La terza edizione di Ilaria Bonacossa verte sulla dialettica tra desiderio e censura: un classico, ma aggiornato al tempo del culto spasmodico, sconfinato dell’immagine e della contemporanea corsa al suo controllo. Sembra che tutto debba passare dall’immagine, fino al punto in cui l’articolazione dei ragionamenti arriva quasi a scomparire nella comunicazione tra esseri umani, ed ecco che l’immagine stessa viene imbrigliata in reti dalle maglie sempre più strette, dispositivi di controllo e appropriazione sempre più pericolosi.
„Le opere d’arte sono storicamente portatrici di immagini in grado di emancipare ciò che convenzionalmente viene considerato un tabù, grazie al desiderio di sovvertire le regole, rendendo fluidi i confini tra normale ed eccezionale – dice Ilaria Bonacossa – Il limite tra contenuti permessi e contenuti proibiti è al centro di un dibattito quanto mai attuale che vede l’arte stessa oggetto di censura. Nel mondo digitale e sui principali social network il controllo preventivo, spesso algoritmico, rende di fatto sempre più difficile la diffusione e promozione del nostro patrimonio artistico-culturale“.
In questa cornice è stata concepita la mostra ABSTRACT SEX. WE DON’T HAVE ANY CLOTHES, ONLY EQUIPMENT, da un’idea della stessa Bonacossa e co-curata da Lucrezia Calabrò Visconti e Guido Costa e ambientata negli spazi di Jana, boutique di moda di via Maria Vittoria, dal 31 ottobre al 3 novembre. Un’indagine sul desiderio che parte da tre aneddoti su oggetti in transizione: bombe trasformate in caschi da parrucchiere nel dopoguerra, salami branditi da lesbiche inferocite contro il patriarcato negli anni 70, e butt plug contemporanei fatti di coprolite (sterco di dinosauro fossilizzato) che materializzano un’immagine, simile a quella creata da Martin Amis in La freccia del tempo, di uno stronzo che torna a infilarsi nel culo – sebbene non quello di origine.
La ricerca, che mostra opere di una ventina di artisti da Candice Breitz a Corrado Levi, da Benni Bosetto e Jacopo Miliani a Andra Ursuta e Tom of Finland, illustra le strategie che l’arte mette in opera per riappropriarsi di un desiderio sempre più addomesticato, incanalato verso la disciplina del consumo, per boicottare il cosiddetto „regime farmacopornografico“ descritto da Preciado.
Sarà invece interessante, in fiera, capire come il tema verrà declinato nella nuova sezione Hub Middle East, un nuovo progetto in collaborazione con Fondazione Torino Musei e con la consulenza di Sam Bardaouil e Till Fellrath (fondatori della piattaforma curatoriale Art Reoriented) che intende offrire una ricognizione sulle gallerie, le istituzioni e gli artisti attivi in un’area geografica centrale per gli sviluppi della società contemporanea.
Le OGR aprono con due artisti fortemente orientati all’architettura: Monica Bonvicini, che ha da poco inaugurato a Milano da Raffaella Cortese una splendida personale e ha ricevuto il premio alla carriera di ACACIA, e Mauro Restiffe, che ha fotografato e indagato con il suo sguardo ampio progetti di Mollino, Scarpa, Albini e Portaluppi, tra gli architetti oggi più universalmente amati dopo decenni di passioni marginali, quasi da intenditori. Sempre all’interno di OGR è ospitato il progetto Artissima Telephone (da un’idea di Ilaria Bonacossa, curata da Vittoria Martini) che indaga il device come strumento di rappresentazione artistica e le implicazioni del passaggio dalla telefonia fissa all’era dello smartphone, esplorando il modo in cui le dinamiche sociali sono cambiate con l’introduzione delle componenti di mobilità (spazio) e simultaneità (tempo).
Al Castello di Rivoli c’è Michael Rakowitz, per la prima volta oggetto di una personale in Italia a cura della vate Carolyn Kristof, mentre al PAV Marco Scotini porta una forma di pensiero intersezionalista tra politiche ecologiche e femministe, con l’artista indiana Navjot Altaf, per la prima volta con una personale in Italia. I lavori di Altaf, impegnata politicamente sin dagli anni 70, periodo in cui milita nel collettivo marxista PROYOM, raccontano lo sfruttamento minerario e dell’agricoltura intensiva, l’industria pesante, la consunzione delle foreste, riflettendo sulla sovranità culturale delle popolazioni indigene in lotta contro il potere statale e delle multinazionali.
Passate nell’eroico spazio Quartz, dove è stata approntata una mostra-pubblicazione, The Annotated Reader, a cura di Ryan Gander e Jonathan P. Watts.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2019-11-01