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Doña Valentina: la scena emergente dell’elettronica sudamericana a Milano

La storia recente dell’etichetta milanese che raccoglie artiste e artisti locali del post club latinoamericano ed esponenti internazionali

quartiere NoLo

Geschrieben von Piergiorgio Caserini il 14 September 2023
Aggiornato il 19 September 2023

Saper vedere una scena presuppone tutta una serie di requisiti, e il primo è che nessuno se la inventa. La scena è qualche cosa che già c’è e deve essere raccolto, per cui se mai sentiste dire qualcuno pronunciare: «Io mi sono inventato [cose]!» andate sul sicuro: dubitatene. D’altronde se ogni invenzione è una combinazione che accorpa ambiti prima di allora disparati, l’invenzione è allora prima di tutto un costruire rapporti inediti. Diremo allora che una scena si forma. Che dipende da spazi e luoghi, da relazioni e da piattaforme, nonché da quei movimenti e sommovimenti fortuiti e accidentali che sono gli incontri tra persone. Cosicché non è possibile sottostimare l’importanza del cosmopolitismo, tanto per le scene quanto per le immagini di città, le sue tendenze e quindi i suoi stili di vita. Perché se le città raccontano di un mondo, quando nascono nuovi gusti e nuovi sguardi nascono anche città inedite e inediti modi di viverla e pensarla.

Un ponte spaziale e sonoro tra la scena nativa del clubbing latinoamericano a quella di seconda e terza generazione a Milano.

Con questa premessa vi raccontiamo la storia di Doña Valentina: nuova etichetta discografica e piattaforma nata da meno di un anno, e pensata per essere un ponte spaziale e sonoro tra la scena nativa del clubbing latinoamericano a quella di seconda e terza generazione a Milano. L’idea dei due fondatori Ismael Condoii e Franko Garrido Huguet è esplicitamente e fin dagli esordi del febbraio del 2023 quella di evidenziare una scena che da anni puntellava qua e là i club e le serate elettroniche in città, sperimentando sui generi e proponendo sonorità latinoamericane (per fare qualche nome: le serate Taki Qema, Sayri, St. Grimes, Miss Jay, Youk, Wiqha o lo stesso Condoii).

Lo sguardo di Doña Valentina gode di quello strabismo del displacement, del saper vedere simultaneamente almeno due cose: da un lato questo brulicare di generi, tra cumbia, Moonbahton (genere che ha influito sulla nascita di un mobimento globale) changa tuki venezuelana, guaracha cubana, dembow dominicano o tribalismo messicano – che vale sì per Milano ma vede in primo luogo l’internazionalizzazione delle sonorità latine nell’elettronica contemporanea degli ultimi anni (un nome su tutti è ovviamente Arca, con quell’hyper-reggaeton da post club distopico); dall’altro lo sguardo su una scena già coesa e internazionalizzata in Sudamerica, tra Perù, Colombia e Venezuela in particolare, che conosceva e ascoltava quel che a Milano accadeva di sottecchi ai milanesi stessi. A Lima molti conoscevano le tracce del cremasco St. Grimes (milanese per adozione), ci ha raccontato Franko; e qui a Milano Ismael suonava quelle di Carlycore (quando si faceva chiamare Dj Sentimiento), con quella mistura gabberina e Huayno. A Milano insomma una scena vera e propria non c’era, ma esistevano – ed esistono – tutti i requisiti per farla: chi ascolta, chi suona, chi produce, un pubblico coeso e dei primi legami dall’altro capo del mondo.

Certo, si dirà: chi c’è oggi che non guarda, esteticamente e stilisticamente, a quel che accade fuori? Un po’ per hype dei trend un po’ per la compulsione comunicativa dei social è un fatto indiscusso, che si potrebbe riassumere in una specie di ipertrofia: si vede molto bene da lontano e un poco male da vicino. Ma la questione in questo caso ha una differenza sostanziale: il guardare altrove ha qui un orizzonte e un litorale preciso, ovvero sono artiste e artisti di seconda e terza generazione, nonché una vera e propria “rete di migranti” (come d’altronde si chiamava la prima uscita di Taki Qema al Bahia Disco Club nel luglio 2022, che pose un po’ le basi per l’etichetta attuale), intenti ad attestare una forma di ascendenza latina e a commistionare quegli stessi generi in città.

Un ambiente sonoro che attinge da sonorità latine, etniche e autoctone, che mescola segmenti di gabber arrogante, synth pop, techno cardiopatica da rave o i tenori acquosi-depressivi del grime con un’estetica che pastura la fantascienza distopica e sudata a là Brazil di Terry Gilliam e l’Y2K.

