Il suono di Scuba mi ricorda tanto il mio amico Riccardo Petitti, dj e cultore di bassi che non transita più su frequenze terrene, ma ritorna sempre nella testa coi suoi consigli, e le sue chicche. Scuba era una di queste: avanguardia, diceva allora, per un sacco di ragioni diverse. All’anagrafe, Paul Rose, sperimenta bassoni da anni. Attitudine dark, passeggiate nella techno cavernosa, soste nelle astrazioni dell’elettronica. È stato lui a portare la dubstep dai club londinesi a quelli berlinesi. Oltre a produrre Benga, Distance e i Mount Kimbie, oltre a spaccare col suo seratone Sub:Stance al Berghain, oltre alla pubblicazione di quattro album, a un Dj-Kicks, alla fondazione dell’etichetta Hotflush, ha trovato pure il tempo di vincere il premio per Dj Mag nel 2013 come „Best Live Act“.

Paul non è uno di quei dj festosi in consolle, non si dimena e non si sbatte mentre gira i dischi: è raccolto intorno alle sue idee. Tutta la sua cultura musicale (influenzata da Photek, Orbital e Autechre) si la si ritrova nei suoi set impeccabili, come quello che è succeduto all’impetuoso live dei Chemical Brothers al Sónar di quest’anno: chi avrebbe tenuto botta a una pista così? Scuba, signori miei, ci è riuscito alla grande: nessuno si è fermato. Nemmeno Ed e Tom in backstage, pare!