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Rayon Vert

I parka meneghini dell’open-manufacture per outdoor

quartiere Centrale

Scritto da Piergiorgio Caserini il 16 febbraio 2022
Aggiornato il 23 febbraio 2022

Foto di Luca Grottoli

Siamo andati a parlare con il brand di outdoor che mescola un’estetica da suburbs con le panoramiche mozzafiato delle creste rocciose di montagna. Diciamo da subito che brand è una definizione che sta stretta, perché il pregio di Rayon Vert è quello di puntare su un approccio che mescola nell’alambicco della strumentazione tecnica didattica da DIY e coscienza del prodotto. Ovvero: impara a cucirti il necessario secondo le tue necessità e fai sì che ciò che hai sia il giusto e sia durevole. Ascolta i Parka del trekking sostenibile e poi, giovane trekker, usa la forza e segui le guide da outdoor e sarai pronto a lanciarti con prodotti open-manufacture tra i crinali selvatici delle Alpi che cingono Milano.

«Ciò che uno si fa per sé è per certi versi più in direzione dei propri bisogni: c’è più controllo sul materiale, più consapevolezza rispetto a ciò che ti serve o non ti serve…»

 

Cominciamo dalle basi, come e quando nasce Rayon Vert? Prima o dopo l’interesse per l’outdoor?

Rayon Vert nasce nel 2017, e inizialmente era uno sfogo per fare qualche cosa al di fuori della grafica. Mano a mano ci siamo interessati di cucito, di outdoor – che già era una cosa che ci piaceva – e abbiamo cominciato ad andare in montagna sempre più spesso. Frequentando blog e quant’altro ci siamo appassionati prima all’attrezzatura tecnica e poi alla manifattura DIY. Abbiamo cominciato a prendere i tessuti, imparato a usare le macchine e passando per parecchi errori… Ma ciò che ci interessa realmente è il lato didattico ed educativo dell’attività. Come noi abbiamo imparato a cucire vorremmo portare questa pratica, che è un’idea, a più persone possibili. L’esempio più eclatante è stato nel 2020, quando Iuter ci ha lasciato l’intera azienda per un workshop dedicato a imparare come cucirsi il proprio zaino, a cui hanno partecipato una ventina di persone. Lo stesso vale per alcuni kit, sempre di zaini, che abbiamo messo in vendita sul sito e prevedevano che l’utente imparasse a cucirsi dei pezzi. O ancora una maglietta smontata, con un video che spiegasse a chiunque come cucirsela. 

Quanto è stato difficile imparare a cucire da soli?

Difficilissimo, non hai idea. Se avessimo fatto un corso sarebbe stato tutto più semplice e avremmo fatto tutto più in fretta. Io ho comprato la macchina da cucire su e-bay, un collega che poi si è tirato fuori l’aveva trovata per strada, abbiamo cominciato così. E poi abbiamo portato nel gruppo persone che avessero più know-how e da lì è diventato tutto più professionale. 

Tornando al workshop, com'è stato? Qualcuno ha cominciato a cucirsi abiti e equipaggiamenti?

Allora, non tutte – e questo è anche un tema: non ci aspettiamo davvero che ognuno si metta a cucirsi il proprio, perché sappiamo che richiede molto tempo, molta ricerca, insomma non è facile da inserire nella vita di tutti i giorni. Sicuramente tutti quelli che l’hanno fatto hanno sviluppato un punto di vista più critico rispetto a come un capo è fatto. Poi nel 2021, dove le mass production sono in sostanza il grande male del pianeta, come marchio sostenibile non crediamo nemmeno che il riciclo sia la chiave per andare incontro alla crisi che abbiamo davanti. Si tratta piuttosto di ottenere una certa consapevolezza rispetto alla durata di ciò che hai. Comprare meno ma di più qualità, saper riparare eventualmente le cose che hai, sapere andare nel posto migliore per fartele riparare se non ne sei in grado. In fondo è un discorso di qualità. Magari c’è meno bisogno di marchi che producono 10.000 magliette da 1€ e qualche marchio in più che te ne fa una a 50€, dove però questa ti dura almeno 5 anni e 7 se sai ripararla. Questa è la direzione dove stiamo andando. Poi c’è stata gente che ha cominciato a cucirsi di tutto. Un ragazzino in particolare di 19 anni che da quando ha fatto il workshop ha cominciato a cucirsi giacche, pantaloni, cose e adesso veste come un pazzo. Però è stiloso. 

