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Arthur Arbesser

O la moda vista da un austriaco adottato da Milano e diventato «uno dei suoi fashion designer più promettenti»

Scritto da Emilio Cozzi il 19 settembre 2015
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Qui in redazione qualcuno confessa che sono solo tre gli austriaci internazionali che conosce: il primo ha terrorizzato il mondo nel tentativo di conquistarlo con dei baffetti da scemo. Il secondo ha iniziato sollevando l’Universo per accontentarsi della California. Il terzo, quel globo tanto ambito, potrebbe davvero farlo proprio, ma al contrario dei due compatrioti, attraverso cultura fatta stile, eleganza e linee rigorose. E per quanto si stia parlando di uno stilista, la riga appena scritta, quella sulla cultura eccetera eccetera, non è mai stata così calzante.

Arnold-Milano-Moda-Cultura
Arnold e Arthur: austriaci mr. Universo. Ma con qualche differenza di stile

Perché Arthur Arbesser prima di essere «il futuro Jil Sander» (Franca Sozzani) o «uno dei fashion designer più interessanti di Milano» (più o meno tutti gli altri), prima di essere il premio “Who is on next” 2013, finalista LVMH Prize, nonché neo direttore creativo di Icerberg, è un (molto) poco più che trentenne viennese adottato da Milano, che conosce le cose belle, le scova tipo segugio e sa apprezzarle. Quindi le mescola tutte e, con un’armonia che per chi scrive ha del magico, le distilla nei suoi abiti. O comunque nel suo lavoro.

A giugno, durante una presentazione a Palazzo Pitti, ha voluto in passerella lavori di Memphis creati da Ettore Sottsass. Per non farsi mancare nulla, in quell’occasione le sue creazioni omaggiavano le ceramiche di Bitossi e l’architettura di Gae Aulenti. Per presentare la sua linea autunno/inverno 14, ha usato la casa dell’architetto Luca Cipelletti, in barba all’insensatezza che gli altri chiamano glamour. Qualche tempo prima, mentre le sue modelle sfilavano in una scenografia meneghina ricostruita a Vienna, in sottofondo pompava Schubert, antica passione dai tempi dei pomeriggi – lui li chiama «nerd» – con gli amici alla Wiener Staatsoper – si mormora da piccolo volesse diventar cantante lirico, salvo scoprire di non avere la voce.

La presentazione della collezione autunno inverno 2015 di Arthur Arbessere
La collezione autunno/inverno 2015 è un omaggio a Vienna, città natale di Arthur.

 

Bene, conoscendolo dagli anni immediatamente successivi ai suoi studi alla Saint Martin di Londra, quando il benvenuto a Milano glielo diede l’ufficio stile di Giorgio Armani – presente le t-shirt di Rihanna? Ecco, lo zampino era suo, di Arthur -, e ora definitivamente sulla rampa di lancio, non potevamo esimerci dal disturbarlo per farci spiegare, da perfetti outsider della questione, la Settimana della moda e la moda tutta. E farci dire come le vede uno chi le vive da dentro. E che aspetta la Fashion Week per farci debuttare la sua prima collezione da boss creativo, venerdì 25 alle 15:00, in via Piranesi 10. Parola al conquistatore austriaco.

ZERO – Arthur Arbesser in una riga. O tre parole.
Arthur Arbesser – Un ragazzo fortunato, perché può fare quello che ama fare.

Il tuo percorso – un misto di impegno, gavetta e riconoscimenti non tardivi – è il sogno del 90 percento degli studenti di moda. Quali sono state le tappe fondamentali?
La base deve essere un interesse profondo e una testa aperta, ma anche la voglia di lavorare duro. E soffrire! Poi l’università giusta – nel suo caso, la Saint Martins ndr -, o meglio il professore giusto: uno che ti insegni a seguire la tua creatività e il tuo istinto. E dopo, secondo me, anche un’esperienza lavorativa che ti insegni ad ascoltare e a fare quello che ti dice un capo, anche se non sei sempre d’accordo.

Arthur_Arbesser_Franca_Sozzani_Who_is-on-next
Who is on next? Arthur Arbesser, of course!

