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Elogio della linea: MOTOREFISICO

Alla scoperta del duo romano che unisce architettura, design e arte (pubblica) e del loro quartier generale all'interno del Villaggio Globale a Testaccio

Scritto da Nicola Gerundino il 11 marzo 2024
Aggiornato il 12 marzo 2024

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Luogo di residenza

Roma

Attività

Artista

Seppur la geometria e le sue figure siano un patrimonio concettuale e visivo universale, c’è chi riesce combinarle traendone identità e riconoscibilità. Per raggiungere questo obiettivo bisogna essere metodici, ripetitivi – nel senso di ripetere con costanza nel tempo le proprie azioni e ribadire i propri intenti – nonché, ovviamente, essere bravi. Lorenzo Pagliara e Gianmaria Zonfrillo, le due persone dietro il progetto MOTOREFISCO, lo sono particolarmente e, presidiando con i loro pattern le superfici verticali e orizzontali di Roma, sono arrivati a portare i loro lavoro ai quattro angolo del globo. Fanno ancora base qui in città e, infatti, questa intervista rappresenta non solo un’occasione per conoscere la loro storia e le loro idee, ma anche per sbirciare all’interno di quell’incredibile esperimento creativo, artistico e (soprattutto) collettivo che è il Villaggio Globale: centro sociale storico di Roma negli spazi dell’ex Mattatoio che nel tempo ha mutato pelle diventando un atelier ricco di esperienze e storie, dove MOTOREFISICO ha il suo quartier generale.

 

Come e quando nasce il progetto MOTOREFISICO?

MOTOREFISICO nasce nel 2015. In quegli anni studiavamo insieme e abbiamo preso la decisione (lucida) di strutturare un progetto che potesse un giorno diventare un lavoro. L’idea iniziale era di creare un contenitore di varie proposte artistiche, per rispondere a una necessità di un mercato che già nel 2015 sembrava in crescita verticale.

Quali sono state le basi comuni, sia estetiche che progettuali?

Quando abbiamo concepito il progetto ci siamo chiesti quale sarebbe stata la nostra “cifra stilistica”: era evidente che non si potesse fare un po’ tutto, che avremmo dovuto scegliere uno stile ben preciso e che, almeno per qualche anno, avremmo dovuto lavorare sulla riconoscibilità. Abbiamo discusso a lungo su cosa inventarci e abbiamo concluso che volevamo lavorare sul geometrico, sfruttando il nostro background da studenti di architettura che ci aveva insegnato molte cose sulla composizione visiva. Insegnamenti che si sono rivelati molto utili al momento della creazione dei primi pattern.

Ricordate il vostro primo lavoro? Di cosa si trattava e dove lo avete realizzato?

MOTOREFISICO è partito sotto un ponte! Per iniziare a generare contenuti e mettere un piede in quella che poi sarebbe diventata una popolatissima scena romana di arte urbana, avevamo bisogno di trovare un’architettura che ci consentisse di fare grandi pattern continui, offrendo anche la possibilità di riprenderci mentre facevamo il disegno. Prima di lanciare il progetto abbiamo realizzato tre disegni sotto il Ponte Della Musica, nel quartiere Flaminio. Non era il nostro quartiere, però la conformazione della struttura ci permetteva di disegnare su un pavimento e fare delle riprese video verticali da sopra la passerella. In quegli stessi anni, inoltre, si stava creando proprio lì sotto una vivace scena di skater auto-organizzati: ci piaceva l’idea che succedessero un sacco di cose intorno ai nostri disegni.

Se doveste reinterpretarlo oggi, a circa dieci anni di distanza, come lo ripensereste?

Lo rifaremo davvero. Quindi non rispondiamo per non rovinare la sorpresa!

Quali sono le tecniche e i materiali con cui vi piace lavorare? Sono le stesse e gli stessi degli esordi o c'è stata un'evoluzione?

La prima tecnica che abbiamo usato – e anche quella a cui siamo più affezionati – è la tape art, vale a dire creare disegni attraverso l’utilizzo del nastro adesivo. Un media che è risultato da subito perfetto per creare disegni con un forte carattere geometrico-organizzato. L’unico limite era la poca durata delle opere. Dopo i primi lavori abbiamo iniziato a usare il nastro adesivo come maschera per la vernice, sviluppando una tecnica che abbiamo chiamato “disegno per detrazione”. Quasi subito abbiamo sentito la necessità di produrre anche qualcosa di più scultoreo e tridimensionale, quindi al nastro si è affiancato l’elastan, una fibra di tessuto molto elastica che permette di realizzare tenso-sculture sospese nell’aria o agganciate a pareti e pavimenti. All’incirca nel 2019 abbiamo poi deciso di espandere la nostra area di intervento al campo delle installazioni audio/video. Abbiamo studiato a lungo l’utilizzo di software di controllo luci come Touchdesigner e sviluppato varie tipologie di installazioni che oggi girano il mondo insieme a noi.

