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Tomoyoshi Endo

ZERO hier: Ringrazia con «arigato gozaimasu» la signora Masako.

Kategorien Restaurants
quartiere Centrale

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Tomoyoshi Endo Via Vettor Pisani, 13
Milano

Zeitplan

  • lunedi 12–14:30 , 19–22:30
  • martedi 12–14:30 , 19–22:30
  • mercoledi 12–14:30 , 19–22:30
  • giovedi 12–14:30 , 19–22:30
  • venerdi 12–14:30 , 19–22:30
  • sabato 12–14:30 , 19–22:30
  • domenica chiuso

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Nahrung

Preise

Tomoyoshi Endo esiste da cinquantacinque anni. Da quando il sushi era un abbaglio esotico, il crudo di pesce al di fuori dei ricci, dei polpi e dei gamberi italici era l’equivalente di una bestemmia alimentare e i ravioli erano soltanto e categoricamente mantovani nonché rigorosamente con la zucca. Punto: così la verità statuaria e invalicabile della nonna. Così era la storia. D’altronde, se si guarda o si parla alle seconde e terze generazioni nipponiche in città, Tomoyoshi esiste come esistono i sogni, quelli filtrati con la grana della nostalgia e conditi con la granella dolce dei tempi andati. Quasi tutti raccontano di come i giovani genitori approdati a Milano ritrovavano qui i sapori, i colori, i gusti e le atmosfere più autentiche del Giappone, di come soltanto qui si respirava quell’aria dei ristorantini di Tokyo o di Osaka come nonna comanda – questa un’altra nonna a tredicimila chilometri di distanza.

Sono passati quindi più di cinquant’anni da quelle prime atmosfere, e per qualche miracolosa ragione qui l’oggi è ancora come ieri, e allora ieri è ancora come oggi. Pare insomma che nulla sia cambiato, in barba alla gentrificazione e al cambio di pelle della città, in barba alla proliferazione di ristoranti sushi e AYCE, in barba all’occidentalizzazione della cucina orientale, in barba quindi anche al fatto che Tomoyoshi Endo se ne sta nel centro della città, in via Vettor Pisani ma ben imboscato in una corte interna che sbuca su Filzi, schiacciato su una parete e con vetrine coperte da stecche di legno scuro, ragion per cui si fa fatica a vederlo, e indicato da un tabellone retroilluminato su via Pisani. Non fosse per un tappetino rosso e una tenda bianca con il delicato ideogramma del locale. Rispetto al nome, va saputo che Endo era il nome della vecchia proprietaria, Tomoyoshi è una crasi tra Tomoko e Yoshiko, figli di un amico di Kato Shozo, attuale proprietario – nonché sushiman d’eccezione – che assieme alla signora Masako che gestisce il ristorante dalla fine degli anni Ottanta.

Il tonno è pazzo, il salmone delicatissimo, l’anguilla sguscia, la seppia scrocchia, il totano marina, il gambero è tonico, la ventresca spacca, la ricciola impossibile…

Shozo prepara del sushi fuori controllo. Lo si può provare al tavolo o direttamente al sushibar, sul bancone in vernice rossa e di fronte alla teca con il pesce. Il tonno è pazzo, il salmone delicatissimo, l’anguilla sguscia, la seppia scrocchia, il totano marina, il gambero è tonico, la ventresca spacca, la ricciola impossibile, la capasanta brilla, il suari regna e assieme alla tradizione anche l’Hokki Gai (la spisula, un mollusco la cui polpa ricorda un po’ le chele d’astice). Maestro, Shozo, filetta con disinvolta precisione, stupendo potentemente con la frittatina Tamago, servita a cubetti e grande classico della cucina giapponese. Se con Shozo si sbrocca osservando la preparazione e si sbrocca di nuovo assaggiando il sushi, Masako contribuisce vigorosamente all’atmosfera onirica di Tomoyoshi. Che sia al telefono o di persona, la signora Masako, bassa, sottile e leggermente incrinata come un bastone di radica, capello da cirronembo e occhio volpino, risponde e saluta e ringrazia sommessamente in giapponese: «arigato gozaimasu», accompagnato sempre da un lieve e delicatissimo inchino. La cura e l’interesse lo si vede da quell’atteggiamento rocambolesco e categorico che soltanto le signore di una certa età riescono a esprimere: «Qui come in Giappone è tutto buonissimo», al ché rifiutare un piatto qualunque è pressoché impossibile.

Qui, per chi è stato in Giappone e ne sente la mancanza, siete nel posto giusto. Per chi non è mai stato in Giappone e ne sente la mancanza, è sempre il posto giusto.

Il menù ovviamente è in giapponese. Può pure essere che lo troviate scritto a mano, e tradotto sul posto a voce. Trovate tutto, e tutto, come dice la signora Masako, è più buono che altrove. Sarà l’atmosfera, le stanze in cui legno fa da padrone assieme a quella verniciatura rossa, alle statuette votive, ai sandali in legno laccato – rosso – intecate all’ingresso, ma il ramen è delicatissimo, la zuppa di miso saporitissima, i funghi enoki in brodo spaventosamente buoni, il filetto scottato di salmone poi non ne parliamo, insomma, tutto è buono, c’è poco da dire di più. Se non che a pranzo ci sono menù meno costosi, serviti dalla Masako su vassoi rettangolari dai bordi alti con rifiniture in legno e riempiti a tetris di ciotole, ciotoline e ciotolette.

Tomoyoshi è anche in via Porpora, ma qui in Vettor Pisani sta l’essenza della storia. Qui, per chi è stato in Giappone e ne sente la mancanza, siete nel posto giusto. Per chi non è mai stato in Giappone e ne sente la mancanza, è sempre il posto giusto.

 

Piergiorgio Caserini