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LSWHR

Dopo tre anni di eventi, un centinaio di artisti invitati e decine di location esplorate, LSHWR tira le prime somme con Nowhere, festival di due giorni (più una preview) all'Ex Dogana. Ci siamo fatti raccontare la loro storia e il festival in questa intervista.

Scritto da Nicola Gerundino il 6 aprile 2016
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Foto di Amigdala

Un merito che si deve ascrivere ad LSWHR è quello di averci ricordato che l’elettronica non è solo dischi mixati, ma è anche musica suonata dal vivo, macchine; non solo battute in 4/4, ma anche viaggi sonori da ascoltare semplicemente oscillando la testa. Esemplificare questa attitudine elencando tutti gli artisti portati a Roma a partire dalla prima esibizione (Rrose al Teatro lo spazio nel 2013) sarebbe un impresa mnemonica difficile, è possibile, però, utilizzare la line up di Nowhere, festival che hanno in serbo all’Ex Dogana il prossimo 29 e 30 aprile – più una preview il 15 sempre nella stessa location – che è un ottimo sunto di quanto visto e sentito in questi tre anni di LSWHR: Dopplereffekt, Scan 7, Basinski, Hieroglyphic Being, Oren Ambarchi, Caterina Barbieri, Florian Kupfer, Babyfather, Hot Shotz e tanti altri ancora. Abbiamo sfruttato l’occasione per farci raccontare il festival e questi primi tre anni del progetto LSWHR dai due fondatori: Gabriele Bianchi e Marco Bensaadi.

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ZERO: Iniziamo dalle presentazioni.
Gabriele Bianchi: Gabriele Bianchi, Roma, 26/10/1985.
Marco Bensaadi: Marco Bensaadi, Roma, 12/3/1990.

Vi ricordate il primo disco che avete comprato?
G: Paul Nazca-Alchimie (Scandium, 2001), comprato nel 2004 da Remix, stavo a rota con una traccia: Module.
M: La mia memoria gioca brutti scherzi, ma se non ricordo male Behind The Stars di Pantha Du Prince, preso dal buon vecchio Sandro (Remix) in via del Vantaggio.

L’ultimo?
G: Bintus-Acid Shores (Shipwreck, 2016), da Ultrasuoni a Roma.

M: Gli ultimi dischi li ho presi da Serendeepity a Milano. Abbiamo suonato qualche settimana fa in un posto assurdo, un vero streap club appena fuori dal centro, una ficata davvero. Il giorno dopo l’accoppiata Navigli-Serendeepity era d’obbligo. Il negozio è una bomba e ho trovato tante cose belle. Cito Jungle Echoes di Chaino and His African Percussion Safari (ristampato da un’etichetta milanese)

C’è stato un artista, un esibizione o un disco che vi ha fatto entrare nel mondo dell’elettronica in maniera definitiva?
G: Un’esibizione. Avevo 17 anni ed era una delle mie prime notti da clubber, esattamente la seconda volta che mettevo i piedi in un club. Erano gli Ex Magazzini, organizzava eXpander. Quella sera suonava Freddy K e andava più veloce della luce. La sala era minuscola, erano tutti sudatissimi e sembravano parecchio orgogliosi di esserlo. In fissa brutta da subito.
M: Sicuramente le prime volte in cui andavo a ballare con “i grandi”. Avevo 15/16 anni e il Goa era la mia seconda casa. Mi ricordo bene quei set di Donato Dozzy o dello stesso Giancarlino. Anche i tempi del Rialto per me furono illuminanti.

Quando avete iniziato a mettere dischi? Vi ricordate la prima festa in cui avete suonato e che dischi avevate?
G: Per il 18esimo compleanno mi beccai, in ritardo di qualche mese, una coppia di piatti Stanton Str8-80, 100% risparmio senza qualità. Mettevo i dischi nella cantina di PVS, che già suonava insieme a Saletta, loro erano già forti e io davvero scarso… Una questione di pitch. Mi fomentavo troppo, infatti ho preferito ballare e sono passati alcuni anni per la prima esibizione, che è stata al Rashomon insieme a Marco, febbraio del 2012, ci chiamavamo 665. Nevicava, strade impraticabili e serata annullata, ma ci annoiavamo quindi corrompemmo Kumar (factotum mitologico del Rashomon, nda) per tenere aperto il Rashomon, unici aperti nel raggio di miglia, l’accesso al bar era libero. Declino finanziario, ma serata epica. i miei dischi erano abbastanza techno quel periodo, Sonic Groove, Killekill, Zooloft, The Secret Initiative, etichette così.

Roma, febbraio 2012, clima ideale per il proprio debutto artistico.
Roma, febbraio 2012, clima ideale per il proprio debutto artistico.

M: Ricordo benissimo la prima volta che ho messo le mani su due Technics. Era a casa di Gabriele, mi ha fatto vedere due trick e poi non li ho più lasciati. Dopo poche ore andavano già a tempo e pensavo di essere una specie di bimbo prodigio… Ah! che bello il fomento!

