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Franco Mazzucchelli

Intervista in occasione della mostra al Museo del Novecento sull'artista dei gonfiabili

Scritto da Rossella Farinotti il 6 marzo 2018
Aggiornato il 20 marzo 2018

Luogo di residenza

Milano

Attività

Artista

In occasione di Non ti abbandonerò mai, a cura di Iolanda Ratti e Sabino Maria Frassá al Museo del Novecento, abbiamo incontrato l’artista che, tra una sigaretta e aneddoti divertenti, ha raccontato della nascita dei suoi gonfiabili – le opere per cui è riconosciuto e riconoscibile e che sembra tutti oggi vogliano replicare (e replicano) nel design e in una certa tipologia di architettura tornata così in auge -, senza tralasciare i primi viaggi di scoperta dell’arte con l’amico Giuseppe Colombo, il liceo al Volta di Milano, le visite in Iran e in Medio Oriente per l’amore delle cose antiche, i pochi scambi di opere con gli amici come Emilio Isgrò o Alik Cavaliere, o, ancora, la surreale proposta, negli anni ’70, di lavorare sopra 1 mq di parete, per giungere allo svelamento delle opere inedite – quelle che riprendono alcune storiche azioni dal ’64 al ’79 – che vedremo al Novecento.

Como 1970
LE AZIONI Abbandono, Lago di Como, 1970. Fotografia di Franco Mazzucchelli

ZERO: la scelta di intraprendere la strada dell’arte contemporanea è stata indicata da una sua attitudine personale verso l’anarchia, piuttosto che da un background culturale famigliare in quella direzione?
Franco Mazzucchelli:
la mia famiglia aveva arte classica e moderna. Non si sapeva cosa fosse il contemporaneo. Un giorno per caso, con pochi soldi in tasca, mi sono iscritto all’Accademia. L’ho fatto per trovare persone come me. Ho incontrato Peppe Colombo (di Villasanta), ottimo sculture e pittore, che mi ha fatto amare l’arte contemporanea, non insegnandomi le tecniche, quelle me le sono costruite da solo poi. Lo scatto è avvenuto li. Sono partito da zero e insieme abbiamo iniziato a girare per l’Italia con la mia bianchina per vedere mostre, opere, installazioni.

Montessori 1967
Meccano gonfiabile, Scuola Montessori, via Milazzo, Milano, 1967. Fotografia F. Mazzucchelli

Quindi il percorso, che poi rivedremo in un certo modo all’interno del Museo del Novecento, attraverso delle opere che non ha mai mostrato prima a nessuno, parte da qui. Come nasce il gonfiabile? Come è arrivato a pensare di lavorare con quel materiale?
Dall’Accademia e dai corsi con Marino Marini, professore che mi seguì e mi fece anche passare dal primo al terzo anno immediatamente. All’inizio mi vergognavo. Sperimentavo con i gonfiabili da solo, in un’aula a parte. Mi interessavano le tecniche. Tutti usavano la scagliola di rovere, mentre io usavo il gesso. Che, formalmente, sembrava marmo. Poi utilizzavo la resina, la plastilina… E questa attitudine che lei chiama “anarchica” l’ho mescolata alla sperimentazione sui materiali e allo studio.

Ho iniziato lavorare fuori dal sistema. Non per andare contro, o come atteggiamento di sfida. Ma per me.

Poi un giorno ho deciso di non guardare più nulla, creandomi una sorta di elegia della disinformazione sull’arte che mi circondava, perché il rischio di venire influenzato era alto. Per questo, ai tempi, in Italia non avevo competitors. Negli Stati Uniti utilizzavano già materiali plastici come i gonfiabili.

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RITRATTO DI FRANCO MAZZUCCHELLI, Ph. Enrico Cattaneo

E l’attitudine politica, quando è arrivata? Parlo di A. TO A., l’arte da abbandonare.
L’abbandono non era un atteggiamento politico, ma di disillusione. Un giorno a Parigi con Alik Cavaliere abbiamo aiutato un suo amico a realizzare 60 opere pittoriche in un giorno. Questo mi ha fatto pensare che non volevo fare quella cosa: lavorare come in una produzione industriale. Da lì è avvenuto un ulteriore scarto di pensiero: dovevo uscire dalla galleria, dovevo lavorare su una sorta di disillusione. Come si fa a essere un operaio dell’arte? Un artista nell’arte contemporanea deve sperimentare con quei pochi materiali rimasti. Ho iniziato lavorare fuori dal sistema. Non per andare contro, o come atteggiamento di sfida. Ma per me. Ho dunque iniziato a pensare ai cartoni, li portavo per strada e li montavo, ma erano troppo spigolosi, scomodi per chi li fruiva. Ho pensato agli espansi, ma avevano dei costi allucinanti. Allora sono arrivato al gonfiabile: ho preso spunto da quello e ho incominciato a interessarmi e a realizzarli, con tutte le difficoltà tecniche di allora.

