Millemisture si trova nel quartiere Isola (via Ugo Bassi, 28) e nasca dalla ricerca e passione per il mondo della mixology e della cucina di Giovanni Maffeis e Daniele Politi. Un locale raffinato ma senza eccessi, che punta su un’offerta non comune in città. Il nome si deve al ricettario omonimo scritto nel 1937 dal miscelatore Elvezio Grassi, che i due ragazzi vogliono omaggiare in questo locale che predilige erbe, spezie e raccolte selvatiche, pratica che oggi va sotto il nome di foraging. Millemisture vanta una cocktail list destrutturata così come il menu della cucina, per invitare i clienti a uscire fuori dalle etichette e scegliere secondo altri principi, come per esempio le categorie di gusto. Dopo un lungo aperitivo, abbiamo intervistato Giovanni e Daniele per saperne di più e spiegarci cosa è veramente Millemisture.
Potete presentarvi?
Giovanni Maffeis – Ciao, mi chiamo Giovanni Maffeis, 37 anni, la maggior parte dei quali trascorsi ad ascoltare e suonare musica estrema, progettare e realizzare misture alcoliche ed annusare cose per affinare il mio olfatto.
Daniele Politi – Ciao. Piacere, Daniele, modo semplice per essere diretti. Dire il necessario e essere cortesi.
Come e perché avete iniziato a lavorare al bancone?
G. Ho iniziato a lavorare dietro al banco per sfuggire alla noia di serate troppo brevi o troppo lunghe finite alla stessa maniera e per pagarmi gli studi universitari.
D. Come moltissimi ragazzi, ho iniziato a fare il cameriere per pagarmi la retta universitaria, poi l’attrazione gravitazionale per il retro banco è stata solo questione di fisica.
Cosa facevate prima di aprire Millemisture?
G. Ho lavorato a lungo alla creazione di Millemisture e parallelamente mi sono dedicato all’olivicoltura.
D. L’ultimo anno sono stato dietro al banco del bar della Terrazza Gallia a Milano, ho tenuto masterclass per Naty’s e fatto alcune consulenze per il marchio Mexicali.
Chi è stato il vostro maestro? E il primo drink che avete fatto?
G. La mia maestra è stata Simona Torri (La Simo) negli anni del Cicero a Soncino, che fa la maestra e Bar Lady. Per il resto ho imparato in negativo e in positivo dalle situazioni e persone con cui mi sono confrontato. Il primo drink preparato ad arte, nel 2000, sicuramente un Margarita e verosimilmente un “Cuba pestato”.
D. Ho lavorato con grandi persone, prima di tutto e da ognuno ho cercato di attingere tutto quello che riuscivo, senza dimenticare che anche dalle persone incompetenti si riesce ad imparare tanto, soprattutto quello che non si deve fare. Un drink “fai tu,dolce”, il giorno stesso dell’esame AIBES, il risultato è stato grandioso per il cliente, in verità erano le prime cose capitate sotto mano.
Come è nata l’idea di aprire questo nuovo bar?
G. È un progetto che io e il mio socio e compagno di avventure Daniele Politi avevamo in cantiere da anni; un progetto che è mutato ed evoluto, ma che, condividendo lo stesso approccio e visione, è arrivato a questa forma/contenuto in grande sincronia. Siamo due bartender, io con un retaggio umanistico, lui dal mondo della chimica.
Ci spiegate il nome?
G. Millemisture – originariamente “1000 cocktails”, ma in epoca autarchica, il titolo venne italianizzato – è un ricettario e uno dei capisaldi della miscelazione italiana del 1937, scritto dal “miscelatore” Elvezio Grassi, patron del Bar Argentino di Lugano. Molti citano, a ragione, la miscelazione oltre oceano: Jerry Thomas, Harry Johnson. Noi abbiamo Elvezio Grassi e 1000 Misture.
Ci piaceva il suono, l’energia che trasmette questa parola e la possibilità di collegarlo al mondo del cibo e della ristorazione.
