E chi l’aveva mai utilizzato il termine “policromo” prima di imbattersi in un numero di Torazine? Io mai e a distanza di anni è ancora quella parola contenuta nel sottotitolo che mi attiva le sinapsi. “Capsule policrome di controcultura pop”, questo si leggeva sotto il logo di ogni numero di Torazine, con quel font da “iperfuturo nipponico” che un po’ mi ricordava quello del primo “Wipeout” per PlayStation, un po’ mi lasciava intravedere un mondo di devianze e feticismi (hentai) finalmente con il coraggio di mettersi sotto i riflettori. Il richiamo alla chimica farmaceutica (e musicale) delle capsule colorate aveva poi fatto il resto. E quindi, folgorazione, divinazione, culto (dell’anti-culto) immediato: sovvertire ogni angolo del reale dissacrandolo, con la cassa sparata in quarti. Esisteva di meglio? No.
Torazine è stata un’oasi nel deserto con grandi quantità di MDMA nelle sue acque. Un’epifania difficile da soppesare oggi, nell’epoca dell’AI e del meme ubiquo, ma assolutamente esplosiva in un Novecento agli sgoccioli che avrebbe imparato ben presto la lezione, trasformando in quotidianità il nichilismo pop contenuto nelle pagine di questa zine (incredibilmente tutta romana). A oltre vent’anni dall’ultima pubblicazione, Torazine torna come un glitch di carta grazie al lavoro congiunto di Nero e Ratigher, che hanno raccolto tutti i volumi e i materiali pubblicati tra il 1995 e il 2002 in un tomo imperdibile dal titolo che, giustamente, sa di invocazione satanica: “Torazine 666“. La pubblicazione sarà realizzata con il format Prima o Mai: verranno stampate e consegnate solo le copie ordinate a partire dal 13 novembre e fino al 24 dicembre 2024 (qui il link). I motivi per acquistare il tomo e custodirlo (o maltrattarlo) come una reliquia, li abbiamo raccolti in questa intervista, che da “semplice” dialogo a due con Clara Ciccioni, editor di Nero e NOT, si è trasformata in un racconto plurale fatto di aneddoti e détournement lisergici, allargandosi ad alcune entità e penne che hanno infestato con i loro pensieri le pagine di Torazine: Rota Masada, Infidel, Giovanni, Borgia, Baby Lonbitch, Simon Page, Macchina.
Partiamo dalla nascita di Torazine: come e quando è nata questa pubblicazione? C’è stato un sabba editoriale in qualche capannone attorno al Raccordo o altro?
Giovanni: All’epoca con il mio socio gestivo un piccolo studio di grafica editoriale con una doppia identità, lavoravamo per clienti normali e poi seguivamo una realtà underground composta di centri sociali, Radio Onda Rossa, club e sound system. Da sempre apprezzavo riviste come Cannibale, Frigidaire o Decoder e mi sarebbe piaciuto farne una. Ero un frequentatore assiduo del Forte Prenestino e della scena rave illegale di Roma e in quel contesto ho incontrato altri personaggi – su tutti Cikitone aka Francesco Macarone Palmieri aka Warbear, il ragazzo chimico – mossi dalla mia stessa urgenza di lasciare un segno tangibile del momento che stavamo vivendo. Roma non era mai stata così viva, tra nuove occupazioni e continue feste illegali: si stava svegliando. Cikitone riunì un gruppo di amici, tra cui alcuni personaggi della scena rave di Ostia che avevano iniziato a sviluppare una rivista autoprodotta denominata Torazine, di cui era stata disegnata una testata graficamente molto potente. Dopo una serie di riunioni abbastanza inconcludenti, proposi di mettere a disposizione il mio studio MekkanograficiAssociati (aka GraficiMekkanici) per iniziare a mettere insieme i folli materiali che via via si stavano accumulando. Unendo le forze con HatefulGraphicVandals iniziammo a impaginare i primi articoli. L’idea era di lavorare sull’iperpop disturbato, attraverso il détournement, tanto caro ai Situazionisti, e il caos visivo. Le riunioni di redazione erano praticamente dei piccoli rave in cui ci si sballava e si delineava una linea editoriale votata all’eccesso. Le pagine della rivista non erano numerate e il sommario non seguiva un ordine logico, i vari articoli erano contraddistinti da un’icona che dovevi ritrovare all’interno della rivista in ordine casuale. Per finanziare la stampa del primo numero organizzammo un illegale in un capannone abbandonato della periferia romana.