A. TO A. ALFA ROMEO 30X40 1971
A.TO A., Alfa Romeo, via Traiano, 1971. Opera bidimensionale 70×100. Fotografia di Enrico Cattaneo

Lei dice che la sua arte non era politica, ma una delle azioni più note di fatto era stata realizzata fuori da una fabbrica, parlo dell’operazione di abbandono fuori dalla fabbrica Alfa Romeo di via Traiano nel ’71.

È chiaro che tutti i nostri gesti sono politici, ma in questo caso era più che altro il contesto a essere diverso. Ho girato molto: dalla Camargue, al mare, alle piazze. Con Luciano Inga Pin, a fine anni ’60, è venuta fuori l’idea – che all’inizio per me era quasi solo un gioco personale – dell’abbandono. Lui ha codificato questa azione, che per me era solo un gioco, e realizzavo anche in maniera un po’ dilettantesca.

A.TO A., 1971 - Torino, Liceo Artistico - intervento grafico e PVC dell'opera originale su carta fotografica, 40x30 - Fotografia di Enrico Cattaneo
A.TO A., 1971 – Torino, Liceo Artistico – intervento grafico e PVC dell’opera originale su carta fotografica, 40×30 – Fotografia di Enrico Cattaneo

Un interesse sociale però c’era? Una curiosità per le reazioni delle persone?
Quello si: mi piaceva andare nelle piazze, vedere cosa facevano i bambini, o i passanti. Quella del ’71 ha avuto una ricezione positiva. Dalle fotografie di Enrico Cattaneo si vede che non era una protesta, gli operai erano allegri. Giocavano.
Era un sabato tra l’altro, e io avevo lasciato i gonfiabili per i bambini, non avevo idea che ci fossero gli operai a lavorare.

Volterra 1973
A.TO A., piazza dei Priori, Volterra, 1973. Fotografia di Enrico Cattaneo

Negli ultimi anni a Milano lei ha fatto dei bellissimi interventi, penso a quello a San Paolo Converso nel 2017. Ha restituito allo spazio un altro punto di vista, che è poi uno degli atteggiamenti per cui lei è riconosciuto. Oggi, quando in Italia si vede un “impacchettamento” di quel tipo si pensa subito “è Mazzucchelli”. Mi domandavo se oggi un’azione casuale come “Alfa Romeo”, avrebbe le stesse, positive reazioni?
Credo di sì. Anche se magari è più difficile, dovrei chiedere dei permessi, che non avevo mai chiesto. Ai tempi l’intervento in San Fedele mi costò un milione di lire. Tantissimo.

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A.TO A piazza San Fedele, Milano, 1970. Opera bidimensionale 70×100; Fotografia di Franco Mazzucchelli

E a Santa Margherita Ligure come fece?
Lì ho rischiato molto. Ma volevo intervenire dove ci sono acqua e vento. Oggi sarebbe impossibile, per questioni legali. Prima c’era un atteggiamento più spontaneo e naif rispetto ad oggi. Anche se per fare spostare quel totano di 26 metri dal porto di S. Margherita ai bagni Miramare, già allora avevo un plico di permessi enorme.

Camargue 1969
Camargue, spiaggia S.Marie de la mer, 1969. Fotografia di Franco Mazzucchelli

Invece le opere che esporrà al Novecento in Non ti abbandonerò mai, sono lavori inediti con scritte e immagini documentative dal 1964 al 1979.
Per lasciare traccia delle mie azioni, dato che avevo molte fotografie di Cattaneo, facevo dei quadri che sono documentazioni con fotografie che testimoniano il momento, la plastica – un pezzo dell’opera -, le scritte riprese da registrazioni realizzate da un amico che girava col microfono e che abbiamo sbobinato. Ne ho fatte di un certo numero e di grandi dimensioni. Ma non li ho mai fatti vedere a nessuno. Solo agli amici.

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A.TO A., Volterra, Piazza dei Priori, 1973. Opera bidimensionale 40×30; Fotografie di Enrico Cattaneo

Che rapporto ha avuto con le gallerie, le istituzioni, i collezionisti?
Non ho mai commerciato le mie opere per tanti anni. Le ho sempre tenute un po’ nascoste. Ho un grande difetto: non so chiedere. Non ho mai chiesto, e non ho mai avuto un curatore. Andavo alle mostre degli amici artisti senza conoscere i galleristi.

6_TORINO 1971
A.TO A., Torino, Liceo Artistico, 1971. Fotografia di Enrico Cattaneo

Questo spiega perché questi lavori sono inediti. E tutta la serie della Bieca decorazione?
Ho fatto per tutta la vita il dilettante, quello che non vive della propria arte, ma di altro: insegnamento, scenografie – ne ho fatte tante come il II atto della Cavalcata delle Valchirie alla Scala, il Lago dei Cigni all’Arena di Verona, con 2000 mq che si muovevano, la Fenice di Venezia, il Teatro Regio di Parma – e non ho mai pensato di presentare delle opere in una galleria.

