Sin dalla locandina e dal titolo di questa sesta edizione, “Chi sei?“, Jazz is Dead suggerisce una volontà di ricerca e riflessione sul proprio approccio alla musica e alla fruizione artistica in generale. Il mantra di quest’anno è infatti accompagnato dall’immagine di uno specchio attraverso il quale un uomo vede nel suo riflesso un corvo e viceversa. Il corvo è il simbolo del festival torinese dedicato alle sonorità sperimentali che si terrà dal 26 al 28 di maggio e l’uomo siamo tutti noi, chiamati a partecipare ad un rituale di condivisione più che ad un semplice festival, insieme ad artisti di grande appeal e sostanza come Boris, Shackleton e Pan Daijing.
Un cortocircuito visivo che diventa quindi anche concettuale: come a voler creare un dialogo tra artisti e pubblico, azzerare le distanze e le differenze tra parterre e palco. Per condividere un momento, uno sguardo, una prospettiva.
Chi siamo? Un punto di domanda, certo, che può diventare un punto di partenza. Per capire come vivere appieno la maratona di un festival abbastanza unico nel suo genere e per cominciare questa nostra chiacchierata col suo direttore artistico: Alessandro Gambo.
La questione rimane aperta: è una questione di qualità o una formalità?
Per omaggiare la narrazione che Alessandro stesso ha impostato, vale la pena accennare al pubblico chi è questa persona che a Torino non ha bisogno di presentazioni: un punto di riferimento per gli appassionai di eventi in Piemonte, agitatore culturale attivo in città su vari fronti, in veste di direttore artistico, promoter e dj. Decine di progetti, impossibili da elencare tutti, ma riassumibili a spanne per rilevanza: dalla guida di Magazzino sul Po alla collaborazione con Todays Festival per la parte dancefloor, dai party techno-oriented in Cavallerizza fino alle percussioni d’avanguardia nel biellese per Piedicavallo. L’ho incontrato da Combo a Torino per parlare dell’imminente inizio del festival, di un programma che si snoda su sempre più location cittadine, di morte e resurrezione del jazz e molto altro.
Lorenzo Giannetti: Com'è nato Jazz Is Dead? Io ricordo che in origine ci fu l'elettronica "crepuscolare" di Varvara all'ex cimitero di San Pietro in Vincoli...
Alessandro Gambo: La scintilla iniziale di Jazz Is Dead (JID) nasce proprio da una concatenazione di eventi e sinergie. All’epoca ero direttore artistico di Varvara, appunto, una rassegna dove proponevo principalmente elettronica di matrice oscura e più in generale sperimentazioni musicali adatte alle location che ci ospitava, ovvero, l’ex cimitero di San Pietro in Vincoli. Contemporaneamente, succedeva che: da un lato mi arriva la proposta direttamente da ARCI Torino di organizzare una “festa” per i 70 anni dell’ente, da sempre legato all’humus culturale della città; dall’altro lato il Torino Jazz Festival – grossa realtà istituzionale – attraversava un momento di grande difficoltà. Tirava aria di “morte del jazz“, se così vogliamo dirla. Mettendo insieme i pezzi di quel puzzle e del mio background, da quella più o meno presunta e simbolica “morte” del jazz è nato Jazz is Dead, che quindi incarnava sin dal nome un messaggio di resistenza e speranza, seppur provocatorio e un po’ dissacrante. Tutto, in qualche modo, si trasforma.
LG: Chiaro: "il jazz è morto? Viva il jazz!" Curiosità: ARCI ti aveva chiesto qualcosa in particolare?
AG: Avevo abbastanza carta bianca. Sapevo di dover e voler omaggiare una ricorrenza importate ma non sapevo esattamente se si poteva trattare di un progetto sulla lunga distanza e di che tipo. In tal senso quello che ci tengo a sottolineare, infatti, è che si tratta di qualcosa che è nato in modo molto naturale. C’è davvero poco “artificio” in JID: non è una mossa commerciale ma piuttosto la naturale reazione ad un momento e ad un percorso. Inoltre non si voleva pestare i piedi a nessuno e allo stesso tempo si voleva trovare una propria, nuova dimensione. Con la volontà (o per lo meno la speranza) di unire sotto lo stesso tetto persone provenienti da ambienti diversi.
LG: Una tempesta perfetta, insomma.
