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Una cosa che mi manca: lo shakerato del Camparino

Il Duomo certe notti si tinge di rosso

Geschrieben von Martina Di Iorio il 6 April 2020
Aggiornato il 8 November 2022

Solo due ingredienti e un’infinita possibilità di risultati. Non ho mai capito come tra quelle once di Campari e gin potesse intercorrere quella sottile differenza che rende un Campari shakerato accettabile, buono o indimenticabile. Non mi sono mai data una spiegazione plausibile al fatto che tra i cocktail più difficili da replicare ci sia proprio questo vezzoso intruglio rosso. E pensare che basta poco per creare quello che, secondo me, è il cocktail per eccellenza dell’aperitivo.

Più godibile di un negroni, di cui però prende in prestito la forza del gin, più elegante di uno spritz, più buono di qualsiasi cosa. Ne ho provati parecchi, lo chiedo ovunque vada convinta del fatto che questo drink sia la versione liquida, diciamo, della pasta al pomodoro per uno chef: un banco di prova per i bartender, un cocktail su cui misurarsi nella sua semplicità e per questo complessità.

Il fattore emozionale è sicuramente quella cosa che mi frega, in tanti ambiti. Come in questo: ovunque vada, nessuno posto per me è come il Camparino e nessuno shakerato ha lo stesso valore. Bevuto in piedi, al bancone, penso di non aver impiegato mai più di tre sorsi per buttare giù in gola quella coppa martini perfetta. Il bar della piazza, si potrebbe quasi dire, ma poi se la piazza è quella del Duomo ti rendi subito conto del luogo in cui ti trovi.

Ovunque vada, nessuno posto per me è come il Camparino e nessuno shakerato ha lo stesso valore

Quando vengo qui mi piace parlare con i turisti che si accalcano timidi al bancone: mi permetto sempre di consigliare cosa bere, anche se nessuno me lo chiede. „Un Campari shakerato è la cosa migliore, anche se i miei colleghi vi consiglierebbero un lavorato secco“. Non riesco mai ricordare in fila tutti gli ingredienti di questa bandiera del Camparino, prima ancora che fosse come lo conosco io, prima della recente ristrutturazione, prima di tutto, quando si chiamava Caffè Miani. Mi piace tagliare corto e dire che è una ricetta segreta, che fa bene al cuore, alla testa e all’anima. Sembrano crederci tutti, perché così è, in effetti.

Si beve vicini al Camparino, ci si sfiora, ci si muove con attenzione per non rovesciare i cocktail addosso. Ci trovate dentro l’avvocato impettito, la ballerina del vicino Teatro alla Scala, i vecchietti duri a cambiare abitudine, i miei amici, cari animali da bancone. E ci trovate me, che non vedo l’ora di tornare a dire: „un Campari shakerato, anzi me ne puoi fare già due?“. Tre sorsi e sguardo a quella piazza che ora ci sembra così lontana ma che presto continuerà a tingersi di rosso.