Rota Masada: C’è un luogo dove finiscono tutte le strade senza uscita, un portale per mondi mai nati, un luogo che è al contempo sincronia e distopia, utopia e disfonia, ucronia e afonia e quel luogo è Ostia, il Golgota di Pasolini, e, nelle viscere di Piazza Gasparri, Torazine ci aspettava sognando.
Il nome Torazine ha una sua storia?
Rota Masada: Negli anni Novanta i ricettari farmaceutici erano le crypto di oggi e noi eravamo avidissimi di cloridrato di fenotiazina, ma era un nome troppo lungo per una testata, allora abbiamo usato lo street name del nostro antidopaminergico preferito. Poi il segreto di una vita felice è fare proprio l’imperativo di Duke in “Paura e delirio a Las Vegas”: «You better hope there’s some Torazine in that bag, because if there’s not you’re in bad trouble tomorrow».
Infidel: Torazine per me fu essenzialmente pranksterism/culture jamming. Esaltazione giocosa e promessa di liberazione dall’angoscia della coscienza attraverso la giustapposizione cazzona e la collisione caotica di simboli in corso di dominio. L’offerta del brivido esilarante della dissonanza etica. Torazine è un “gioco di parole”. Torah + fanzine = Torazine. Se la Torah è l’accordo commerciale fra il G-D Denaro e i clan degli eletti camuffato da disegno divino, la Torazina è un potente anestetico antipsicotico. Accostamenti potenzialmente sovversivi, ma che di fatto si rovesciano in un inno all’anestesia storiografica, un seducente invito all’estasi tossica per porsi fuori dal Tempo. Torazine: il libro-parola del non-senso per ridere nel cuore dell’apocalisse. Una garanzia di innocua marginalità.
Stessa domanda, ma per il logo.
Borgia: La testata è stata ideata da due ragazzi che ai tempi provavano a fare i grafici ed erano appena maggiorenni.
Infidel: Il logo è stato realizzato da Matteo Swaitz per quanto ne sappia.
La redazione, se di redazione si può parlare, da chi e come era formata?
Giovanni: La redazione si compose per affinità chimico/genetiche. Agitatori culturali, tossici, figure marginali e componenti accademiche con strane fisse per droga, sesso estremo, cassa dritta, modificazione corporale, religione, nuove tecnologie e cospirazionismo demenziale.
Borgia: La redazione è nata attorno al Cikitone. Tutti partecipavano alla scrittura e alla raccolta di articoli e immagini, poi i GraficiMekkanici la impaginavano. Abbiamo stampato il primo numero anche con l’aiuto di DeriveApprodi, per la tipografia. Appena è uscito, abbiamo regalato oltre cinquecento copie all’iniziativa di lancio al Forte Prenestino. Quella fu la primissima distribuzione. Dopodiché fu sempre autodistribuita.
Baby Lonbitch: Cikitone è stato il catalizzatore di tutto, lo conoscevo da un paio di anni, era un (il) rifermento della scena degli illegali.
Rota Masada: A quell’epoca i barbieri, che passano le loro giornate a guardare la forfora di sconosciuti, apprendevano l’anatomia umana osservando cazzi e tette nei loro mensili pruriginosi. Anche i Carabinieri, che passano le loro giornate a sfondare teste, imparano comunque a contare fino a 31 leggendo i loro calendari. Così la nostra redazione era composta da profanatori di tombe che tessevano pazientemente il loro grimorio a uso e consumo della categoria. E, come quelle di guardie e barbieri, la nostra era una pubblicazione legale con un suo distributore ufficiale, la cui funzione primaria era notificare ai lettori di Rinascita che Satana aveva preso il controllo delle librerie Feltrinelli. Per il resto era autodistrubuita in quella che trent’anni fa era una floridissima rete di Centri Sociali, infoshop e piccole librerie compiacenti. Altre volte la barattavamo in cambio di carne di foca.
Una domanda per Clara: qual è stato il tuo primo incontro con Torazine? Ti ricordi il primo articolo che hai letto e che reazioni hai avuto?