AG: In un certo senso sì. Io tra l’altro arrivavo da quasi dieci anni di direzione artistica del Magazzino sul Po, che è un Circolo Arci, quindi non ci siamo presi a scatola chiusa, già ci conoscevamo. Aggiungo che tutto il collettivo di Arci è composto da persone abbastanza giovani e pronte in qualche modo a sperimentare. È un po’ la stessa cosa che è poi successa quest’estate anche col progetto Piedicavallo, altro festival per cui ho il piacere di occuparmi della direzione artistica, sempre legato alla sperimentazione ma nel biellese.
LG: Su Piedicavallo ci torniamo, per ora però rimaniamo in città: a tal proposito mi interessa sempre capire come sono i rapporti con le "istituzioni".
AG: Ti dico buoni! Considera che l’anno scorso si è presentato al festival “a sorpresa” il sindaco Lorusso. Ci ha fatto piacere. Alla fine si parla di un festival rivolto ad una nicchia e ad offerta libera, ok, ma spostiamo comunque 7000 persone. Speriamo di continuare a coltivare il rapporto con la città nella maniera più sana possibile.
LG: Quest'anno infatti ci sono varie location coinvolte.
AG: Ci stiamo allargando! E abbiamo fatto di necessità virtù. C’è sempre stata la volontà di rinnovarsi ed innovarsi, collaborando con realtà differenti. Il cimitero di Borgo Dora è stato il naturale punto di partenza del nostro “funerale” ma mi piace l’idea di spostare un pubblico mosso da viva curiosità. Su questo ricordo certamente la lezione dei primissimi anni di Club To Club Festival, quando ci si spostava – per fare un esempio – dal Caffè Procope all’Hiroshima Mon Amour nel corso della stessa notte.
Siamo reduci da un paio di sold out al Cinema Massimo, mecca degli appassionati di cinema di tutta Italia. E abbiamo confermato anche la collaborazione con il Planetario di Pino Torinese, un altro posto davvero interessante (e forse non ancora abbastanza conosciuto!) che può vantare anche una direzione curiosa nei confronti di proposte artistiche esterne.
LG: Luoghi diversi, persone più o meno diverse. Oggi come oggi, ha senso parlare ancora del concetto di "scena" secondo te?
AG: Discorso certamente complesso. Se di scena possiamo parlare, diciamo che quella di oggi è una scena frammentata. Il che suona un po’ come un ossimoro forse. Diciamo che in giro c’è un po’ tutto e un po’ niente. Non so se “si stava meglio quando si stava peggio”, sinceramente. Oggi la mentalità è quello dello “skip continuo”, ne consegue che è molto difficile fidelizzare il pubblico. Come sempre ci sono lati positivi e lati negativi, novità interessanti e degenerazioni. Noi come JID, e io personalmente come Alessandro Gambo, proviamo a fare di questo approccio de-genere un’occasione ma soprattutto uno spunto di riflessione e ricerca. Per tornare alla domanda iniziale: forse suona un po’ anacronistico parlare di “scena”, io parlerei più di “mood”. Detto ciò mi auguro che la musica sia sempre il motore di una comunità, laddove il contorno può e deve dare ulteriore spinta. Per JID mi auguro inoltre che il pubblico arrivi in loco presto per godersi l’atmosfera di un’intera giornata di festa.
LG: In tal senso c'è qualche realtà che ti colpisce particolarmente?
AG: La realtà interessanti secondo me non mancano mai. Giovani o meno giovani, scena o non scena. Noi stessi ospitiamo le crew assai meritevoli di Pho Bho Records e Pietra Tonale al festival: la prima in ambito elettronico, la seconda di matrice jazz. Ma al di là di JID potrei farti al volo i nomi di Outcast e Salgari: altre due realtà che secondo me si muovono molto bene, riescono ad avere appeal anche all’estero e si muovono “come una famiglia”.
LG: Come sempre, questo festival è un lavoro collettivo, d'orchestra: ci presenti lo staff di JID?
AG: Come ho detto varie volte anche dal palco, anche JID rispecchia molto quello che sono e che faccio, questo non è il festival di Alessandro Gambo: i festival si fanno insieme! Io, noi, voi, tutti. Sono circondato da un’orchestra preziosa: c’è la crew della mia ex casa Magazzino sul Po che si occupa della logistica e del bar. Negli uffici di TUM si gestisce ogni aspetto della comunicazione del festival. E poi, non posso che fare un applauso ai ragazzi di Dewrec, collettivo di volontari legati al circuito ARCI che si smazzano lavori vari: dal driver all’artist care o lo stare “alla porta”. C’è poi tutta la parte grafica/visiva/visuale che negli anni ha visto avvicendarsi artisti diversi, vado a memoria: Carola de Marchi, Luca “Nikkal” Brusa, Cytone, Irene Gittarelli. Bravi tutti!
