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NONE Collective

Il prossimo 27 settembre NONE Collective presenterà l'installazione GENESI per l'edizione 2018 del Romaeuropa Festival. Ne abbiamo approfittato per una chiacchierata a base di arte digitale e immersioni cognitive, macchine e uomini.

Scritto da Nicola Gerundino il 29 agosto 2018
Aggiornato il 30 agosto 2018

Luogo di nascita

Roma

Luogo di residenza

Roma

Attività

Artista

Deep Dream dei NONE Collective è uno dei lavori che più mi ha colpito negli ultimi anni. In assoluto, senza limitarsi quindi al campo delle arti digitali. Se penso ai miliardi di contenuti che un cervello umano ha assorbito dal momento della diffusione del web, al modo in cui viaggiano tra i neuroni e alla vertigine che tutto questo determini, be’, non credo ci sia miglior rappresentazione di quella elaborata dai NONE. Il prossimo 27 settembre – e fino al 7 ottobre, alla Sala Santa Rita – Romaeuropa ospiterà un loro nuovo/vecchio lavoro, GENESI, dove il digitale dialogherà con le pieghe più recondite della coscienza individuale, unendo luci e suoni alle più svariate e antiche tecniche di meditazione. Ne abbiamo approfittato per una chiacchierata, parlando di arte, ma cercando anche di capire dove sta andando la relazione tra vita quotidiana, esseri umani e tecnologie digitali.
GENESI

ZERO: Quando e come nasce il collettivo NONE?
NONE Collective: NONE nasce nel 2013 da una nostra idea – Gregorio de Luca Comandini, Mauro Pace e Saverio Villirillo – e dalla volontà di creare qualcosa insieme.

Chi sono stati i primi membri e a quanti siete arrivati ora?
I primi ad essere coinvolti sono stati Lisa Lentini (architetto), Simone Donadini (coder), Sara Taigher (motion designer), Mariangela Zarriello (produzione e logistica) e via via tutti gli altri. Negli anni alcuni ruoli sono stati integrati, cambiati e adesso siamo una quindicina circa.

Vi ricordate il primo progetto a cui avete lavorato?
Ci siamo conosciuti sul cantiere di Hybrid Space (un progetto Toyota) nel 2013. Lì abbiamo capito che parlavamo la stessa lingua, utilizzando lo spazio in maniera sia fisica che digitale e da quel momento in avanti abbiamo iniziato a sperimentare il più possibile.

Riguardandolo con lo sguardo di poi, come lo giudicate?
Beh, è stato un progetto ben riuscito, è stato esposto a Roma, Milano e Napoli. Certo, ci siamo dovuti confrontare con il pensiero di Toyota e la sua tecnologia, oggi probabilmente lo faremmo in maniera differente.

Qual è l’ultimo a cui avete lavorato e quello a cui state lavorando ora?
L’ultimo a cui abbiamo lavorato è stata una performance interattiva, Panottico, con Valerio Malorni. Adesso stiamo lavorando su GENESI e NO STRATA.

A cosa lavorerete nei prossimi mesi?
Ci divertiremo come sempre a sperimentare in studio, aspettando che squilli il telefono… Da ottobre a dicembre saremo in Brasile, con un progetto promosso da MADAI art, in uno degli spazi del Farol Santander, nell’ambito della Biennale di Arte Contemporanea di São Paulo. NO STRATA, titolo dell’opera che presenteremo, è un’installazione immersiva e percorribile di circa 200mq, la più grande che abbiamo realizzato fin ora.

Sul vostro manifesto c’è scritta questa frase: «Dispositivi digitali e architetture virtuali sono divenute protesi del nostro corpo, un’estensione della nostra mente». Secondo voi a che punto siamo di questo processo: in una fase ancora caotica e primordiale o in un momento di prima stabilizzazione?
Secondo noi è un’evoluzione costante, non sapremmo dire a che punto siamo perché il punto d’arrivo è sconosciuto.

Quando siamo entrati, a larghe linee, nell’era digitale? Qual è stato per voi l’evento, la scoperta o la tecnologia determinate?
Internet.

Allo stesso modo, qual è stato il device che ha reso assolutamente pervasiva nella vita quotidiana la digitalizzazione?
Lo smartphone.

Come vi ponete rispetto a questa digitalizzazione, dagli aspetti spesso incontrollati e selvaggi: contrapposizione netta, interrogazione, assimilazione positiva?
Non ci poniamo né in contrapposizione, né tantomeno in assimilazione. Come spesso diciamo, la digitalizzazione non è il male, ma va creata una dinamica con il mezzo, facendolo diventare un sostegno creativo per sviluppare nuovi futuri possibili.

Cosa vi entusiasma e cosa vi spaventa di più di questo processo?
Le potenzialità sono infinite e questo ci entusiasma particolarmente, il rischio è rincorrere i tempi e i processi della macchina, non sfruttando la macchina per quello che è.

Come cercate di riportare tutto questo nei vostri lavori? Esperienzialità e immersione sembrano essere le due dimensioni chiave.
Creando sempre nuove esperienze, nuove percezioni, che sono possibili grazie all’utilizzo della macchina e della tecnologia per sperimentare nuove esperienze che non sono “ancora” quotidiane.