 

Quanto è comune nell’ambiente outdoor questa attitudine al DIY, che a vita mi pare un po' da preppers?

Allora, esiste ma nei circuiti di nicchia, specialmente americani. Gente over 45 che si mette, si cuce la propria roba e decide di partire e farsi dei viaggi con ciò che si è fatto. Perché ciò che uno si fa per sé per certi versi è più in direzione dei propri bisogni, hai più controllo sul materiale, su ciò che ti serve o non ti serve… e poi ti porta a un mindset che non riguarda soltanto quello che ti cuci ma come gestisci tutto il tuo equipaggiamento. Da questo punto di vista c’è una ricerca critica. 

Tra cucito, recupero dei materiali, capacità di ripararsi gli strumenti ed educazione al consumo – come durata – mi sembra che sia ben presente l’idea di educare l’utente attraverso il prodotto. Un’idea ben piazzata e pure esplicita. Molto diversa dai prodotti chiusi, a scatola, che il mercato di massa solitamente propone.

Guarda, ricordo un progetto su Kickstarter di Dave Hakkens, Phoneblocks, che poi venne portato avanti da Google con Project Ara fino a che non l’abbandonarono, che riassume un po’ la nostra idea di sviluppo. Un po’ nerd, come noi, ma che sa spingere il consumatore a farsi due domande e a ragionare. Qui, parlando di abbigliamento tecnico – ma anche l’industria in generale – è molto spesso over-ingegnerizzato. Quindi ti ritrovi con zaini da un milione di tasche, un sacco di features, che poi alla fine nell’effettivo non ti servono ma è solo roba che ti porti sulla schiena. Partendo da questo discorso, dal chiederci se questa roba ci serva davvero, se non fosse piuttosto un meccanismo anche un po’ perverso del mercato, per cui uno crea uno zaino in un modo, l’altro deve fare qualcosina in più e ci aggiunge qualche cosa, e così via; diventa una ricerca over-tecnica che non sempre è quello che serve. Per questo poi, quando pensiamo al futuro di Ryon Vert, non ci immaginiamo a produrre milioni di capi, ma farne pochi e in maniera più consapevole. 

 

Insomma, mi sembra che ci sia un rapporto, o comunque una volontà, di fare community. Almeno con i prodotti, per ora. A quando le uscite organizzate per il trekking con Rayon Vert?

Ecco, è una cosa che vorremmo allargare – Covid a parte. Vorremmo cercare di farlo sempre di più nel futuro, e stiamo lavorando anche su quello. Abbiamo lavorato anche con Nike e altri grossi brand, e lì diventa sempre più un casino, tra assicurazioni e via dicendo, e stiamo cercando il modo di farlo nella maniera più smart possibile. Semplicemente facendo delle call, e chiunque voglia unirsi lo può fare in modo autonomo.

 

Portare il city-boy altrove – che era pure il claim di POPEYE, rivista che ti portava a guardare sempre fuori nonostante si occupasse poi di menswear. Un po’ come le guide o il video che avete fatto uscire a novembre, no? E che riprendono pure quell’immaginario un po’ urban, da sottopasso urbano con i torrenti di montagna.