La prima festa che avete organizzato?
G:Confused, con il mio amico Nicholas, a Fregene: mega festa sulla spiaggia e abbiamo spaccato i culi, contro ogni pronostico. La notte andavamo in giro ad attaccare i manifesti e di giorno ci facevamo mille paranoie perché era una produzione abbastanza grande e noi non avevamo nemmeno 2 euro per comprare il gelato, non bisognava essere dei geni in matematica per capire che dal gelato al break even la strada era lunga – praticamente ora dovremmo essere in galera. Comunque alla fine c’erano all’incirca 2000 persone. Il live dei The D.L.O. di quel giorno ce l’ho stampato nella memoria, epico.

La spiaggia di Fregene durante uno dei party a firma Confused.
La spiaggia di Fregene durante uno dei party a firma Confused.

M: Madteo al Rashomon. Il primo club in cui ho lavorato, il primo in cui ho suonato e anche il primo in cui ho organizzato.

Parliamo del primo evento a firma LSWHR
G&M: 30 marzo 2013. Performance sperimentale audio/video di Rrose al Teatro Lo Spazio, adesso se ne fanno molti di live a/v, prima era più insolito diciamo. Proprio come Duchamp, Rrose era vestito e truccato come una donna. L’abbiamo fatto suonare su di un tappeto.

Come nasce il progetto LSWHR?
G&M: In modo spontaneo, come nelle storie più belle. Ascoltando musica e artisti “nuovi”, fantasticavamo line up ideali e poi, senza pensarci troppo, le abbiamo fatte diventare realtà. Più o meno l’idea era quella di fare concerti in un contesto clubbing, con una linea musicale d’avanguardia. Infatti LSWHR nasce anche un po’ per sfinimento: a parte qualche evento sporadico, a Roma la proposta artistica era più o meno rimasta invariata e noi ci annoiavamo e la noia ti distrugge. Volevamo essere per sempre giovani!

Effettivamente, facendo un rapido calcolo, il numero di live che avete ospitato è pari se non maggiore rispetto ai dj set, a conferma di una scelta voluta quindi, e non di una coincidenza.
G&M: Sì, ci ricolleghiamo al perché sia nato LSWHR, la “night life” romana era satura di dj set vari ed eventuali. Noi abbiamo aggiunto un contenuto alternativo a un concetto che era statico ormai da un po’ di anni. Però poi, se ci pensi bene, un dj set nelle nostre serate c’è sempre stato: il nostro dream team, Lamanna e Rawmance, sono due super dj, loro ci sono dall’inizio e hanno sempre fatto un ottimo lavoro. Poi si sono aggiunti Meze e Morozov e anche noi due dietro ai Technics qualcosa ormai la sappiamo fare. In generale siamo un po’ esterofili purtroppo, quindi non ci ricordiamo che spesso gli artisti di casa fanno un 10-0 a un artista straniero che non conosce il pubblico e a cui magari quel giorno gli stiamo sulle palle.

Può capitare, soprattutto qui a Roma, che scegliere di ospitare un live invece che un dj set paghi meno. Ci sono stati momenti in cui avete pensato di aggiustare il tiro, virando sui secondi?
G&M: Per chi ci avete preso?! Noi siamo dei romantici!

Meglio un dj set per tanti o un live per pochi? Avete vissuto entrambe le esperienze magari vi siete fatti un vostra idea abbastanza definita in merito.
G&M: Non è tanto il numero delle persone o il tipo di performance, è più il feeling comune che si crea nella sala. Ci piace quando la gente si perde nel momento.

Tra i tanti artisti che avete ospitato quali vi sono piaciuti di più? Scegliamone 5.
G&M: Dai almeno 6, quelli più simpatici: Vatican Shadow, Andy Stott, Lorenzo Senni, Oscar Powell, Andreas Tilliander (TM404), Robert Aiki (Lichens).

Oltre ai tanti artisti ospitati, avete girato parecchie location qui a Roma, il che mi porta a chiedervi alcune cose: ce n’è una che sentite più casa vostra tra le tante?
G&M: L’Ex Dogana in questo momento è la nostra seconda casa. Per qualche assurdo motivo sposano le nostre idee. In passato comunque sono stati sempre tutti da paura con noi. Maurizio al Warehouse, ad esempio, ci ha fatto sentire parte della famiglia.

Dove vi piacerebbe organizzare un evento prima o poi?
G&M: A casa tua, visto che vai sempre a tutti gli eventi sarebbe giusto che gli eventi andassero almeno una volta da te!