Fate base a Roma, come vivete questa città rispetto al vostro lavoro e alle tematiche che portate avanti? Detto altrimenti, Roma non sembra essere il più fertile dei terreni per una vita quotidiana digitale…
Roma è Roma. Sublime e difficilissima al tempo stesso, ma lascia molti stimoli, percettivi, estetici, quotidiani, che possono essere sfruttati per quello che ci piace e quello che facciamo, cioè arti digitali e multimediali.

Ci sono altre realtà cittadine che si interrogano sui vostri stessi temi e di cui apprezzate particolarmente il lavoro?
Sì e sono anche un bel po’, li abbiamo ospitati tutti a Simposio ed è stato un bel modo per confrontarsi. Tanti artisti come Valerio Malorni, gli Ultravioletto, ma anche Quiet Ensemble, Nodes, Muta Imago, Donato Piccolo, Donatella della Ratta, Franz Rosati, Ubik, BAD PEACE per cui abbiamo fatto degli interventi durante il loro programma per l’edizione 2018 di Short Theatre.

Che esperienza è stata per voi quella di Simposio? Qual è l’eredità che vi lascia?
Simposio è stato un programma di cinque appuntamenti, uno al mese da gennaio a maggio, in cui abbiamo invitato artisti, intellettuali, ricercatori, scrittori, comunicatori, hacker, per approfondire, attraverso la pratica conviviale del simposio greco-romano, la consapevolezza del rapporto uomo-macchina e per indagare la metodologia con cui l’arte può agire sul presente. È stata un’esperienza che ci ha permesso di allargare il nostro network, sia a livello di partecipazioni che di collaborazioni e farlo nel nostro studio, in casa, diciamo, ci ha permesso di conoscere molte persone. Ha avuto un bel riscontro: evidentemente ce n’era la necessità.

Tra i tanti ospiti ce n’è qualcuno che vi ha colpito particolarmente, per la capacità soprattutto di proporre visioni e letture nuove della digitalizzazione della vita quotidiana?
Simposio è stato una rivelazione e tutti gli ospiti a loro modo hanno contribuito a questo progetto, provenendo da ambiti differenti, con competenze, conoscenze e visioni differenti. Da Francesco Nucci, al Collettivo Ippolita, a Donato Piccolo, tutti hanno contribuito fortemente. È stata sicuramente un’esperienza stimolante per la costruzione di futuri possibili.

Riproporrete Simposio anche nel 2019?
Pensiamo di sì, ma non con la stessa formula: non ci ripetiamo!

Arriviamo a Romaeuropa. Che lavoro porterete per questa edizione 2018?
Presentiamo GENESI in una veste ancora una volta rinnovata. L’installazione – o rito collettivo, come preferiamo definirlo – sarà allestita site specific all’interno della Sala Santa Rita e sarà visibile gratuitamente dal 27 settembre al 7 ottobre.

Che esperienza sarà?
Entrando nello spazio lo spettatore inizierà un percorso, ritrovandosi al centro di una celebrazione, e diventerà parte dell’opera stessa, all’interno della dialettica costante dei due stati dell’essere: la coscienza e l’incoscienza, il sapere e l’ignoranza, l’antica dicotomia tra la luce e il buio. Immerso tra le più svariate e antiche tecniche di meditazione – il mantra OM, i canti gregoriani, le campane tibetane, i canti dei Muezzin, l’ipnosi – lo spettatore sarà messo alla prova dal suono e dalla luce, accecante e ardente, trasformandosi in
performer inconsapevole.

Qual è per voi il significato di questo lavoro e la sua importanza all’interno del vostro percorso?
Sicuramente GENESI è un lavoro che ci piace proporre perché ogni volta diventa un’esperienza diversa dalla precedente. È un’installazione performativa live e il performer in scena è il pubblico stesso, in maniera del tutto inconsapevole. Lo proponiamo soprattutto quando abbiamo a disposizione location particolari, come le chiese, perché si viene a creare un’atmosfera molto potente da cui ogni volta restiamo sorpresi.

Com’è realizzato tecnicamente?
Audio, luci, mylar, nebbia.

GENESI al Blooming Festival.
GENESI al Blooming Festival.

Vi è capitato di avere dal vivo un’esperienza di trasporto, quasi di trance, simile a quella che cercate di attivare con GENESI?
Sicuramente la musica è in grado di “trasportarci” in vari stati, perché no, anche di trance. Seguiamo da molti anni Ars Electronica: è una piattaforma ambita e a cui prestiamo sempre attenzione.

Cosa siete curiosi di vedere del programma di Romaeruopa 2018?
Ryoji Ikeda.

Chiudiamo aprendo la porta ai desideri: con un budget illimitato, che lavoro vi piacerebbe realizzare e soprattutto dove?
Se fossimo ricchi e famosi, proporremmo un programma globale di recupero per gattini smarriti nelle città, oltre a ripulire gli oceani dalle materie plastiche.

In un futuro neanche troppo lontano...
In un futuro neanche troppo lontano…

Contenuto pubblicato su ZeroRoma - 2018-09-15