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Giorgio Corradi

"Chi sceglie di gestire un locale non deve aspettarsi di stare al bancone. Seguire un evento, spesso, significa non poterselo gustare perché c’è tutta la teoria da far funzionare in pratica."

Scritto da Giada Biaggi il 8 marzo 2017

Attività

Imprenditore

Milano. Macao. Zero20 – vent’anni di Zero. Domenica mattina, l’orario è quello in cui non si capisce se la città stia andando a dormire o si stia svegliando. Io sono ancora dentro. Me ne frego della luce che sale sui tetti: domani – che poi è già oggi – non ho niente da fare. Sto per lanciarmi in pista – finalmente – dopo una serata di chiacchiere, ma Zagor mi ferma: «Ale, non abbiamo nessuno all’ingresso laterale del bar. Fermati qui, poi ti trovo un sostituto». In testa: ipotetiche scene di me calpestata da gente selvaggia che vuole accedere al bar o, peggio ancora, vivere nella paura di invecchiare senza aver saltato sotto la cassa di Tyler. «Sì, tranquillo, mi fermo io» dico con incertezza.
Una settimana dopo…Milano è un paesone. Sono in Buenos Aires in compagnia di tre amici. Entriamo in un bar, il DVerso. Un locale normale con una saletta interessante: fotografie appese alle pareti, un calcio balilla e l’insegna: “mercoledì birra media a 3€”. Che giorno è oggi? Poi una faccia familiare.
Torniamo indietro…«Posso entrare di qua?» – «No, di qui passa solo lo staff». Ormai sono in loop sulla stessa frase da venti minuti. Di Zagor nemmeno l’ombra. Giorgio è l’unico con cui scambio un discorso intelligente (per quanto la parola intelligente, all’alba, assuma significati diversi). Poi arriva Alessandro, con una bottiglia d’acqua. Più tardi passerà pure Martina, con un cocktail. E infine Zagor, con un sostituto per me. Tyler non ha ancora finito il dj set. Corro in pista.
Dicevo, DVerso, la birra a 3€, la spillatrice che schiuma fuori il nettare al luppolo e accanto a me un ragazzo dalla chiacchiera lesta. “Io, questo, l’ho già conosciuto da qualche parte“ penso. Finisce che lui è Giorgio, lo stesso ragazzo incontrato a Macao. Scopro che, in questa Italia dove investire è un grosso rischio, lui sta vincendo. Ha trent’anni e possiede tre locali: l’Arci Checkpoint Charlie, il Joy Milano e il DVerso. Ed è socio del Boom. Ha studiato Scienze politiche, ha bazzicato l’ambiente politico milanese, ha investito, o meglio investe tutti i giorni, soldi e vita nel mondo della ristorazione. L’ho intervistato. Mi ha raccontato i suoi giorni da giovane imprenditore – come se tutti potenzialmente potessero aprire quattro locali e arricchire l’offerta notturna milanese con facilità. Il mondo della ristorazione si presta a crescere ancora, perché la gente non rinuncerà mai a un buon cocktail o a un tè in biblioteca. Non so come proseguirà l’avventura di Giorgio, ma è valsa la pena incontrarlo per capire che quello che importa oggi è essere ambiziosi.

Zero – Iniziamo parlando di te: chi sei e cosa fai?
Giorgio Corradi – Una cosa che non faccio quasi mai è parlare di me, ma oggi ci provo. Sono Giorgio Corradi, ho 30 anni. Mi sono avvicinato al mondo della ristorazione un po’ per caso con lavori estivi. Banalmente, quando finivo la scuola, mi mettevo a fare di tutto: cameriere, barman, stavo anche in cucina.
All’Università però ho fatto tutt’altro. Ho studiato Scienze Politiche, una facoltà abbastanza viva dal punto di vista sociale. Durante gli anni universitari, insieme ai miei colleghi, ho iniziato a proporre feste in ateneo. Con un bel gruppo di persone sono riuscito a realizzare diversi eventi che mi hanno avvicinato al mondo della ristorazione. Poi è arrivata l’idea di gestire qualcosa di mio. Da un evento singolo a un’abitudine mensile a qualcosa di stabile, il salto è stato davvero breve.

