Via Ripamonti 139, ore 24 di un venerdì sera. Suono al citofono di un anonimo portone, la targhetta porta la scritta “La Casa”. Il portone si apre, l’interno è occultato da un pesante tendaggio di velluto rosso. Lo supero. Arredamento minimal, in linea con le copertine delle compilation house più cool. Il cuore del locale sembra essere al piano superiore. Prima di addentrarmi, devo pagare pegno (ventimila) e divento fortunato possessore di tessera Arci. Sulla destra, saletta con esposizione d’arte. In mostra opere fatte di colla. Non male. Tento di sniffarla (la colla), senza successo. Sulla sinistra, cesso (tre dita di liquido ignoto sul pavimento). Piano di sopra. Angusto, irrespirabile, profumato all'ascella. Sembra il salotto di mia nonna invaso da tavolini e individui da centro sociale finto, come potrebbe rappresentarli uno spot della birra. Impossibile ballare, sosto al bancone. Cuba libre quindicimila. Non mi vogliono dare la bottiglietta con la coca cola rimanente perché “mi serve per farne un altro”, dice il barista-giocoliere. Questo è un locale trendy. Io non reggo più di un quarto d’ora. Loro non reggeranno tre mesi. Le trentacinquemila non me le ridanno.
La casa 139 - report
La Casa 139 - Via Ripamonti 139, Milano
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