LG: Dopo un tot di anni e di grandi emozioni - e parlo anche a titolo personale! - riavvolgiamo la bobina dei ricordi e tiriamo fuori un po' di aneddoti: facciamo un po' di Storia insomma. Se sei d'accordo partirei con concerto assurdo dei Faust: al cimitero col martello pneumatico.
AG: Ah, vai subito sul pesante! Ho un ricordo personale molto vivido e intenso di questa band e di quella performance. Sapevo che avrebbero usato il martello. Quello che non mi aspettavo è che questi settantenni arrivassero in città col loro van bianco sgangherato e pittato con la bomboletta spray, volessero restare a mangiare i panini al festival invece di essere portati a ristorante e insomma avessero lo spirito punk di un gruppo di teengers! Cioè, voglio dire, sono i Faust! Per me delle leggende viventi. Sai, anche per me questo festival è un percorso di crescita personale e loro erano uno dei primi nomi veramente “big” che piazzavo in cartellone: vedere il modo in cui affrontavano la trasferta, sebbene io non sia più di primissimo pelo, mi colpì nel profondo.
LG: Arrivarci alla loro età così! Invece, ti dirò che al pianista ucraino Lubomyr Melnyk sono legato proprio a livello mio personale ed emotivo. Ricordo la sua esibizione a JID nel cortile del cimitero, al tramonto...
AG: Beh, lui gran bella scoperta. Si tratta di un personaggio che suscita una devozione già solo a livello estetico, sembra uscito da un romanzo in cirillico. Ha un’aura tutta sua: potentissima sicuramente.
Di quel giorno ho un aneddoto, che tiro fuori con una punta di orgoglio, ammetto: tra il pubblico c’era Nicholas Jaar che venne da me e mi disse “You got the best festival in Turin!”. Considera che poi Tomago e Pier Bastien – altri artisti visti a JID, NdR – hanno poi firmato per la sua label Other People.
LG: E allora flexiamo, va bene: Thurston Moore forse è il live più "grosso" che avete mai fatto?
AG: Ti dirò fu uno spartiacque vero e proprio: da quel momento in poi effettivamente molte realtà in più si interessarono a noi. Io sono un fan di vecchia data dei Sonic Youth tant’è che sul viale dei ricordi avevo chiesto agli amici dei Jooklo Duo (che quella sera suonavano con lui) di convincerlo a farci una “hit”. Tipo “Superstar”. Detto ciò al momento del soundcheck capimmo tutti molto in fretta che di microfoni quella sera lui non ne volesse proprio sapere. Vabbè amen. Anche perché ci spettinò letteralmente solo con la chitarra.
Già il soundcheck tra l’altro fu a suo modo epico. Mi viene da sorridere se ripenso che i The Winstons prima di lui avevano fatto delle prove lunghe e corpose (ci sta, ovviamente, avevano un suono che lo richiedeva e fecero un concerto top). Poi arriva Thurston tutto pacioso, fa due accordi a volumi apocalittici in due minuti e fine: tutti a mangiare!
Tornando al live: alla fine non ho avuto la mia hit adolescenziale ma la cosa veramente emozionante di quella sera è che riuscimmo a combinare per far suonare insieme Thurston ed Evan Parker, altro grande ospite di quell’edizione! Ecco, quello fu un momento da libri di storia o quasi, dai! Tra l’altro per avere uno dei miei idoli a Torino c’era stata una trattativa di booking particolarmente complicata, direttamente con lui, quindi insomma alla fine mi sono tolto una bella soddisfazione. Ciliegina sulla torta: l’ho pure beccato a colazione in hotel!
LG: Ecco parentesi booking: come scegli gli artisti da coinvolgere in un festival di questo tipo?