Come e quando hai aperto i tuoi locali?
Partiamo dal Circolo Arci. Nel 2011 l’attività navigava in cattive acque perché non c’era mai stato un vero e proprio cambio generazionale. Così mi è venuta l’idea, insieme alla proposta, di prenderlo in gestione. Da lì, con molti di quelli che facevano parte della mia cerchia di amici e colleghi universitari, mi sono messo quasi per gioco a cercare di rivitalizzare il locale che, al tempo, si chiamava Cinque Giornate. Oggi è l’Arci Checkpoint Charlie. Questa è stata la prima sfida – proviamo a vedere se riesco a far funzionare un locale, pensavo. Nel 2013 ho aperto il Boom Milano con altri soci. Nel 2015 mi sono dimesso dal ruolo di amministratore, rimanendone socio, e ho aperto prima il DVerso, e poi, durante la primavera del 2016, il Joy – insieme alla mia socia, Francesca. Una bella spesa, ma anche una bella realtà.

Il Boom Milano
Il Boom Milano

Cosa facevi prima di questa esperienza?
Ero in politica. Ero attivo nel sociale e nell’ambiente milanese di sinistra. Nel 2011, con l’elezione di Pisapia, sono stato eletto consigliere di Zona 4.

Quali sono state le difficoltà di inserire le tue attività in una città così dinamica come Milano?
Milano, così dinamica – come dici anche tu-, è una città che favorisce le idee. Bisogna crederci e metterci tempo e passione. A Milano le porte si aprono. In una realtà più piccola penso che mi sarebbe stato difficile fare tutto quello che ho fatto.

C’è competizione fra bar milanesi?
Sì, ma legata a motivi personali. Se nascono delle rivalità, le associo a questioni di vita vissuta e non alla clientela. Le mie attività fanno in modo di sostenere anche le altre dello stesso quartiere. Si lavora insieme agli altri piccoli imprenditori, perché un bar isolato non è un vantaggio. Si crea una rete virtuosa di sostegno che permette a tutti di lavorare bene.

Ti faccio un esempio: il DVerso è accanto a un bar storico di Milano che funziona molto bene. Qual è il rapporto fra i due locali?
Il DVerso è di fianco all’Atomic. Che dire? C’è collaborazione. Teniamo attiva la via e non siamo soli di fronte a situazioni di pericolo come risse. Mi piace pensare che un cliente sia agevolato nell’organizzarsi la serata nel quartiere: aperitivo al Pavè, inizio serata al DVerso e post-serata all’Atomic.

L'ingresso del DVerso
L’ingresso del DVerso

Come hai scelto le zone dove aprire i tuoi locali?
L’Arci Checkpoint Charlie, il DVerso e il Boom si trovano in quartieri che conosco bene e ai quali sono legato. Il Boom è vicino al liceo dove ho studiato, anzi quell’incrocio racconta un po’ la mia infanzia tra asilo, elementari e scuole medie. Qui, al Joy, venivo a studiare quando il locale ancora non esisteva. Il Circolo Arci è di fronte alla piscina dove andavo a nuotare da bambino. C’è un legame affettivo con la zona in cui ho aperto queste tre attività. Se ripenso al primo bacetto, l’ho dato nel parco dove si trova il Boom. A volte riguardo questi quartieri e rivedo me stesso a quindici anni: era tutto diverso. Questa zona è stata l’inizio della mia avventura.

Chi sono i protagonisti dei tuoi bar? Puoi parlarci dei ragazzi che collaborano con te?
È assolutamente importante lavorare in squadra. Con me al Joy c’è la mia socia, Francesca Terzoni, un riferimento solido. Io sono la parte organizzativo-amministrativa, lei ha una funzione di controllo e si dedica alla comunicazione e all’immagine dei locali. C’è poi un’altra persona di fiducia, Sheila, che dai tempi dell’Arci Checkpoint Charlie è sempre stata con me, seguendomi in ogni nuovo locale. Oggi è la nostra responsabile del personale. E, al DVerso, il mio uomo di fiducia è Daniele, detto Base, il bar tender, davvero strepitoso.
Mi fido ciecamente del mio personale, so che con loro posso dormire sonni tranquilli. Durante gli eventi con tanta affluenza è fondamentale avere una squadra reattiva, in perfetta sintonia. Ci legano rapporti personali di stima reciproca.