 

E quali saranno le cose da fare qui in poi?
Non perdere la concentrazione e continuare a lavorare. Sono solo all’inizio con il mio progetto e il ritmo è importante. Secondo me una certa lentezza e i passi giusti, oggi più che mai, fanno la differenza. È come avessi una missione in testa, che seguo passo per passo, ma che impone ancora una strada lunghissima.

Vienna ti ha cullato e Londra fatto studiare; perché un austro-britannico viene a Milano a fare moda?
Subito dopo la mia laurea ho iniziato a lavorare qui. Con gli anni questa città è diventata casa mia, e i miei amici qua la seconda famiglia. Penso sia un buon momento per Milano: vero, ci vuole novità, ma sembra non manchino l’energia e la volontà di farla crescere.

Arthur_Arbesser_abito_1_moda

 

Che cos’è per te la Milan Fashion Week?
Facciamola semplice: la Settimana della moda è un paio di giorni stressanti, ma idealmente piena di momenti e incontri molto belli.

Mmmmm, io sono di fiere origini contadine, la moda non mi tocca neanche impegnandomi. Dimmi perché sbaglio.
Secondo me non è vero… Hai il tuo stile! Bene, e allora dico che se la moda non ti tocca non sbagli per niente. Chissenefrega? Non deve per forza toccare tutti. E come me con i videogiochi – touché, l’austro dominatore è scaltro, ndr.
Comunque sia, la moda è un mondo pazzo, di persone che lavorano giorno e notte e che ci riversano tutta la loro passione, l’energia e il cuore. Penso che una cosa così abbia sempre un lato emotivo, in grado di toccare anche un Emilio Cozzi di fiere origini contadine. Se dopo una sfilata vedessi la gente che si abbraccia con le lacrime agli occhi per il lavoro fatto insieme per mesi, anche tu ammetteresti che è magico.

Una volta si diceva «Milano vende moda». È ancora vero? Saresti comunque venuto qui se re Giorgio non ti avesse accolto a corte?
Questo non lo so. La vita di ognuno inforca strade che quasi mai puoi conoscere prima. Comunque, dopo Londra, volevo andare via e conoscere un altro modo di “fare moda”. Milano mi sembrava una scelta logica. E comunque, sì, penso che Milano venda ancora tanta moda.

Com’è la giornata tipo di «uno dei designer più promettenti del panorama milanese»?
Anche se sono stanco, sono spesso già sveglio alle 6 e mezzo e penso a fatture, scadenze eccetera. Dalle 8 e mezzo vado in studio, corro da un appuntamento all’altro, idealmente pranzo con tutti in studio, magari fra un fitting in laboratorio e mille email o telefonate in mezzo. Se sei fortunato un drink al pub a fine giornata. In ogni caso è abbastanza come un criceto nella sua ruota ma sempre bello, perché ogni giorno succede qualcosa di inaspettato.

Sfili con Schubert in sottofondo, in passerella vuoi opere di Memphis, omaggi Bitossi e Aulenti, hai lavorato con Cipelletti. Sembrano indizi di una ricerca: esiste un nuovo modo di vestire? Se sì, dove o come lo cerchi?
Qualsiasi novità deve arrivare da te. Nel senso che la devi già sentire dentro. Se cerchi di stupire con qualcosa di “nuovo” di sicuro non funziona. Luca Cipeletti è anzitutto un amico, ma è anche una persona che mi ispira e con la quale è sempre bellissimo scambiare i pensieri. Per questo, spesso, nascono l’idea o un concetto di presentazione interessanti. In generale, nella vita, penso che “insieme” si sia più forti. E ti diverti pure di più.

Il film che ti rappresenta meglio. E la canzone che ti rappresenta meglio
Non lo so, penso nessun film mi rappresenti davvero… Magari un mix tra Out of Africa, Il club delle prime mogli, Fahrenheit 451, Bitter Moon e Overboard. Per la canzone un altro mix tra Slave to Love di Brian Ferry, Ciquitita degli Abba e di sicuro un Impromptu di Schubert.