Clara Ciccioni: Nella seconda metà degli anni Novanta vivevo a Firenze. Una sera andai con amici all’Indiano, il centro sociale dentro al parco delle Cascine, perché c’era un rave preceduto dalla presentazione di questa rivista, che in realtà non avevamo mai visto o sfogliato, ma che, per qualche meccanismo magico, già chiamavamo per nome come se fosse un farmaco che avevamo sempre avuto in casa. Ovviamente arrivammo tardissimo e non percepimmo, diciamo così, nessuna presentazione, e nemmeno mi portai a casa la rivista… Insomma, di quella notte non ricordo tanto, a parte che da quel momento questa Torazine era entrata nei discorsi come una cosa fichissima e diversa da tutto, diversa anche da Decoder, per esempio, che in quel periodo era la rivista più fica che c’era, ma stava già finendo, e quindi questa Torazine bisognava assolutamente averla. E io quella sera avevo perso l’occasione. Quando poi riuscii a mettere le mani su un numero in effetti pensai che era già la mia rivista preferita perché, sì, era diversa da tutto. Già le parole “controcultura” e “pop” nella stessa frase erano un abbinamento inedito e attraente. E poi dentro c’era quell’incrocio tra cultura di massa e apocalisse che piaceva tanto a noi fan dell’horror, dei Throbbing Gristle e David Lynch… Necrofilia e suicidio accanto a Bruce Lee, evocazioni di Satana contro il Giubileo, sesso estremo, cazzi e fiche ovunque e in mezzo le pubblicità detournate delle merendine e del più–famoso–marchio–di–fast-food… Da fuori non si riusciva a inquadrare bene che tipo di contesto poteva averla partorita: era politicamente e culturalmente inclassificabile, e questa fu la cosa che fece scattare in me un amore immediato. E quindi cominciò la caccia ai numeri, che non erano facilissimi da trovare, perlomeno tra Firenze e Bologna, che erano le città in cui mi muovevo di più, ma qualche volta ci sono riuscita. Quando all’inizio dei Duemila mi sono trasferita a Roma il caso (?) ha voluto che tra le mie prime amicizie ci fossero diversi pezzi di Torazine. Nonostante ciò, non sono mai riuscita ad averli tutti, perciò sto fremendo per questo volumone. Non ricordo un primo articolo che mi colpì, ma ricordo quando aprii il sommario di un numero, non so qual era, e lessi che c’era un articolo firmato Alfredino Rampi. La cosa mi fece un effetto quasi fisico, nel senso che smosse un ricordo d’infanzia sepolto con una specie di fitta al corpomente.
Rota Masada: Eravamo in uno dei classici down del lunedì e vivevo in una specie di comune che era stato un ex convento e un ex base delle SS. Incontro il Duka in cucina intento a preparare una zuppa di rami di rosmarino che mi dice: «Ti va di venire a una riunione per una rivista?». Partiamo così per Ostia con la mia Panda. Lì, oltre Cikitone, troviamo questi due tipi che impaginano un cut-up di frasi di Bruce Lee. Siamo tutti abbastanza rallentati. E per mesi si ripete questa situazione: ci svegliamo che è sera, andiamo a Ostia e troviamo due tipi che impaginano un cut-up di frasi di Bruce Lee. Sembra tutto bellissimo, anche se un po’ lento e sfocato.
Ancora una domanda per Clara: c’è un articolo tra i vari letti che ti ha fatto passare definitivamente al lato oscuro della controcultura pop?
Clara Ciccioni: Ce ne sono diversi. Quello sulla trapanazione del cranio, per esempio, o quello sui Puffi marxisti-leninisti. Più che gli articoli, a stamparsi nella mia memoria sono state le immagini: le copertine (e le quarte), Charles Manson Guevara, Padre Pio Manson con la svastica in fronte, i loghi commerciali detournati, la mitsubishi topolino, i collage di Chiara Susanna Crespi e gli scheletri di Atonal, la serie Riot Just Do It e quella foto con un celerino che mena uno in piazza con scritto PICCHIAMI PIÙ FORTE – FUCK BLOCK… Un’estetica che aggiungeva un tono più ironico, sporco e scoppiato a una serie di elementi che venivano dalla cultura industrial.
Come e quando nasce l’idea di raccogliere e ripubblicare l’esperienza di Torazine?
Baby Lonbitch: Giovanni ha sentito degli scricchiolii che provenivano da vecchi hard disk lasciati per decenni in un angolo a prendere polvere. Dalle porte colava garmonbozia. Si erano riattivati da soli, nessuno sa perché. Torazine ha deciso da sola di tornare.
Clara Ciccioni: Il desiderio di riportare in vita questo imprescindibile pezzo di storia della controcultura italiana ce l’avevamo da tempo, e a un certo punto è arrivato il momento di provare a realizzarlo – probabilmente quando ha cominciato a colare la garmonbozia dalle porte di Giovanni! Così abbiamo chiesto a Rota di condividere la proposta con la redazione di Torazine, che dopo un po’ ha deliberato per il SÌ.