Adesso siamo al Joy. È un locale ben frequentato. Dietro a questo locale c’è un’idea sociale e culturale?
Quando con Francesca abbiamo valutato questo spazio, sapevamo che la clientela sarebbe stata molto variegata. Oltre alla biblioteca, frequentata da gente di tutti mestieri ed età, nello stesso spazio convivono anche il CAM, il Centro di aggregazione multifunzionale del Comune, e l’Auditorium – che utilizziamo anche noi -, che ospita eventi di tutti i tipi: musica classica e orchestrale, progetti di scuole, conferenze, presentazioni e dibattiti. L’idea è che il Joy che mantenga vivo l’eclettismo di questo spazio già eclettico di per sé. Un esempio pratico, la piazzetta di fronte è il ritrovo del piccolo paese che si è creato e che gira attorno alla struttura. Ci abbiamo messo anche un tavolo da ping pong.

Come nasce una drink list nei tuoi locali?
Lascio libertà ai barman, ma in ogni caso le nostre liste si misurano con la richiesta della clientela. Al DVerso vi consiglio di assaggiare il cocktail omonimo al locale.

Parlaci degli eventi dei tuoi locali.
All’Arci gli eventi si realizzano in base alle proposte che nascono dai ragazzi del quartiere e dai ragazzi del circolo. Al DVerso gli eventi si concertano al venerdì e al sabato. Di solito sono eventi di organizzatori esterni o progetti che vengono proposti al Joy, e che per motivi di spazi spostiamo al DVerso. Al DVerso comunque abbiamo il biliardino e c’è da dire che i tornei spopolano. Qui, al Joy, ospitiamo iniziative comunali e di nostra produzione, ma anche di enti privati che chiedono spazi al Comune. Abbiamo un direttore artistico, Savio, che è molto bravo. Un evento che ha sicuramente un’eco in città è la fiera di food truck, bancarelle di artigiani, circensi, artisti. La ospitiamo una volta al mese, dura tre giorni e ha un’affluenza di 3mila persone al giorno, richiamate dalle prelibatezze da assaggiare e dai concerti del festival.

Onestamente, a quale locale sei più affezionato fra i tuoi?
Così, a getto e di cuore, l’Arci. Ci sono talmente affezionato che non riesco neanche a cambiarne l’arredamento. Subito dopo il DVerso, perché l’ho praticamente costruito io e mi è costato tanta fatica – il bancone è una vecchia sagrestia che abbiamo lavorato a mano. Il Joy è il Joy, inevitabilmente ci sono molto legato perché sto dando me stesso alla realizzazione del progetto.

Il Joy Milano
Il Joy Milano

Dove vai a bere a Milano quando non sei in uno dei tuoi quattro locali?
Octopus, quando ero giovane. Adesso direi Lido, in piazza Cantore. Ci vado quando ho tempo e ho amici in visita.

E a mangiare?
La Cooperativa La Liberazione. Ci sono affezionato, mi mette di buon umore.

Quali consigli daresti a chi si vuole lanciare in attività simili alle tue?
Di non preoccuparsi se non si ha il budget per realizzare ciò che si ha in testa. Un bar si trasforma e si modifica con il tempo. Un po’ come il discorso dei figli: nessuno si sente pronto a farli, poi quando arrivano sono il senso della vita. Ci vuole coraggio, passione, determinazione e anche umiltà. Chi sceglie di gestire un locale non deve aspettarsi di stare al bancone. Seguire un evento, spesso, significa non poterselo gustare perché c’è tutta la teoria da far funzionare in pratica. Al DVerso sono più le volte che ho pulito i bagni rispetto a quelle in cui ho avuto la possibilità di fare cocktail. Forse esagero un po’, ma il concetto credo sia chiaro.

Giorgio al bancone
Giorgio al bancone

Il nome di tre bottiglie che porteresti su Trappist-1
Una Carlsberg Elephant, perché mi piace e perché il nome del nuovo sistema planetario è legato a una birra. Poi porterei una bottiglia di Blackwood Gin e una di vodka, quindi la Zubrowka.

Progetti per il futuro?
Riuscire ad andare in vacanza.

Dove?
In Sicilia.

Altro?
Non mi dispiacerebbe spostarmi anche in altre città, restando legato al mondo della ristorazione.

Eventi in arrivo?
Al Dverso partiamo con una serata Rossetto e Cioccolato. Non ti spiego cos’è perché bisogna andarci. Sarà tutti i venerdì dal 10 marzo. Al Joy invece abbiamo St. Patrick’s Fest, il 17 e 18 marzo. Per il Fuori Salone ospiteremo due installazioni: una, interna all’auditorium, promossa dallo Studio Orama, e l’altra, una stampante 3D che realizzerà un’opera in ceramica, che verrà poi collocata permanentemente qui nel nostro spazio.