno.
Ma un vino artigianale è migliore a prescindere da uno industriale? O è solo più sano? È possibile avere un vino più sano per l’organismo intervenendo già in vigna?
Un vino artigianale è meglio a prescindere, dal punto di vista etico, sociale, economico, ambientale e non ultimo di verità del gusto. Un vino si fa in vigna e solo in vigna, in cantina è sufficiente dare le condizioni per cui il succo d’uva si trasformi in vino, metterlo sulla strada, poi fa tutto da solo.
La maggior parte dei vini sul mercato sono prodotti con diserbanti, concimi di sintesi, pesticidi, ingredienti di originale animale. Sei favorevole a una normativa che costringa i vignaioli a scrivere tutto quello che c’è nelle bottiglie e come viene ottenuto il vino? Perché? In caso affermativo, pensi sia un traguardo raggiungibile in tempi brevi?
Per me non è un obiettivo prioritario. Il discorso sulla violenza dei pesticidi va impostato in modo più globale, che va ben oltre una stupida etichetta.
Tre bottiglie che porteresti sulla Luna.
Seguret di Jean-David, Vaquerias di Dany Chastan e Tres Uves di Manuel Valenzuela.
Cosa bevi a parte il vino?
Acqua fuori pasto, a volte tè, di mattina il caffè, a volte birre.
Cosa significa per te bere responsabilmente? Bevi tutti i giorni?
Sì bevo tutti giorni, ma cerco di essere responsabile in tutto quello che faccio.
E se ti è capitato di non bere responsabilmente, qual è il rimedio per una sbronza?
Mi era capitato da ragazzino, direi uno bella dormita.