È forse dalla Documenta del compianto Okwui Enwezor che vediamo sempre più addensarsi opere politiche, geopolitiche, sociali, antropologiche, su confini, migranti, donne, vittime di ogni genere, conflitti, soprattutto denunce dell’efferatezza postcoloniale e del razzismo dell’uomo bianco. E ogni volta, insopprimibile, torna quel senso di fastidio suscitato dall’inappropriatezza del contesto. Che ci fanno tutti questi miliardari capitalisti, causa prima di tutte le disgrazie del mondo descritte nelle opere, davanti alle opere, in veste di collezionisti, committenti, ma anche autori e curatori? E anche quando si è assunto il cinico punto di vista del déjà-vu, déjà entendu il fastidio resta lo stesso, perché insieme al valore gli attori di questo sistema estraggono senza ombra di dubbio anche il senso dalle lotte e dei pensieri, che restano svuotati, depotenziati, inermi dopo essere state sprimacciati dal mercato. Magari fanno la fine dei vecchi gioielli di famiglia, ad ammuffire nel caveau.
Ecco, Sandro Mele è il contrario di tutto questo. La sua opera è un flusso continuo di immagini e pensieri realmente rivoluzionari, fondati sull’odio di classe (quello buono) e sulle lotte collettive. Ha sposato la causa No Tap, ha ritratto i mostri capitalisti e i compagni storici, le icone del pensiero e dell’azione comunista. Fansipat del 2006 comprende dipinti, fotografie e documentazione video, e racconta la storia di Fabrica Sin Padrones in Patagonia, dove gli operai gestiscono la fabbrica. The American brothers del 2013 pone il punto di vista operaio sulla dirigenza Marchionne della Fiat; gasnero è un progetto editoriale sulle attuali trasformazioni del territorio salentino.
Tra le frasi spesso accostate alle immagini nei dipinti la più ricorrente è «Nel futuro resterà solo la vergogna per non avere lottato fino alla fine per i nostri figli», che risuona in modo particolarmente acuto alla luce degli eventi degli ultimi mesi.
«Appunti per una rivoluzione è una stratificazione di eventi. Un andare lenti tra le pieghe del reale – dice Luca Galofaro, curatore della mostra e profondo conoscitore dell’artista -, un estremo tentativo di metterci in guardia nei confronti di un mondo che lentamente sta cancellando la nostra voglia di confrontarci».
Geschrieben von Lucia Tozzi