Vi faccio una prima domanda di carattere generale: che rapporto avete con i social? Come pensate abbiano influito sull'arte e sulla creazione estetica? La sensazione è che anche per queste discipline ci sia il diktat implicito del "funzionare sui social".

Sicuramente i social sono un aspetto imprescindibile dell’attività di un artista contemporaneo e noi non facciamo eccezione. Prima di lanciare il progetto avevamo prodotto alcuni video dei nostri disegni in time-lapse e qualche altro materiale visivo da spendere su Facebook e Instagram. È importante però ricordarsi sempre che i social diventano uno strumento inutile senza una forte base nel mondo reale. Nei primi anni di attività abbiamo infatti concentrato i nostri sforzi nel creare un grosso nucleo di persone nella nostra città che conoscessero MOTOREFISICO.

Spostiamo la discussione alla città. Quanto ha influito e influisce tuttora Roma sul vostro lavoro?

Come detto sopra, Roma per noi è stata un volano fondamentale: è stata la base di partenza. Il bar del MAXXI era il nostro studio e il Ponte della Musica il nostro laboratorio. Dimensionavamo le nostre sculture tendendo fili tra gli alberi di Villa Borghese. Ancora oggi tutti i nostri fornitori sono di Roma: compriamo il ferro al Trullo, l’elastan a Garbatella, i nostri dispositivi luminosi vengono prototipati a Cinecittà e così via. Per quanto riguarda la parte estetica, i nostri disegni sono ispirati al mosaico romano, ma anche ad artisti romani contemporanei.

Chi in particolare?

Quando ancora eravamo in fasce (artisticamente parlando), guardavamo con infinita ammirazione i disegni di Stan&Lex, due artisti classe 1980 che sono stati tra i primi a portare i pattern bianchi e neri nella street art. Non è affatto scontato convincere un’amministrazione comunale a realizzare certi tipi di disegni sulle facciate dei palazzi: molto spesso la street art è vista come una forma di “propaganda” o come un qualcosa che debba forzatamente avere un significato. Le trame optical non si prestano a raccontare nessuna storia, mentre il loro impatto visivo è massimo, bisogna quindi avere la capacità di intercettare committenti illuminati a cui proporre interventi che ancora oggi sono in parte taboo. Le nostre prime facciate sono arrivate dopo più di cinque anni di attività, tanto per dire.

Da qualche tempo fate base a Testaccio, negli spazi del Villaggio Globale. Ci potete raccontare di questo microcosmo, che da centro sociale "vecchio stile" si è trasformato in un atelier dedicato ad arte e artigianato?

Al momento all’interno del Villaggio Globale vengono ospitate più di trenta realtà creative e artigianali. Lo spazio si articola in studi che affacciano su due patii, che diventano così delle piccole piazze in cui vari professionisti di questo “strano” settore si possono interfacciare, scambiare idee o collaborare. Anche se ormai siamo artisti più strutturati, ci fa sempre piacere condividere le nostre esperienze professionali con gli altri laboratori: è bello rivivere quella sensazione di partenza di un progetto e veder crescere le altre realtà intorno a noi. Siamo lì da circa tre anni.

Voi come siete arrivati al Villaggio Globale?

Siamo stati fortunati: eravamo al posto giusto al momento giusto. Qui c’è anche lo studio di Solo e Diamond e con loro ci siamo trovati a Cassino a condividere una casa per fare delle pareti. A noi era capitato un edificio difficile da dipingere: alto venticinque metri, con una scalinata e delle grosse colonne che ne ingombravano la facciata, tutte particolarità che rendevano molto difficili i movimenti a parete con la piattaforma. Quando la sera tornavamo un po’ afflitti a casa, Solo e Diamond, che alle spalle avevano già parecchie decine di pareti, ci incoraggiavano dicendo che stavamo riuscendo a dipingere l’indipingibile, che sembravamo due pirati che combattevano un elefante con uno stuzzicadenti (cit.). In quell’occasione abbiamo legato e sono stati loro a raccontarci la situazione del Villaggio Globale. Così, appena tornati a Roma, siamo andati a Testaccio per esplorare la possibilità di entrare a far parte di questo grande progetto.

Nel tempo avete stretto legami e collaborazioni con altre realtà al suo interno?

Certamente! Abbiamo realizzato una collezione di abbigliamento con Onca, una realtà di giovani artigiani che si ispirano alle culture precolombiane e che, negli anni, partendo dalla serigrafia, sono arrivati allo sviluppo integrale di un capo di abbigliamento, dalla pezza di tessuto al vestito bello e fatto. Abbiamo ancora collaborato con MAFM, laboratorio che realizza modellini di spazi urbani degradati, con tanto di tag e flop. MAFM lavora con alcuni dei writer più famosi al mondo e con noi hanno realizzato proprio il modellino di quella parete di Cassino che ci portò al Villaggio Globale. Qualche mese fa abbiamo anche organizzato un grossa collettiva con tutti e trenta laboratori: Il Gigante Folle. In quell’occasione è venuto fuori più che mai lo spirito di collaborazione e contaminazione di questa meravigliosa struttura: ognuno ha fatto la sua parte e, nonostante le difficoltà derivanti dall’unire tutto e tutti, è uscita fuori una mostra di livello.