Beh, siamo quasi tutti cittadini, persone di città e principalmente di Milano. Per certi aspetti quell’immaginario riflette quello che vediamo tutti i giorni, comprese le montagne che sono molto vicine, le Alpi molto alte che si vedono a cielo terso nel quotidiano di Milano. Il video poi è l’inizio di una serie di guide (che in verità abbiamo già cominciato) col supporto di Nike ma che probabilmente continuerà anche senza di loro. Le abbiamo fatte perché molto spesso capita che su Instagram mi scrivano per chiedermi dove andare in montagna, quali percorsi fare, come farli, insomma c’è questo problema per cui a cercare queste informazioni online ti ritrovi a navigare tra mille siti e non si capisce mai un cazzo: né il livello, né dove partire, cosa fare. E allora sul sito abbiamo cominciato a fare di tutti i percorsi che facciamo abitualmente una breve review e un tracciato GPS, indicando per esempio se si trova acqua, se è facile dormire, se c’è cibo, se il telefono prende, l’altitudine, insomma qualsiasi cosa possa servire all’utente per fare quel percorso. Le prime escursioni che abbiamo fatte sono tutte nel circondario di Milano, perciò alcune sono raggiungibili in macchina, altre in treno… l’idea è avere un luogo per i city guy per capire che cosa si può fare vicino alla loro area. Assieme a questo abbiamo realizzato una serie di iniziative. Il 15 di dicembre, ad Assab One abbiamo avuto un talk – supportata da Nike – con un glaciologo che si chiama Michele Freppaz, uno studioso dell’Università di Torino del CNR, massimo esperto di ghiacciai. Poi c’è un artista che si chiama Neunau, che dal 2015 è tornato a vivere in Valcamonica e registra il rumore del movimento dei ghiacciai: lascia per mesi i microfoni e risale a prenderli. 

 

L'outdoor, assieme a quell'ombrello dell'healthy, è decisamente diventato una tendenza oggi, un'ondata bella spessa a cui si stanno accodando brand importanti, tipo Nike, appunto.

Guarda, è un periodo d’oro per l’outdoor. Nike ha resuscitato ACG – All conditions gears, una linea che negli anni Novanta aveva avuto trovate di design interessanti come le prime scarpe in canapa, le Nike Considered che erano scarpe smontate, che se ti si rompeva la tomaia potevi cambiarla e anche la suola era sostituibile… insomma c’era dell’innovazione. Adesso, tornando a fare questo genere di progetti in questa cornice, cercavano dei partner per costruire un discorso. Abbiamo deciso di fare un lavoro discorsivo legato all’informazione, tra talk, guide… con l’intento di andare a nobilitare il pubblico. Considerandolo sempre come parte attiva del processo e dei prodotti, come abbiamo fatto finora. Anzi, a febbraio ci sarà anche la nostra prima uscita di abbigliamento con un grosso brand – top secret per ora – e di certo ci sarà un forte aspetto di didatticizzazione dei capi. Per quanto riguarda me, sto uscendo meno al venerdì sera, proprio perché sto meglio il giorno successivo ad andare da qualche parte. Mi dà fastidio pure perdere mezza giornata e non fare un cazzo. Life changing proprio, nell’ultimo anno. E ultimamente stiamo uscendo parecchio. Poche uscite di più giorni, ma molto spesso. 

 

Posti prediletti per outdoor?

Ce ne sono migliaia, ma quello che mi piace fare sono o le corse veloci, non lunghe – più alto è più è bello, in cresta; e qui la valle d’Aosta, le Dolomiti… non ci sono molti percorsi lunghi in Italia. C’è il tour del Monte Bianco che abbiamo fatto con la nostra strumentazione, che è un girotondo attorno al monte di 180 km sul massiccio, e poi la Via degli Dei, un po’ più corto meno impegnativo ma molto bello. Se poi vai in Francia o negli Stati Uniti ci sono percorsi lunghissimi ed equipaggiati.

 

Yuri passing near the waterfalls of Pizzo Ligoncio. Picture by Teo Poggi©

 

Com'è stata la prima volta con la vostra strumentazione e vi siete resi conto che avevate sbagliato qualche cosa?

Eh, è successo, sì. Tantissimo scotch. Zaini che cadevano a pezzi. Abbiamo ancora i prototipi tutti incollati. Poi anche le persone, nel senso che metà delle persone mollavano, a uno si infiammava un ginocchio, l’altro prendeva una storta, uno un colpo di calore, uno che portava troppo e uno troppo poco, insomma eravamo completamente impreparati. Semplicemente tra amici.

Un’immagine divertente: il fruitore perfetto di Rayon Vert è quello che impara a cucire, vi ringrazia, e fa da sé.

Esattamente, o al limite verrebbe a lavorare con noi.