“Quando vedremo tanti musicisti scegliere questa città per vivere e lavorare, invece di Londra o Berlino, avremo raggiunto il nostro obiettivo”. A Milano nasce Music Innovation Hub, il “più grande polo per l’innovazione musicale in Italia” e se la sua mission non sembra essere esattamente quella di trasferire le residenze di tutti gli artisti più cool d’Europa sull’asse Isola/Navigli, se il progetto ha come scheletro un modello di business che è quello delle imprese, almeno sulla carta l’orizzonte di azione delineato dal suo Direttore Generale Dino Lupelli sembra voler gettare il cuore di Milano oltre l’ostacolo. Quale ostacolo? Quello che anche con la Music Week ci è apparso sempre più evidente: trasformare la città da contenitore di molte cose – un contenitore senza una propria identità forte, almeno nelle sue espressioni più emerse -, da “semplice tappa obbligata per le tournée internazionali”, a centro nevralgico/connettore di ciò che accade in Italia e relativa rampa di lancio verso l’estero.
Radici solide e proiezione verso l’alto: Music Innovation Hub non arriva certo dal basso, ma il suo manifesto „Fondere insieme il valore formativo, sociale, culturale ed economico della Musica“ fa proprie istanze che provano a far stare in equilibrio il business con una vocazione non puramente votata al “faresoldi” (ma anche, si spera, al “farecultura”). Chi ne fa parte? “Music Innovation Hub è una spa impresa sociale, la prima del genere in Italia a occuparsi di musica, ed è partecipata dalla Fondazione Giordano dell’Amore Social Venture – un fondo di investimento a impatto sociale della Fondazione Cariplo -, da OxA srl, la società che gestisce per 18 anni BASE Milano e da Music Management Club, una società che raccoglie un gruppo di imprenditori interessati all’industry musicale” racconta a Zero Dino Lupelli. “L’area di riferimento è quella dell’impact investing, ovvero di un modello di business che è sì quello delle imprese, quindi con piani di sviluppo sostenibili e finanziamenti privati, ma con la missione tipica di un ente not for profit – ovvero di una realtà che non ha lo scopo primario di redistribuire gli utili ai soci fondatori, perché l’obiettivo vero è l’impatto sul sistema e la capacità di innovarlo a partire da quegli aspetti che ne impediscono il pieno sviluppo. Il bello è che in questo caso l’oggetto sociale è la musica”.
Provando a delineare quello che farà concretamente Music Innovation Hub “per innovare la filiera musicale italiana”, prendono forma quattro aree di intervento e altrettanti programmi: Futurissima, etichetta discografica indipendente che, ci racconta ancora Dino Lupelli, “avrà il compito di alimentare la diversità culturale, ovvero di ampliare lo spettro di proposte che si affacciano sui canali esistenti, puntando sugli under 30 che abbiano talento e voglia di crescere all’interno di una vera e propria famiglia, dove il successo commerciale servirà a rimettere costantemente in circolo risorse per scoprire e lanciare nuovi talenti”; Chorus, progetto che metterà in rete le scuole di musica di Milano, “al fine di valorizzare le realtà che attraverso l’insegnamento della musica creano nuovo pubblico di appassionati e promuovendo iniziative di coproduzione e scambio. Un progetto sostenuto per i prossimi due anni dalla Fondazione Milano e la Fondazione Cariplo“; e poi Linecheck, festival e meeting divenuto in quattro edizioni la principale music conference italiana che “nel 2019 sarà una delle tappe di ‘Jump’, progetto di formazione per music maker dell’Unione Europea, a cui durante l’anno si aggiungeranno seminari e masterclass sempre con un taglio internazionale“; infine Music Rooms, “spazio che verrà creato e gestito all’interno di Base: spazio di lavoro, formazione e guest house per gli artisti in transito, ma anche vero e proprio live auditorium pronto per ospitare il futuro della musica dallo streaming al suono spazializzato”.
