"Uh signùr. Chell'lì l'è el primm che a laurà l'è mort". "Te diset? A mi me par il Papa pulàcc". "Scarliga vah merluss, andemm à cà". L'ho sentito. Giuro. 11 di mattina. Due signore. Neppure troppo anziane. Del resto, una volta gli scheletri li cacciavano nella cripta, o, alla peggio, nascosti negli armadi. Di certo non in piazza. Tocca essere onesti. "Calamita Cosmica" di Gino De Dominicis è un capolavoro. Una delle opere più straordinarie di fine secolo scorso. De Dominicis ha tentato imprese impossibili per tutta la vita. Fare cerchi quadrati lanciando sassi in uno stagno. Volare sbattendo le braccia. Diventare invisibile. E, soprattutto, creare sculture e dipinti di potenza immane. La calamita, scheletrone dal naso pinocchiesco, apre però interrogativi: è una scultura, quindi rimanda alla memoria di qualcuno, come giustamente notava la signora. E non solo, avrà pure un suo significato, non troppo metaforico. Tiriamo le somme. È in piazza Duomo. Proprio sotto quello che da qualche anno dovrebbe essere il museo d'arte moderna e contemporanea della città. Canaglie. Pure presi per i fondelli... "Ma va a cagà in mezz' a i ortigh". L'ha bofonchiato un signore. Giuro.
Calamita Cosmica
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