Una mano invisibile ha trasportato il cinema di Dario Argento e la musica dei Goblin, dagli incubi sublimi della generazione anni ‘70 direttamente a Venezia, in un baretto alle porte del ghetto ebraico, lungo fondamenta della misericordia. La mano è quella di Fifo, l’oste. Un vero oste veneziano, che probabilmente è figlio di quegli anni. E noi siamo tutti figli suoi. Ma “da Fifo”, cioè al Profondo Rosso, non ci si abbandona al vezzoso citazionismo cinematografico, alla musica barocca e alle smancerie: qui ognuno vive il suo sincero, autentico e personalissimo horror alcolico. Sarete una dannata fettina di limone che naufraga nel campari, l’oliva solitaria che nuota in una pozza di select. A tarda sera, come a fine giornata, ci si ritrova qui per sprofondare in un girone infernale, consumando gomiti sul bancone, adattandosi come vampiri alla penombra, al frastuono di un gruppo punk che improvvisamente inizia a suonare in pochi metri quadrati. Anche senza conoscere la storia del suo maestoso titolare, che approdò a Venezia una ventina d’anni fa, vicino al Ponte dei Tre Archi, dando vita assieme all’amico “Gianca”, alla rinascita del “Parlamento”, spostandosi poi in Fondamenta Barbarigo a Dorsoduro per servire sortilegi messicani, è evidente a tutti la sua capacità dare ospitalità con questo locale, che ormai è leggenda, gran parte dell’estetica DIY che ancora resiste nel centro storico. Non è un caso che qui trovino ospitalità a cadenza totalmente casuale i live del giro “wasted” legato alla figura di Pido, alias Enrico Stocco. Chitarre che grattano in gola, ritmi che singhiozzano impazziti, come l’ultimo miscuglio di superalcolici e birra e sigarette prima di andare a dormire. Lasciate le luci accese, non si sa mai.