Mi sembra giusto, almeno per una volta toccherà a me gestire le liste! Ma secondo voi a Roma esiste un problema di location, sia numerico che di qualità dei locali? Ve lo chiedo perché magari avete dovuto rinunciare a qualche artista per mancanza di una location adatta, che permetta di equilibrare prezzo del biglietto, numero d’ingessi etc. Oltre al fatto che quando spuntano location nuove – che spesso non sono neanche dei club stabili – il pubblico li affolla volentieri, quasi fossero delle boccate d’ossigeno all’interno di un panorama che ristagna.
G&M: Ma, non ci sembra in realtà, in alcune venue è più difficile fare determinati eventi, ma la possibilità di farli c’è e c’è sempre stata. I nuovi spazi polifunzionali sono soltanto l’offerta a un domanda che si faceva sempre più grande. Voglia di cambiare, di esperienze nuove. Contenuti diversi nello stesso posto, intrattenimento facile e performance di musica, cinema, arte nella stessa serata. Condivisione e aggregazione totale.

Arriviamo così a Nowhere, che ha già avuto una prima edizione qualche anno fa al Circolo degli Artisti: ci potete raccontare come andò e cosa vi è rimasto di quell’esperienza?
G&M: Line up fighissima, ma affluenza scarsissima. Purtroppo l’entusiasmo gioca brutti scherzi! Shackleton, Morphosis, Lee Gamble, Bill Kouligas e i nostri resident di giovedì sera è stata follia pura. Adesso siamo un po più maturi, ma manco tanto.

Nowhere 2016 invece come sarà?
G&M: Non ci sono confini. Stiamo per portare a Roma sia storia che visioni ultra contemporanee: Dopplereffekt e Scan 7 nella stessa line up con Hot Shotz, live esclusivissimo di Senni e Powell, e Babyfather di Dean Blunt. Caterina Barbieri che presenta la prima di Punctum insieme a Carlo Maria. Caterina è un piccolo genio e il nuovo progetto è una delle cose davvero interessanti del festival. Poi ancora, William Basinski e Jamal Moss due divinità nel loro genere, tanta roba davvero.

Ce n’è qualcuno imperdibile?
G&M: A nostro parere sono tutti imperdibili, vorremmo però che l’attenzione pero non si concentrasse soltanto sugli ospiti stranieri. il live di Key Clef, ad esempio, è sicuramente tra quelli da non perdere: pura sensualità analogica. Il dj set di Morozov è un delirio acido, sta in fissa con l’Africa e con l’antropologia e si sente quando suona. Meze è espertissimo, lineare un po’ industriale e sofisticato. E poi c’è Lamanna, technoide e punk, potrebbe anche insegnarci a vivere a 360°.

Che ne pensate dei festival in Italia? Quali sono i vostri preferiti?
Dissonanze ce lo mettiamo perché il suo ricordo è ancorae vivo dentro di noi, poi Club To Club e Dancity.

Con Club To Club mi pare abbiate stretto anche un certo legame. Com’è nato e come va questo connubio?
G&M: Si, è vero. Sergio, Guido e tutto il team sono da paura. È stato un passo importante per noi, ci ha fatto capire che eravamo sulla strada giusta, la chiamata di Club To Club per fare degli eventi in collaborazione a Roma è arrivata in un momento nel quale non eravamo del tutto sicuri di fare le scelte giuste, avevamo qualche paranoia. Loro ce le hanno tolte.

Club To Club meets Romaeuropa meets LSWHR.
Club To Club meets Romaeuropa meets LSWHR.

Siete stati anche in qualche festival all’estero recentemente?
G&M: No, c’ è troppa gente ai festival.

Un’artista italiano su cui scommettere in futuro?
G&M: Caterina Barbieri, Leonardo Martelli.

Il vostro scorcio preferito di Roma?
G: Io vivo a Fregene, quindi sarò banale, ma al mare sto una favola.
M: Avevo capito sorcio all’inizio! Quindi mi è venuto in mente il Tevere, diciamo all’altezza di Castel Sant’Angelo.

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Dove portate a cena gli artisti di solito?
G: Osteria Fernanda, tra a Trastevere e Porta Portese. Adoriamo la loro cucina e soprattutto l’accoglienza e la disponibilità nel raccontare i piatti, alcune cose non sapevamo nemmeno esistessero o fossero commestibili.

Un bar e un ristorante che vi piace frequentare quando non siete a suonare in giro?
G: Städlin, sicuramente uno dei posti migliori a Roma, per bere e ascoltare cose fighe, poi al suo interno c’è Ultrasuoni, il nostro shop di vinili preferito, con i vinyl pusher più cazzuti de Roma! E poi c’è Knick Knack Yoda, andatevi a mangiare il panino “LSWHR” nella caratteristica atmosfera rave/casalinga: con Pier l’esperienza extrasensoriale è garantita.

Che artista vi piacerebbe far suonare a Roma in futuro?
Non si dice mai.

La vostra line up dei sogni per un festival?
G: Sai quante mail devi mandare e ricevere per chiamare 10 artisti?! Non ci vogliamo nemmeno pensare!