È capitato sicuramente a molti di trovarsi nel mezzo di set o serate con questa ascendenza, almeno negli ultimi anni. È un ambiente sonoro che attinge da sonorità latine, etniche e autoctone, che mescola segmenti di gabber arrogante, synth pop, techno cardiopatica da rave o i tenori acquosi-depressivi del grime con un’estetica che pastura la fantascienza distopica e sudata a là Brazil di Terry Gilliam e l’Y2K. Si poteva avere l’impressione che Milano, in certi suoi luoghi, si facesse sempre un po’ più Lima, Bogotà, Caracas o Buenos Aires, nei termini di atmosfera e scena, in una specie di doppia ripresa a diecimila chilometri di distanza, in cui Doña Valentina si inserisce come piattaforma.

Già la storia del nome dice molto sugli intenti, tributando Valentina Barrionuevo: afroperuviana degli anni Cinquanta divenuta simbolo della cultura Criolla peruviana con la fondazione de La Peña Valentina, un locale a Lima in cui suonava la musica migrante e africana – poco apprezzata dal gusto maggioritario dell’epoca –, e che da lì a poco avrebbe fatto la storia della cultura musicale limeña. Dall’esordio del febbraio 2023, con la presentazione di un primo mixtapedi cui avevamo parlato qui, già facendo riferimento all’emergere della scenal’etichetta raccolse artisti milanesi e peruviani, messicani, argentini, ecuadoriani, colombiani, venezuelani, insomma, fecero una dichiarazione d’intenti: c’erano Condoii, Carlycore, St. Grimes, Youk, Axolowe, Joa of Arc, NTFL e CRRDR (che ritroveremo poi).

Ma è con l’uscita successiva che inaugura il format estivo di serate che punta un po’ più in alto: con Chiringuito Doña Valentina si intercettano i dj internazionali più celebri della scena e li si portano al Bahia e allo Zilli (due luoghi simbolici) e all’Artefact. Per primo arriva Dj Babatr (ne avevamo scritto qui), progenitore ed esponente di spicco del Changa Tuki (un fenomeno musicale ed estetico rilevantissimo in Venezuela), che s’invento il Raptor House nella Caracas degli anni Novanta. L’atmosfera è una mescola dinamitarda tra salsa e merengue con Air Jordan pittate, un atletismo di accelerazionista umido e sudaticcio a 150 bpm: ghetto dance un po’ emocore. A fine giugno è Sassyggirl da Buenos Aires (qui la recensione dell’evento): reginetta del neoperreo in perenne bikini, capelli bicolore, latex, glitter e animalier, tra i suburbs e quella pacchiana cuteness gotico-sportiva dell’internet. L’intenzione qui era quella di attestare la presenza di un altro genere, il Neoperreo, che sostanzialmente è una progenie queer del reggaeton (che pure ne rivendica la produzione femminile), che addiziona le storture della techno e le battute della cumbia, con synth schiaffati con maestria e vocoder in flirt perenne dai timbri robotici. Infine Francisco Corredor, aka CRRDR, da Bogotà (e anche di quest’ultimo evento potete leggere qui): uno dei nomi di punta della scena colombiana con un genere che è stato definito come Latin Tekno: una mistura di sonorità e generi latini, tra Dembow, Guaracha e ritmi tribali tutti destrutturati a una latitudine sonora molto precisa, che è quell’eclettismo del clubbing e delle voci storte, dei ritmi da bacino psicotici e da canicola costante.

Doña Valentina ha insomma fatto il primissimo passo per attestare una scena locale a livello interazionale. Per far conoscere personalmente a chi qui a Milano produce gli esponenti più interessanti dei generi di riferimento, e a loro la scena embrionale milanese. Di nuovo una geografia strecciata, un arcipelago che si legittima tra luoghi disparati, come fossero bolle comunicanti, schiumose e caldissime. Da una parte la volontà di imbastire l’impalcatura per sostenere una scena, cosa che si rivela in una piattaforma comune, di raccolta; dall’altra il lavoro di apertura del prisma, il portare dj storici, che hanno fondato la scena altrove e che ne sono riferimento, qui a Milano e viceversa – l’etichetta a luglio ha pure sponsorizzato una squadra del Mundialito de El Porvenir, un torneo di calcio di strada che avviene ogni anno a Lima, che ha sfidato per dieci anni la persecuzione poliziesca (era vietato giocare per strada fino al 1960), ed è considerato “il campionato mondiale di calcio più pericoloso al mondo” per il semplice fatto che a fare il campo sono i corpi delle persone e a volte la polizia in antisommossa.

Una scena, dicevamo, non si crea dal nulla, ma occorre che venga vista, scovata e coltivata. Perché ogni scena che si rispetti sta qui e là, non ha sede ma più che altro condivide un certo modo di stare assieme.

 

Troverete Doña Valentina a Hyperlocal Festival 2023: sul palco con La Nueva Vieja Giardia e Condoii da Milano e FKS dalla Colombia (dalle 19:30 alle 22:00), e nella talk dedicata alla storia della scena iperlocale (dalle 16:00 alle 17:00).

Taki Qema a Hyperlocal Festival 2022. In basso a sinistra c’è Ismael molto felice e la redazione di Zero che balla sbracciando.