Negative Fascination è l’album del 2012 con cui Juan Mendez sanciva il definitivo distacco dalla storica esperienza Sandwell District per approdare a un suono assolutamente personale, privo di riferimenti a quella dub-techno e a quelle sonorità ipnotiche da warehouse che avevano segnato molte delle produzioni firmate assieme a Regis e Function negli anni Zero. Quel disco, dato alle stampe dalla Hospital Productions di Dominick Fernow, costituisce con ogni probabilità il punto di svolta per tutto il successivo sviluppo identitario dell’act a nome Silent Servant e del più articolato progetto Jealous God, etichetta fondata assieme allo stesso O’Connor e a James Ruskin ma ben presto divenuta l’avamposto globale della ricerca estetica del solo producer losangelino — art director e pubblicitario dal lunedì al venerdì, dj incendiario nei weekend —, ormai parte della memoria collettiva per via degli artwork iconici contraddistinti da still-life taglienti e dal tocco pop à la Toilet Paper e merchandise esplicitamente inneggiante a perversioni black leather.
È «modern techno» quella portata alla luce da Silent Servant: memore delle lezioni kraftwerkiane e early electronics, impregnata di eredità industrial (Cabaret Voltaire su tutti), infusa di minimalismi synth-wave e apparentemente ispirata da nostalgie smithsiane, è localizzabile nelle aree di confine tra techno, minimal wave e post-punk. La sua musica si muove per flussi di coscienza in un’oscurità rarefatta sul cui sfondo si stagliano i resti e gli echi di cerimonie ritualistiche, ‚ché di («nuova») carne si nutre l’immaginario danzereccio–macabro–fetish documentato in questi anni anche sul tumblr di culto “wherenext” (controparte immateriale di Sandwell District prima e Jealous God poi). Frastuoni e ingranaggi ballardiani completano lo score di un lavoro la cui complessità è difficilmente rintracciabile nel resto del panorama technoide.
Quel suono, quei pezzi risuonano tutt’ora nelle orecchie di chi scrive, nonostante siano passati ormai cinque anni e l’eredità di quella svolta sia stata raccolta ormai da una notevole ed eterogenea schiera di producer, inizialmente ruotanti attorno a quelle stesse orbite in cui radio quali East Village e Red Lights e etichette come Minimal Wave e Dark Entries costituivano i satelliti più noti e che oggi ritroviamo in un enorme pulviscolo di part-time punks. L’attività di Juan Mendez, infatti, ha direttamente o indirettamente ispirato, stimolato, o contribuito alla crescita di musicisti e label su scala internazionale: act come Tropic of Cancer o Phase Fatale, label come Ascetic House, a+w, L.I.E.S., Mannequin, Blackest Ever Black mostrano evidenti punti di contatto con il percorso del producer ispanico.
La crew di Timeshift offre ai suoi adepti un’escursione notturna nelle atmosfere taglienti e ormonali proprie del suono Jealous God a qualche mese di distanza da Optimistic Decay, lo showcase dell’etichetta andato in scena nel corso dell’ultimo Berlin Atonal a seguito dell’annuncio dell‘imminente fine delle trasmissioni e che precede l’uscita di un volume cartaceo quale indelebile testimonianza di un’epoca. Con Silent Servant salirà sul palco di Zona Roveri anche il casertano Domenico Crisci, che nell’ultimo anno ha messo in fila un’invidiabile serie di uscite per JG, Semantica Records e Opal Tapes e ha anche inaugurato una propria label chiamata Summa Cum Laude. Ultimo ma attesissimo nome in cartellone, poiché si tratta pur sempre di una prima volta in città, quello di Oliver Ho aka Broken English Club che in versione live è capace di trascinare l’ascoltatore in una dimensione paranoica degna del cinema di Cronenberg.
Se non fosse per il closing party già annunciato per il prossimo 24 aprile, saremmo di fronte a un ultimo Timeshift stagionale davvero commovente. Non resta dunque che posticipare le lacrime e celebrare il rituale fino all’ultimo disco, con le giuste dosi di lussuria e devozione.
Geschrieben von Emanuele Luppino