AG: Parti dal presupposto che di base io non prendo artisti che sono già in tour, quelli per cui normalmente ti contattano le agenzie. Cioè può capitare ma non è la prassi. Ed è il motivo per cui molti festival si assomigliano o sembrano addirittura fatti con lo stampino. Tendenzialmente invece qui sono io che contatto l’agenzia, dopo un lavoro di ricerca, in base al mosaico complessivo che ho in testa. Nel bene e nel male, difficilmente troverete una line up simile a quella di JID in giro.
Mi ricollego al discorso che facevamo sui Faust: spesso ho a che fare con artisti altamente imprevedibili, in tutti i sensi. Improvvisatori veri. Mine vaganti. Quindi può capitare che per quanto conosca un determinato artista io non sappia alla perfezione che cosa accadrà sul palco! Lo spiazzamento e i colpi di scena fanno parte del gioco.
LG: Plot twist sempre apprezzabili. Altra immagine indelebile: la coda fuori dal Cinema Massimo per gli Zu!
AG: Per ora al cinema ci è andata sempre di lusso: 4 sold out su 4. E la Sala 1 del Cinema Massimo che ci ha sempre ospitato è davvero molto grande! Vedere gli Zu fare sold out con quel progetto molto particolare sull’Amazzonia, in bilico tra ambient e noise fu un bel risultato per noi e un ottimo spot per la musica italiana da esportazione.
Adesso speriamo nello stesso esito anche per la data degli Irreversible Entanglements che a mio parere sono una band incredibile.
LG: Colin Stetson invece hai poi scoperto da che pianeta arriva? L'anteprima del JID al Circolo della Musica me la ricordo come se fosse ieri. Il suo sax era praticamente più alto di me (non che ci voglia molto eh, però...)!
AG: Beh nel caso di Colin parlerei sinceramente di qualcosa di davvero straordinario, nel senso di fuori dall’ordinario. Anzi, di un vero e proprio prodigio! Considera che nel pomeriggio, prima della sua esibizione, partecipò anche ad un workshop di improvvisazione (con un’altra conoscenza del festival: Manuel Volpe) quindi abbiamo avuto modo di osservare il suo stile e il suo metodo “da vicinissimo”. Praticamente lui non usa effetti di alcun tipo, non c’è elettronica in quello che vedi e senti: ha “solo” 8 microfoni in vari punti del corpo. Stop. Amplifica se stesso.
Ho questa immagine indelebile in testa di lui che si concentra facendo yoga in solitaria poco prima di salire sul palco. Gestire il fiato (ma in generale il corpo e la mente) in quella maniera è qualcosa di assurdo. Lo hai visto anche tu: quando comincia a suonare sembra di trovarsi di fronte a più persone dentro ad un unico corpo!
LG: Sì, tipo un'orchestra composta da elefanti imbizzarriti e da un'intera squadra di rugby.
AG: Ecco, a proposito di sport, un’altra chicca che mi viene in mente è legata a Flowdan: l’MC che si è esibito insieme a The Bug. Lui inglese verace di East London: prima dell’esibizione lo abbiamo visto da solo in un angolo tutto concentrato, ma non stava facendo yoga… Seguiva la finale di Champions col Liverpool in streaming sul cellulare! Poi sul palco ha letteralmente spaccato tutto: indemoniato.
LG: In ultimo, una battuta su un personaggio ormai leggendario e immancabile: Dj From Gambia.
AG: DJ Gambia ha rotto le palle! Ops, lol. DJ From Gambia è una sorta di mio alter-ego dietro alla consolle. Spunta quasi sempre fuori a fine serata, carico per far chiusura in after. Oltre che un modo per dare spazio alla musica che pesco in giro per il mondo, è il mio modo per mettere dischi in incognito: perché, senti, alla fine per me divertirmi è mettere i dischi. Altrimenti per me è un po’ come un coito interrotto. Una battuta ma anche una cosa seria: dopo l’avanguardia e l’introspezione è importate anche abbandonarsi al dionisiaco e scatanarsi… la festa, la festa! E vale per me in primis! Quindi chissà non escludo una comparsata di DJ From Gambia anche quest’anno…
LG: Già che evochi le tue playlist, lasciaci con un pezzo da ascoltare per prepararci al festival.
AG: Nel pieno dubbio esistenziale, un ritorno alla indefinita giovinezza, pieni di domande, senza risposte, molte risposte, nessuna domanda. La questione rimane aperta: è una questione di qualità o una formalità?
LG: Affinità-divergenze fra il compagno Gambo e noi. Ci vediamo a Jazz is Dead. Grazie.
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