Tra le varie cattive abitudini del cantautorato indie italiano, probabilmente la più insopportabile è quella di prendersi un po’ troppo sul serio. Un problema che (almeno per ora) non riguarda Calcutta, menestrello pontino la cui “poetica” ironica, sgualcita e lo-fi è cresciuta sull’asse Latina (la sua città)/Pigneto (il quartiere romano che lo ha adottato). Dopo un esordio – Forse…, uscito nel 2012 per Geograph Records – e l’ep Sabaudian Tapes, licenziato l’anno successivo da Selvaelettrica, Calcutta arriva a un secondo album, Mainstream, per Bomba Dischi che, già dal titolo, mescola la svolta sensibilmente pop del Nostro con l’impossibilità di fare davvero sul serio. Paradossale, se si pensa a quanto, invece, sia stato preso decisamente sul serio da “pubblico e critica”. Di Mainstream ne avrete già letto in abbondanza sui social network, sulle webzine “di settore” ma pure sui quotidiani: perché le sue canzoni funzionano come una lente d’ingrandimento, capace di avvicinare così tanto l’occhio a «Le piccole cose che saranno capitate anche a voi», da farle vedere ribaltate, da farne emergere soprattutto l’aspetto nonsense, appositamente accentuato di pari passo allo spleen. Nel frattempo i ritornelli entrano ancora più in testa di prima, la produzione (firmata anche da Niccolò Contessa) è ancora più pop di prima. E a tal proposito: che si tratti del nuovo fenomeno pop romano dopo I Cani (riferimenti territoriali annessi)? Probabile. Fatto sta che sfido io a togliervi dalla testa una frase come «Ho fatto una svastica in centro a Bologna, ma era solo per litigare».
Calcutta
20/12/2015 Arci Ohibò, Via Benaco 1, Milano
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