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La Bebe Vio Academy e l’inclusività come futuro dello sport

Come operare un cambio di mentalità energico attraverso la competizione

Geschrieben von La Redazione il 29 Oktober 2021
Aggiornato il 22 April 2022

Martedì scorso (il 26 ottobre), giusto una settimana fa, ha inaugurato la Bebe Vio Academy. Un progetto fortemente voluto da Bebe Vio e Nike che si pone come baluardo per la crescita del movimento paralimpico tra i giovani, nell’ottica di rendere lo sport sempre più inclusivo. Il tutto è organizzato da art4sport ONLUS, associazione che si occupa di terapie fisiche e psicologiche per bambini e ragazzi con disabilità fisiche attraverso lo sport, dedicandosi alla promozione dello sport paralimpico in Italia. Insomma, è una questione importante, pensare una struttura competitiva e ludica che metta a confronto persone con e senza disabilità attraverso lo sport. Perché «Lo sport è per tutti». Ed è vero. E noi ci siamo ritrovati a pensare come raccontare quest’iniziativa.

Da dove partire, quali narrazioni? Ci sono difficoltà sincere, che spaziano dai toni paternalistici a quelli pietisti, ma toccano anche quelli – altrettanto stereotipati – della normalizzazione delle disabilità e pure della loro spettacolarizzazione. Abbiamo pensato che c’è un vero problema anche nei racconti in sé su questi temi; sappiamo bene che troppo spesso le parole, gli statement, insomma i valori, messi nero su bianco, rendono meno che le storie vissute in prima persona.

Con la foga e la fotta che soltanto i bambini sanno avere nelle competizioni.

Infatti, ad assistere al kick-off della BVA, ne abbiamo avuto la conferma. Un gruppo folto di ragazze e ragazzi, con protesi o senza, con carrozzina o senza, che si confrontavano sul campo da gioco, animati da quella determinazione che solo competendo si ha e dalla cosa più importante: il divertirsi. Stile Zero. La scena parte di consueto con una gran caciara che precede l’organizzazione dei giochi. I bambini scorrazzano per il campo della palestra, attrezzato per svolgere i cinque sport a cui si dedica l’Academy, ovvero scherma in carrozzina, sitting volley, basket in carrozzina, atletica paralimpica e calcio amputati. A saltare all’occhio non sono soltanto gli attrezzi specifici che caratterizzano la palestra (come le pedane per lo scherma), ma le palle che si calciano a non finire. Come al parchetto davanti a casa. Con la foga e la fotta che soltanto i bambini sanno avere nelle competizioni. Insomma, pareva di stare tra gruppi di amici, e ne abbiamo la conferma quando i coach e Bebe Vio cominciano a parlare. Non alla folla, ma al pubblico di bambini e ragazzi. È chiaro da qui, dalle tribune, che ci troviamo davanti a una realtà che supera la palestra, che supera anche di molto l’idea canonica di accademia, e arriva dritta dritta ai termini della comunità. Il momento passa in rassegna esperienze singolari e desideri dell’Academy. Parlano gli atleti di fly2Tokyo, tutti giovani, tutti con storie da raccontare che in fondo puntano tutte lì, al solito punto, quello ostico per cui ci si chiede come andare a raccontare questi aneddoti. Quando un’etichetta smette di essere tale? È l’intervento di Riccardo Bagaini, giovanissimo corridore sui 400mt. Insomma, qui l’intento è capire, attraverso lo sport e la competizione, come giocare assieme e attraverso il gioco posizionarsi rispetto agli altri. Agli amici.

Che siano protesici o meno, i calci e i dribbling, gli slalom o le stoccate, sono sempre tali.

Occorre fare comunità, occorre fare dello sport il grimaldello con cui smontare tutte le etichette malposte. E appena cominciano i giochi, è evidente lo spirito: che siano protesici o meno, i calci e i dribbling, gli slalom o le stoccate, sono sempre tali. È soltanto una questione di allenamento, di imparare assieme. Tra tutti questi momenti, c’è una scena in particolare che ha lasciato anche Bebe Vio di stucco: un bambino che s’intestardisce a scendere dalla carrozzina, scende per davvero, si scoccia quando gli stavano per passare un pallone di testa, lo pretende tra le gambe, e se ne va da seduto con la palla tra dribbling, slalom e rigori in rete. Il tutto per almeno un’ora di tempo.

Tutti nel campo si divertivano, si sforzavano per superare qualche limite, e insomma, cosa dire se non “Cos’altro ci si aspettava?”. E risulta chiara, qui, l’intenzione dell’Academy: arrivare in pochi anni a un cambio di mentalità energico rispetto all’inclusione e all’inclusività delle disabilità nelle competizioni, ma anche e soprattutto nel quotidiano. L’idea è quella di mettere in contatto i ragazzi appassionati con le società sportive milanesi di riferimento, ma con la prospettiva di seminare luoghi. Di pensare l’Academy negli anni come una realtà itinerante, capace di sedimentare in diverse città i prodromi per un’idea diversa di sport. Si tratta, insomma, di trovare il nesso di passioni e sensibilità. Un complesso che lo sport, a tutti gli effetti – tra istituzioni, federazioni ed educazione – riesce ad ottenere. Meglio di altri ambiti, riuscendo a mettere insieme bimbi e ragazzi con e senza disabilità, uniti dallo sport.

Insomma, partecipazione, competizione, comunità e anche la tecnologia – avete presente cosa ci vuole per progettare una protesi sportiva? –, convergono in un complesso che ha tutte le carte in tavola, col tempo, di minare stereotipi e pregiudizi, andando, insomma, verso un piano di concezione decisamente più inclusivo, o meglio: capace di operare quel cambio di mentalità che la BVA si appresta a fare. Dove non c’è una “normalità” del corpo, e non è che tutti i corpi debbano rispondere a questa nozione. Augurandoci che il “normale” venga presto cestinato dalla storia, ci prepariamo a inaugurare il racconto delle session di BVA come soltanto ZERO sa fare.