L’obiettivo vero è l’impatto sul sistema e la capacità di innovarlo a partire da quegli aspetti che ne impediscono il pieno sviluppo. Il bello è che in questo caso l’oggetto sociale è la musica
Nel futuro di Music Innovation Hub c’è quindi l’idea di una Milano che non è né contenitore indistinto di eventi, nè città slegata dal Paese di cui fa parte o leader di un’industria, quella musicale, che in Italia fatica comunque a crescere e a valorizzare tutti i suoi punti di forza. L’obiettivo è quello “di riunire quella “scena” di operatori, progetti e artisti in grado di confrontarsi e cooperare a livello internazionale. Milano deve traghettare l’Italia della musica fuori dal suo provincialismo e dalla sua autarchia ed essere sempre più accogliente e attrattiva per i music maker di tutto il mondo, diventando uno dei punti di produzione più avanzati e aperti e non solo una tappa di passaggio obbligata per i tour internazionali”. E quindi: Linecheck come trampolino per creare connessioni stabili tra gli operatori italiani e quelli internazionali, “cui va fornita una mappa reale ed aggiornata di quanto accade dalle nostre parti”, dove a partecipare sono addetti ai lavori sempre più giovani (“puntiamo sulle nuove generazioni che hanno di sicuro una maggiore voglia di crescere, anche sconfinando all’estero e soprattutto facendo rete con colleghi e, perché no, anche con i competitor”). E poi una dimensione live sempre più importante, se davvero, come assicura Lupelli “Ogni programma tra quelli elencati avrà una dimensione “live”: ci saranno 1000 concerti all’anno di Futurissima e una serie di eventi targati Chorus per avvicinare il pubblico alla musica suonata… Avremo poi cura di un palinsesto pensato per gli spazi di Base, con tante commistioni tra generi e linguaggi a testimoniare la volontà di contaminare la musica con altre forme artistiche”.
Tutto molto bello, ma chi finanzia il progetto? Tra le priorità ci sarà anche quella di mantenere un’autonomia nelle scelte e nelle direzioni da prendere? Come si troverà un equilibrio tra le esigenze commerciali, il „business“ insomma, e la vocazione anche molto rivolta al sociale di MIH? “Nessun problema nel rispondere a questa domanda, perché MIH è trasparente sia nel suo modello di governance sia nei suoi conti” assicura Lupelli. “MIH punta al pareggio tra tre anni quando l’impresa dovrà sostenersi grazie ai ritorni commerciali di ciascun progetto. Avere la Fondazione Giordano dell’Amore, che è parte dell’universo Cariplo, ma anche OxA e MCM che sono due società molto strutturate in cima al sistema di governo introduce un elemento nuovo per il mondo della musica, ma non per quello dell’impresa: un piano condiviso di investimenti cui corrisponderanno i risultati attesi, che ripeto non saranno solo economici ma di impatto.
Va detto che la scelta di costituirsi come spa – quindi alzare al massimo il livello della trasparenza – e al tempo stesso essere impresa sociale, ci aprirà molte porte sia nella ricerca di partner privati che istituzionali”.
Puntiamo sulle nuove generazioni che hanno di sicuro una maggiore voglia di crescere, anche sconfinando all’estero e soprattutto facendo rete con colleghi e, perché no, anche con i competitor
Per certi versi, la missione di Music Innovation Hub ricorda molto il primo e „avanguardistico“ Arezzo Wave, che in Italia è stato promotore e sostenitore delle produzioni italiani e del concetto di rete e proiezione verso l’estero. Dino Lupelli, che proprio in quel contesto ha lavorato per tanti anni, conferma. “Devo tantissimo a Mauro Valenti, patron di Arezzo Wave, per avermi dato in tanti anni di collaborazione la possibilità di viaggiare all’estero prima per imparare i modelli organizzativi e culturali ma poi anche per capire tantissimo sul tema della internazionalizzazione della nostra musica. Ai tempi di Arezzo Wave eravamo in pochissimi italiani a frequentare eventi come EuroSonic o ADE e a capire il valore del fare rete e di stringere relazioni anche con istituzioni e realtà che sembravano lontanissime. Ho anche imparato dai tanti feedback raccolti in anni di showcase italiani all’estero che la musica italiana da esportare non è quella che si crede comunemente, ovvero il rock all’inglese, ma proprio quella che più affonda le radici nella nostra tradizione melodica che interessa perché autentica e originale. Ma più in generale ho imparato che quello che conta è credere nel proprio “prodotto”, perché si esportano progetti e identità più che musica e musicisti”. Progetti e identità in cui credere: buoni propositi, speriamo fortemente concreti, per il nuovo anno.