San Carpoforo 1976
Sostituzione, Chiesa di san Carpoforo, Milano, 1975. Fotografia di Enrico Cattaneo

Però questa tipologia di opere, parlo di questa mostra al Novecento, era molto in auge ai tempi.
Non ho avuto un amico critico o gallerista. Quindi per quello non ho mai esposto.

Quindi c’era un po’ di timidezza, ma anche di rifiuto del sistema dell’arte?
Un po’ si. Alik Cavaliere mi fissò appuntamento con la Galleria dell’Ariete, diretta da una signora molto brava. Portai una mia scultura gonfiabile, a le piacque e, nell’arco di mezz’ora, chiamò diversi critici e amici, come Gillo Dorfles. Ero molto intimidito. Lei mi disse che voleva lavorare con me, e che dovevo realizzare un certo numero di sculture al mese, di una certa dimensione piccola. Non mi feci più vivo, sono stato anche un po’ villano. Quello per me era un altro mestiere.

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A.TO A., Alfa Romeo, via Traiano, Milano, 1971. Fotografia di Enrico Cattaneo

Quindi immagino che lei non abbia mai avuto dialogo con il design. Che rapporti aveva coi designer del periodo? E con un personaggio attivo e complesso come Ugo La Pietra?
No, non ho mai avuto rapporti con il design. Non mi è mai piaciuto. Ugo La Pietra è un pensatore, e grande amico, anche lui faceva delle azioni, molto intellettuali, mirate, preparate e studiate. Invece io ho fatto sempre cose più spontanee.

E con i gruppi che andavano di moda in quegli anni? Gli UFO, i vari radicali?
Non mi interessavano: mi sarei dovuto “intruppare” e produrre come loro. Non vi faccio vedere neppure i miei schizzi: bruttini e puerili. Con Alik, mi ricordo, ci mettevamo a disegnare con la destra e sinistra contemporaneamente. Facevamo questi giochi per togliere il bello. Non volevamo farci condizionare dalla gradevolezza di queste cose. Ci venivano fuori degli obbrobri.

Rally sui Navigli, 1972
Primo rally sui Navigli, 1972

Sempre ritornando all’idea della documentazione, un artista come Gordon Matta-Clark, il contrario del design, dato che lavorava sulla distruzione, le interessava? Penso anche alle tipologie di materiali messi in gioco.
Lo conoscevo, ma avevo il terrore di farmi influenzare. Guardi che è brutto farsi influenzare. Nel 1964 ho scelto di essere ignorante, disinformato. Altrimenti pensi che ogni cosa è già stata fatta. Gli UFO, ad esempio, lo facevano con intendimenti totalmente diversi. Volevano colpire dal punto di vista estetico. Avevano i loro critici, i loro gruppi. Per me deve interessare l’azione che ho fatto, non la mia figura come personaggio. Se provocava interesse poi gli articoli uscivano spontaneamente. Penso alla Biennale del ’76, l’articolo sull’evento iniziava con una fotografia con me e Ugo la Pietra.

No, non ho mai avuto rapporti con il design. Non mi è mai piaciuto.

Penso anche a tutti gli articoli e l’attenzione nei confronti dell’azione a Santa Margherita, come una sorta di scandalo, ma dove giornalisti avevano studiato l’azione e la reazione dei soggetti. Accadeva più allora che oggi.
Si, c’era un’attenzione diversa e giravano le notizie in maniera più attiva.

PARCO SEMPIONE 1975 - 30X40
Riappropriazione, Parco Sempione, Milano 1975. Opera bidimensionale 30×40 ; Fotografia di Enrico Cattaneo

Ritorniamo all’approccio del suo gesto. Al Novecento, per la prima volta, lei non si ri-appropria di uno spazio – come in Triennale nel ’73 o come Converso di cui abbiamo parlato -, e non gioca sulle reazioni casuali a un oggetto. Qui è una mostra vera e propria.
Si, e sarà un percorso chiaro e preciso. Nell’arco temporale che va dalle prime azioni, come quella in Camargue del ’64, fino al ’79.

Le opere che vedremo hanno un contenuto sociale, perché ci sono i volti delle persone, le parole e le azioni stesse, a differenza della Bieca decorazione.
La Bieca decorazione è nata perché inizialmente in Accademia a Brera chiedevano delle opere per eventi di beneficenza. Di disegni non ne avevo, opere piccole neppure. E quindi mi sono inventato questi quadri gonfiabili. Ne avevo realizzati alcuni già nel ’72, ma non li avevo fatti vedere a nessuno. Andando avanti, e vedendo che andavano alle aste e venivano pure venduti, ho deciso di dare questo titolo ironico, così non dovevo più dare giustificazioni a nessuno.

VILLA REALE DI MONZA 1978
Riappropriazione, Villa reale, Monza, 1978. Fotografia di Enrico Cattaneo