Mi è capitato di partecipare a qualche apertura collettiva degli studi e ogni volta mi sono chiesto come sia possibile che le istituzioni non prendano ispirazione da questa esperienza per riattivare alcuni dei tantissimi spazi inutilizzati di Roma. Da questo punto di vista voi che visione avete della città?

Quello che succede al Villaggio Globale non ha confronto con altri spazi di “co-working” romani. Purtroppo non è facile replicare questo modello altrove. I privati cercano il profitto e non affittano spazi a prezzi calmierati come invece succede qui. Dal canto suo, l’amministrazione pubblica invece è sempre in preda ai forti venti dell’agenda politica del momento e non è in grado di dedicarsi seriamente all’ideazione e progettazione di spazi del genere. È anche vero che lo sforzo che è stato fatto per arrivare a quello che è oggi il Villaggio Globale è immane e affonda le sue radici in trent’anni di storia. Se si paragona questa struttura agli spazi circostanti, che sono praticamente diroccati, ci si rende conto di quanti interventi strutturali e manutentivi ci sia stato bisogno per preservare il luogo come lo vediamo oggi.

Mettendo da parte istituzioni e politiche culturali, che ne pensate di Roma? Che città è dal vostro punto di vista, sia in generale sia rispetto all'arte e alla creatività? Poche settimane fa su queste pagine abbiamo parlato di un fermento locale molto forte, ma sempre con lo spettro dell'instabilità (economica e istituzionale appunto) dietro le spalle.

Roma ha delle caratteristiche uniche rispetto alla maggior parte delle capitali europee: gode di un’estensione territoriale senza paragoni e di una densità abitativa relativamente bassa. Questo favorisce la creazione di tante micro-realtà che noi chiamiamo “bolle”. Le bolle vengono definite principalmente dai quartieri, dalle scuole superiori, dalla politica e dai ceti sociali. Questa realtà frammentata e talvolta campanilista rende difficile usare la città come spinta per il proprio progetto. A Roma troviamo artisti molto conosciuti in alcuni ambienti che invece sono completamente ignorati da altri. Questo però non è solamente un aspetto negativo, in questa città ogni creativo può ritagliarsi il suo spazio a seconda di quale bolla risponde meglio alla sua offerta artistica. Noi, per esempio, non abbiamo mai puntato sul mondo delle gallerie o sul mercato dell’arte inteso in senso canonico, proprio perché è un mondo che richiederebbe troppo sforzo in termini di pubbliche relazioni. Ma non per questo Roma ci ha impedito di vivere del nostro lavoro per tutti questi anni.

Parlando del presente, pochi giorni fa avete realizzato un'installazione negli spazi dell'Hangar Bicocca a Milano, di fianco le torri di Kiefer. Com'è nato questo lavoro?

Il racconto questa volta è meno interessante. Gran parte dei lavori a Milano riguardano installazioni o progetti speciali commissionati da grandi aziende o addirittura multinazionali: solitamente si tratta di progetti con fini pubblicitari o complesse decorazioni per eventi privati. Nel caso dell’Hangar Bicocca, un’azienda farmaceutica ci ha chiesto di realizzare una gigantesca riproduzione del suo logo all’interno del quale il pubblico potesse entrare. La parte più bella del lavoro è stata l’ingegnerizzazione di questa struttura. E, ovviamente, l’indiscusso prestigio della location in cui la abbiamo installata.

A cosa state lavorando ora e a cosa lavorerete nel futuro prossimo?

In questo momento stiamo sviluppando una serie di installazioni motorizzate: vorremmo aggiungere una componente cinetica ai nostri lavori. A metà marzo saremo nelle Marche per lavorare a una parete, a inizio maggio monteremo un’installazione a Barcellona, mentre il 18 dello stesso mese ci sarà l’evento di chiusura del corso di progettazione di installazioni audiovisive che teniamo alla Naba -appuntamento quindi al Villaggio Globale – e subito dopo saremo a Düsseldorf, in Germania.

Se aveste carta bianca, cosa vi piacerebbe realizzare a Roma?

Un sogno che abbiamo da sempre è quello di decorare per interno la torre dell’acqua dell’Acea che si trova a Ottavia, nel quadrante Nord-Ovest di Roma.

Non vi ho chiesto del vostro nome, lo faccio nell'ultima domanda: da dove arriva e perché lo avete scelto?

Il “motore fisico” rappresenta la trascrizione delle leggi fisiche in un ambiente virtuale: se in un videogioco o in un render un oggetto cade e rimbalza è perché sono state scritte le leggi della gravità all’interno di quell’ambiente virtuale. Ci piaceva questa dualità tra vero e fittizio.