Che tipo di cocktail bar è? Che tipo di personalità ha questo luogo?
G. Millemisture è un cocktail restaurant che profuma di selvatico. Da noi si beve, si mangia, si annusa e si sta bene. La cucina è affidata al giovane chef Andrea Rifino che voleva fare l’architetto, ma fortunatamente ha capito che la progettazione di piatti, la combinazione di gusti, texture e profumi gli risulta sublime. Erbe, spezie, raccolte selvatiche e fermentazioni plasmano gli equilibri e fanno da materia di raccordo tra deliziosi cocktail e squisiti cibi in un ambiente intrigante e accogliente.
D. È un locale con l’atmosfera e il calore di quei luoghi dove dove ci si incontra, si ride, si scherza, si chiede consiglio al barman. Noi facciamo ricerca, poi deve essere il cocktail a comunicare col cliente.
Come mai avete scelto Isola come quartiere?
G. L’isola ha scelto noi. Noi non la volevamo ma la commistione di arte, moda, botteghe artigiane, e contemporaneità ci ha catturati. L’Isola sta diventando un food district molto importante con una forte anima.
Spiegateci la vostra drink list e perché non avete scelto la classica suddivisione dei cocktail?
G. Millemisture destruttura i riferimenti convenzionali di primo, secondo e contorno così come quelli di cocktail da aperitivo o da dopocena, creando categorie e temi gustativi trasversali, secondo le tecniche e le materie prime utilizzate. Siamo andati oltre al food pairing.
Utilizzate parole come shrub e foraging. Potete spiegarcele? La miscelazione sta andando in questa direzione?
G. La miscelazione può andare in questa direzione, stando attenti a non voler copiare le mode, studiare l’argomento e fare drink che non siano solo esercizi di stile, ma apprezzabili da tutti. Il foraging o alimurgia, in italiano, è l’arte di raccogliere bacche, erbe e frutti selvatici edibili che pratichiamo prevalentemente nella mia azienda agricola sull’isola di Capraia, Toscana, dove coltivo i miei amati olivi. Qui mirto, eliscriso, lentisco e rosmarino, regnano sovrani. Trasportare quei profumi ed essenze nelle nostre preparazioni è stato irrinunciabile.
D. Mi sono appassionato agli shrub grazie al collega Nicolò Cavaliere. Mi hanno colpito la loro forza gustativa e capacità di preservare il gusto di un frutto come appena colto. Lo shrub non è altro che uno sciroppo a base di aceto, frutta e zucchero che anticamente veniva aggiunto ad acqua e spezie per dissetare e disinfettare. Provate lo Spinosa con shrub al Fico d’india selvatico!
Cosa si mangia al Millemisture?
G. Si mangiano cose buone: trattate con rispetto e raccontate con gusto. Grande attenzione alla materia prima, tutta italiana.
D. I prodotti che utilizziamo arrivano dalle nostre terre d’origine: io sono dell’Oltrepo Pavese, Giovanni del bresciano, conosciamo i produttori, da cui ci riforniamo.
È una cucina contemporanea, mediterranea, che affonda il gusto nella tradizione, abbinata ai profumi che ritroverai nei drink.
Quando non siete dietro al bancone dove andate a bere e mangiare?
G. Da Mariateresa Brognoli, mia madre, che ancora riesce a stupirmi con le sue pietanze. Al Rita, dal caro Edo Nono, per le libagioni. Ci sono mille valide realtà milanesi, nuove o consolidate, ma troppo poco tempo per visitarle e bersele tutte!
D. Nei pochi ritagli che ho liberi, di solito mi piace stare a casa e cucinarmi un buon piatto e bere un buon calice di vino, però se esco e voglio andare a colpo sicuro si va a salutare l’amico Edo al Rita o al Lacerba e se voglio andare fuori Milano soprattutto nella bella stagione, mi piace andare a bere e mangiare molto bene al Punch a Como.