Fra gli aggettivi più usati per descrivere i tuoi capi ci sono: genderless, austero, minimale, rigoroso, fresco come «il suo ciuffo da scienziato pazzo». Quali ti rappresentano di più e di meno?
Direi che fresco come «il suo ciuffo da scienziato pazzo» mi rappresenta di più!!! – proprio con tre punti esclamativi, me l’ha detto, ndr – Austero di meno… perché suona troppo secco e triste. Vero, sono spesso serio, ma c’è sempre anche qualcosa di morbido e fragile.

E che cosa detesti invece si dica di te o del tuo lavoro?
Per fortuna non si è detto ancora così tanto da poter detestare qualcosa.

«… è tutto abbastanza come un criceto nella sua ruota ma sempre bello, perché ogni giorno succede qualcosa di inaspettato…»

Da pretendente cantante lirico, canti sotto la doccia?
Sono di fretta, penso e basta… Purtroppo no, non canto sotto la doccia.

Aiuta di più essere finalisti del LVMH Prize o un tweet in cui Franca Sozzani ti definisce il futuro?
Entrambe le cose aiutano tantissimo; di sicuro, però, essere finalista del LVMH Prize 2015 ha più peso perché a farti arrivare lì è una giuria internazionale, composta da circa 60 fra le voci più importanti di tutto il fashion business. E che ti considera uno degli 8 giovani stilisti in quel momento più interessanti al mondo.

Sembra difficile intravedere una nuova generazione italiana di fashion designer. Un discorso simile vale anche per il design; sembra quasi Milano viva su allori. Appassiti. Da “straniero adottato”, sei d’accordo o puoi segnalarci degli emergenti – italiani – da tenere d’occhio?
Direi che non sono io la persona giusta per giudicare… Ma so, per esempio, che Vivetta o Come for Breakfast sono bravissimi, hanno successo e una visione personale e internazionale.

È vero che per diventare stilisti ricchi e famosi bisogna essere già ricchi?
Mamma mia…ricchi e famosi, che ridere! In ogni caso no, non direi che per avere successo sia necessario essere ricchi. Se lavori come un pazzo puoi anche farcela così. E poi sono convinto che alla base di qualsiasi successo ci sia sempre e comunque il talento.
Vero, se mi guardo in giro oggi devo ammettere che tanti giovani stilisti hanno già un sacco di soldi ancora prima di cominciare, il che ovviamente è un aiuto enorme per loro all’inizio. Ma la cosa non garantisce affatto una carriera lunga.
Alla fine non essere ricchi credo dia addirittura una carica in più per lavorare. Perché un bel giorno essere consapevoli di avere raggiunto un obbiettivo solo per aver lavorato tanto dev’essere una soddisfazione incredibile.

Arthur-Arbesser-Runway-Altaroma-Altamoda

Dai un consiglio a chi studia moda a Milano.
La moda è un mondo vasto, che richiede competenze e profili professionali diversi, perciò non accanitevi nel voler fare solo il designer. Ma se voleste proprio quello, bene, mettete in conto di dover essere dei veri pazzi ossessionati dal lavoro e molto, molto pazienti.

Ora il consiglio vero. Quello spietato.
Ma va’, negatività e gelosia non servono; divertitevi tanto e fatevi una bella rete di amici.

Quella di settembre sarà la tua prima collezione donna da direttore creativo di Iceberg. Come ci si prepara?
Con Iceberg è stato bello perché c’è una storia, c’è un dna forte, c’è un archivio pazzesco e tutto questo ti dà già tanti stimoli. In più c’è un’azienda meravigliosa dietro. Per il resto inizi come sempre, con la ricerca, con un mood… Tento sempre di creare una storia, un mondo e così via.

Che cosa ami e detesti di Milano?
Di Milano amo i miei amici e detesto i motorini sulla pista ciclabile.

E che cosa fai in città? Dove preferisci fare un aperitivo, cenare, andare a ballare?
La compagnia fa tutto. Comunque posti come il Bar Basso, la Belle Aurore o e il Luca’s sono garanzie, come il Glitter per ballare. Insomma per me è importante che siano posti dove la gente non si prende troppo sul serio.

https://www.youtube.com/watch?v=L6_SbflSwAg