Giovanni: I materiali per la ristampa erano tutti in mio possesso. In alcuni casi ho utilizzato i file originali di QuarkXPress dell’epoca. Ho curato personalmente l’impaginazione di “Torazine 666”.
"Torazine 666" verrà stampato in modalità "Prima o Mai", in collaborazione con Ratigher. In cosa consiste e perché l’avete scelta?
Clara Ciccioni: “Prima o Mai” è una formula che Ratigher ha ideato per realizzare pubblicazioni che richiedono un certo investimento, evitando così i meccanismi classici della distribuzione editoriale e sfruttando il canale della vendita diretta online. Con “Prima o Mai” il volume o si ordina prima dell’uscita o mai più: le copie vengono stampate e inviate a chi le ha ordinate, anche se non si arriva a coprire le spese di produzione. Perciò, a differenza di un crowdfunding, è più rischioso: sia per chi produce, perché c’è il pericolo di rimetterci, che per chi compra, perché se non compra prima non può farlo mai più. Dopo aver pubblicato con questa formula il suo potentissimo “Le ragazzine hanno perso il controllo. La società le teme. La fine è azzurra” e “Il suicidio spiegato a mio figlio” di Maicol&Mirco, Ratigher ci ha proposto di unire le forze per “L’almanacco dei Fumetti della gleba” del Dr. Pira, e così è nata la collaborazione che ha portato a tutti i “Prima o Mai” successivi, incluso quest’ultimo.
Torazine ha prosperato in una città dove l’elettronica e i rave (che stavano andando nella direzione free party) erano pane quotidiano per tutti. Come si è alimentato il legame tra questa scena e Torazine? Ok le sostanze, ma immagino ci fosse una più ampia consonanza relativa al sovvertimento culturale.
Borgia: Ai tempi ci piaceva organizzare taz, free party, manifestazioni e occupazioni… E contemporaneamente abbiamo realizzato una rivista.
Baby Lonbitch: Venivamo tutti da esperienze di movimento, diy, autoproduzioni, autogestioni, eravamo appassionati di culture marginali e apocalittiche, l’idea di estendere il delirio e fissarlo su carta stampata fece subito presa. Faccio notare che la copertina satinata delle edizioni più piccole era perfetta per acchittare: mai visto niente di meglio. Forse è stato questo il legame.
Se un piede e mezzo Torazine lo aveva nei rave, un alluce era nell'accademia: nella facoltà di Sociologia (e poi Comunicazione) con Massimo Canevacci che ha scritto più di un articolo.
Borgia: Ammettiamolo, Canevacci non era l’unico laureato nella redazione di Torazine…
Simon Page: Conobbi Cikitone proprio a Sociologia e lui, da perfetto cattivo maestro, mi iniziò e mi presentò il resto della redazione. Per dire quanto pesassero le disquisizioni teoriche, la cosa che più li incuriosiva di me era il mio breve trascorso in Curva Sud con un gruppuscolo di estrema destra. Provai ad ammaliarli con credenziali da tossicomane, ma di questo non fregava niente a nessuno e capii che erano in un certo modo date per scontate. In facoltà non eravamo ben visti dal giro di Luther Blissett perché considerati deboli e immaturi proprio sul piano teorico, il che sul lungo periodo forse ha costituito la vera forza di Torazine (morte e oblio di MIR, gloria e vita a Torazine).
Rota Masada: Torazine era una rivista accademica. Era la più illustre pubblicazione della Miskatonic University, che è il convitato di pietra della Ivy League. Non c’è illustre rettiliano che non abbia almeno una pubblicazione su Torazine nel suo curriculum.
Che rapporto c’è stato tra Torazine e Roma? Sarebbe potuta nascere altrove?
Borgia: Roma all’inizio degli anni Novanta era un bel fomento: periodo post-Pantera, centri sociali come funghi, la novità dell’MDMA etc. A Milano poi c’era già Decoder…
Macchina: A Roma mancava una rivista come Torazine. Forse contemporaneamente era nata Infoxoa, ma quella era una rivista seria.
Baby Lonbitch: Con una periferia sterminata e proteiforme, tra rovine industriali e spazi selvaggi, Roma era il posto perfetto. Catalizzare il devasto fu semplicissimo.
Com’è stata recepita Torazione fuori dal GRA?
