Il calendario è stato molto ingeneroso con coloro che in questo 2020 avrebbero dovuto organizzare il proprio evento a cadenza quadriennale. D’altra parte il dado gregoriano è stato tratto secoli or sonoro e a tutti, dalle Olimpiadi in giù, in questo 2020 è toccato fare i conti con la prima grande pandemia dell’epoca contemporanea. C’è chi ha rinviato e c’è chi ha potuto continuare il proprio lavoro, pur tra mille difficoltà, aiutato dalla non necessaria compresenza del proprio pubblico. Così, La Quadriennale di Roma ha mantenuto il suo impegno e da venerdì 30 ottobre aprirà la sua diciassettesima edizione. FUORI: „FUORI di testa, FUORI moda, FUORI tempo, FUORI scala, FUORI gioco, FUORI tutto, FUORI luogo“. L’obiettivo dei curatori Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol è stato quello di dar vita a una nuova immagine dell’arte contemporanea italiana, soprattutto rispetto al contesto internazionale. Uno „sverniciamento“ che però non si è consumato solamente lungo un piano temporale, anzi, l’andare su e giù, avanti e indietro, nelle età dei protagonisti, nei media e nelle discipline è stato il modus operandi prescelto.
Il percorso inizia in sordina, con un primo squillo dato dai circuiti e blu elettrici di Micol Assaël e dai totem preistorici di Isabella Costabile. Le toilette alternative di Bruna Esposito e le geometrie frammentate tra specchi e neon di Nanda Vigo fanno poi da apripista alla parte più interessante e ben riuscita, quella in cui le tematiche di genere e ridiscussione delle dinamiche di potere prendono il sopravvento. La stanza dove vengono raccolte le opere dell’entità plurale TOMBOYS DON’T CRY è la fotografia del punto in cui la discussione politico-identitaria più radicale si è arrestata prima che la microbiologia infettiva rubasse tutto lo spazio del dibattito pubblico. Altre boccate di contemporaneità le danno la coppia classe 90s Raffaela Naldi Rossano-Diego Gualandris, mentre la pandemia fa il suo ingresso in scena con il bellissimo lavoro Giulia Crispiani realizzato durante i giorni del lockdown – utilizzando due media vecchio stampo, la corrispondenza via lettere e i cartoni della pizza a domicilio – e con i clubber „ibernati“ di Michele Rizzo. Gli ultimi due squilli al piano principale li danno Sylvano Bussotti, demiurgo di un mondo di corte carnale fatto di lirica ed erotismo tutto centrato sul corpo maschile, e la fragola gigante (abitata da un pirata) di Valerio Nicolai.
Al piano di sopra l’indagine architettonica è il terreno più interessante, con lo spazio diventa spesso elemento di costrizione e sopraffazione. Così, Tomaso de Luca fa attraversare il pubblico attraverso un prefabbricato diabolicamente rosa, Benni Bosetto riempie il suo spazio con entità pluricellulari semiliquide e il duo DAAR (Sandi Hilal – Alessandro Petti) riflette sull’eredità abitativa e urbanistica del periodo coloniale italiano in Africa. Passate ledissacranti fatiche di Ercole del collettivo Zapruder, il saluto finale diurno è affidato a dei fiori giganteschi appesi lungo una delle due scalinate da Petrit Halilaj e Alvaro Urbano, mentre quello notturno – e perpetuo – lo firma Norma Jean, che, tramite un bio-programma elaborato dal Politecnico di Milano, illuminerà la volta d’ingresso del Palazzo delle Esposizioni seguendo il ritmo e l’intensità del proprio respiro.
Due gli eventi collaterali principali da segnalare: la mostra „Domani Qui Oggi“, curata da Ilaria Gianni e dedicata ai 10 finalisti del Premio AccadeMibac, contest che coinvolge gli studenti delle Accademie di Belle Arti di tutta Italia; e l’apertura straordinaria del locale futurista dipinto da Giacomo Balla nel 1921, recentemente riscoperto e restaurato dalla Banca d’Italia all’interno di un proprio immobile in via Milano 24, a poche decine di metri dall’ingresso del Palazzo delle Esposizioni.