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Memorie dal sottosuolo: otto anni di DalVerme

Dopo otto gloriosi anni di attività, chiude (forzatamente) il Circolo DalVerme. Addetti ai lavori, musicisti, penne di Zero e persone che hanno contribuito alla causa da dietro le quinte raccontano il 'proprio' DalVerme attraverso ricordi, concerti e serate memorabili.

Scritto da Chiara Colli il 17 marzo 2017
Aggiornato il 12 marzo 2020

Foto di Simone Tso

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NICOLA GERUNDINO

Da due lustri è il direttore massimo di Zero Roma. Una vita sotto cassa, palato sopraffino, penna indefessa, nel weekend (per tre stagioni su quattro), è anche indiscusso re delle spiagge del basso Lazio.

 

Una volta sono riuscito anche a fare crowd surfing. Sì, lì, in un sottoscala dove si tocca il tetto se si alza il braccio. Era su River Phoenix dei Japanther. Duemilaundici o duemiladodici, non ricordo l’anno preciso. Penso che dal momento della sua apertura il DalVerme sia stato il luogo di Roma in cui ho visto più concerti, molti dei quali incredibili e molti dei quali di band o singoli artisti mai ascoltati fino a quando non sono saliti su quel palco. Un tipo di fiducia che solo pochi club possono vantare e che dovrebbe essere l’aspirazione per tutti gli altri. L’elenco sarebbe lunghissimo ma qualcosa vale la pena citare: Teengirl Fantasy (ancora prima dell’approdo su R&S), Mombu (voli sopra la Rift Valley), Father Murphy (catartici), Lento (un muro di amplificatori dal quale temevo di uscire sordo), Destruction Unit (loro ci sono riusciti sul serio a far venire l’acufene a qualcuno), Chris Corsano, In Zaire, Ossatura, Sightings, Sun Araw, Luminance Ratio, Otto Von Schirach… Poi ancora, festival come Roma La Drona o Thalassa e l’infinità di live di artisti italiani, romani e di quartiere, per ognuno dei quali c’è stato sempre lo stesso identico entusiasmo riservato ai nomi più noti. Tentativi di balera con Discoloosers, gli after di Capodanno, rassegne cinematografiche ai confini del proiettatile, la consapevolezza che non è utopia bere una birra o un cocktail di qualità assistendo a un qualsiasi tipo di evento. O anche solo due chiacchiere al bancone per raddrizzare una giornata storta. Questi i ricordi belli. Al brutto appartengono le considerazioni su una città/nazione dove si è costretti a pensare in piccolo – in tutti i sensi, anche termini di metri quadri – per riuscire a proporre le proprie idee. E dove, prima o poi, arriva sempre qualcuno che ti dice basta. Arrivederci Verme, con l’augurio che tutte queste testimonianze siano di peso per trovare nuovi stimoli e per far conoscere anche all’esterno la misura di quanto si stia lasciando in questo momento. Un’ultima cosa: qualche volta me ne sono andato via senza pagare i drink. Una decina, non di più. Giuro che non l’ho fatto mai apposta. Spero mi vogliate bene lo stesso.

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