Clara Ciccioni: Negli ambienti che frequentavo tra Firenze e Bologna – i rave, i centri sociali, gli hackmeeting, il Link etc. – Torazine era una cosa che non tante persone avevano realmente visto o sfogliato con mano, ma se ne parlava come dell’avanguardia culturale del momento: se non sapevi cos’era Torazine eri rimasto indietro. Allo stesso tempo, non si sapeva bene cosa fosse davvero, c’era un alone di mistero che circondava gli autori materiali della rivista e la rendeva ancora più attraente.
Borgia: Abbiamo sempre detto tra di noi che era una rivista illeggibile (per vari motivi), per cui se lo era a Roma lo era anche al di fuori del GRA. Comunque ci hanno invitato per presentare Torazine alla Biennale di Venezia, a Milano, Firenze, Napoli e non ricordo più…
Baby Lonbitch: Fuori dal GRA si faceva la gran parte dei rave, quindi direi benissimo. Ad ogni modo, con Torazine si era accolti bene un po’ ovunque.
Rota Masada: Torazine pubblicava articoli di gente di tutto il mondo, eravamo e siamo internazionalisti, multidimensionalisti, vasi comunicanti, senza patria, fotoni impazziti. Torazine non hai mai scritto di Roma se non per raccontare i suoi cessi. Ce ne siamo sempre sbattuti della romanità e di Roma, di cui per altro abbiamo sempre frequentato le estreme periferie, trovando calore solo fra i reietti, i paria e gli appestati. E, sinceramente, ovunque ce ne fossero, eravamo a casa.
C’è un'immagine o un articolo che possono essere considerati il “manifesto” di Torazine?
Borgia: Per me è “Riot Just Do It”. Ai tempi un’immagine/testo semplice e chiara.
Baby Lonbitch: “Everything come back stellina” di Mizusista, per me quella era Tora pura.
Simon Page: Il bonzo buddista mahayana che si auto-immola a Saigon nel 1963. Forse è un immagine che non abbiamo mai pubblicato, ma la descrissi alla fine di un mio racconto e per me condensa tutta la radicalità estetica e ontologica di quell’esperienza.
Torazine si è mai censurata? C’è stato un pensiero o un immaginario troppo radicale anche per Torazine?
Giovanni: Non credo ci sia mai stata alcuna forma di autocensura, anzi. Il nostro sogno era di essere sottoposti a sequestro appena la rivista fosse finita nelle mani di qualche triste bigotto. Con l’annuncio di un Gathering Satanico ci siamo andati vicino, ma niente. L’immagine di un pene/vagina con falce e martello con scritto “Osare l’impossibile!” ha creato abbastanza scompiglio anche all’interno di infoshop di movimento, così come l’illustrazione, di Tom of Finland, di una fellatio tra nazisti. Diciamo che abbiamo anticipato di decenni l’immaginario odierno di Internet fondato sui MEME.
Borgia: No. Anzi…
Baby Lonbitch: No, mai. Neanche sarebbe nata altrimenti.
Rota Masada: Non abbiamo mai avuto nessuna legge morale dentro di noi.
Infidel: Di base la risposta è no. Il criterio che percepivo nelle riunioni di Torazine era basato solo sulla potenza degli scontri di miti/immaginari proposti. Eppure c’è un episodio (forse non noto a tutti i Toraziniani) che retrospettivamente mi pare illuminante. In una mailing list (credo 1997-1998) proposi una serie di fotoritocchi dal titolo “INDUSTRIAL ANAL” in cui immagini stock di bambini urlanti venivano associati alla Stella di David. Nell’ingenuità naif del mio atteggiamento “destroy all rational thoughts”, quindi di una crociata/jihad contro il potere di OGNI simbolo arcinoto, volevo impiegare, dopo aver abusato della svastica e dei marchi commerciali, il simbolo di Israele. La proposta cadde in un gelido vuoto e provai la sensazione di aver osato troppo, di aver rischiato di pestare la merda infamante dell’accusa di antisemitismo.
Macchina: La memoria è un ingranaggio collettivo rotto e nessuno di noi ricorda questo episodio, d’altronde non avevamo una mailing list e un’immagine in allegato per caricarsi ci metteva delle ore. Ma tutto può essere…
Simon Page: Peraltro all’epoca non c’era questo clima da caccia alle streghe e la paura di essere tacciati di antisemitismo era l’ultima delle nostre preoccupazioni. Per il resto mi sembra un altro caso di profezia toraziniana. Essendo in corso un genocidio e una campagna di repressione di chiunque lo denunci, oggi la proposta probabilmente susciterebbe un dibattito. Ma nessuno di noi nemmeno oggi immaginerebbe di censurare l’immagine, perché sarebbe contrario sia allo spirito di Torazine, sia alle convinzioni della maggior parte di noi sul genocidio in corso a Gaza. Anzi, Infidel, se la trovi la dovremmo utilizzare!
L’esaurirsi di Torazine è stato parallelo all’esaurirsi dell’esperienza rave o è stato più legato a un anno di “batoste” quale il 2001, tra Genova e Twin Towers?
Borgia: Credo che ognuno abbia la sua idea/percezione. Io penso che la fine sia cominciata con il Millenium bug.
Simon Page: L’11/9 fu perfettamente in linea con l’immaginario toraziniano. Ho però un ricordo molto netto di una giornata insieme poco dopo l’11/9. Eravamo in un appartamento buttati su un grande letto. C’era buona parte della redazione. Il ricordo è vivido perché era una situazione abbastanza straordinaria. Di solito ci vedevamo dai GraficiMekkanici, al Forte o a qualche altra iniziativa e non ricordo come fossimo finiti in quella casa, in una situazione così intima. Si parlava delle Torri Gemelle e c’era un po’ di tensione nell’aria. Io mi ero laureato con una tesi sul fondamentalismo islamico e Baby Lonbitch mi aveva appena subappaltato un pezzo per un pessimo instant book su Osama Bin Laden. Il Duka mi fece molte domande sulla questione e alla fine sentenziò che avevo la situazione sotto controllo. Questo episodio mi fece pensare che, per quanto nichilisti, la materializzazione dei peggiori incubi toraziniani in fondo ci aveva colto di sorpresa.
Baby Lonbitch: L’11/9 lo avrebbe potuto organizzare Torazine, avevamo anche dei biglietti aerei stampati in un numero, se ben ricordo. Le batoste le avevamo introiettate prima che accadessero, eravamo già oltre la fine, oltre l’orizzonte degli eventi, sentivamo di essere una sorta di ultimo grido, un grido a tempo.
Macchina: Torazine nasce come progetto in perdita e inevitabilmente non poteva che perdersi.
Rota Masada: Torazine non si è mai esaurita, è un periodico senza cadenza fissa, semplicemente tra il penultimo volume del 2001 e quello in uscita adesso abbiamo fatto passare 23 anni. La fretta è una cattiva consigliera.
La controcultura pop di Torazine sarebbe attuale ancora oggi o era un codice figlio del suo tempo?
Borgia: Forse ora è un discorso di mainstream e del fatto che un non-mainstream non esiste più.
Macchina: Le allucinazioni semiotiche di Torazine, contro ogni aspettativa, sono diventate cultura dominante. Mettere una falce e un martello su un ano ermafrodito non è più una novità. Come l’orinatoio di Duchamp. Oggi la controcultura è tutta da immaginare e non saremo certo noi, vecchi residui del Novecento, a farla.
In generale, la controcultura pop è ancora l’arma giusta di sovvertimento o in un’epoca di ipertrofia comunicativa c’è bisogno di altro?
Borgia: La controcultura pop fa sempre bene, ma c’è bisogno anche di molto altro.
Baby Lonbitch: Oggi è tutto frullato e atomizzato, persone come monadi/amebe impazzite, non si catalizza piu nulla. Serve un tuffo ancora più a fondo nell’abisso, poi si vede chi ne esce. Per il resto mi pare tutto piuttosto inutile
Se Torazine nascesse oggi cosa sarebbe? Una pagina Instagram, un canale TikTok, un volantino nei tergicristalli?
Borgia: Un club privato.
Baby Lonbitch: Un pregiudicato tossico.
Simon Page: Un’AI che la butta in caciara e scatena la fine del mondo.
Rota Masada: Un peptide.
Ci sono esperienze attuali simili a Torazine? Al momento della nascita invece?
Borgia: Attuali? Non saprei. Riguardo al momento della nascita, di Decoder si è già detto, poi c’era il mondo in decadenza delle ultime fanzine.
Macchina: Impossibile che ci fosse qualcosa del genere, Torazine era una fanzine dissacrante sotto steroidi. Non poteva sostenere la sua stessa esistenza e infatti è stata come un ouroboro che si è divorato la coda.
Rota Masada: Finché ci saranno praterie da incendiare ci sarà una Torazine da qualche parte.