L’università di architettura e gli anni da photoeditor ad Abitare hanno convinto Giovanna Silva a occuparsi d’altro: la fotografia, i viaggi, l’arte. Alla fine, per sintetizzare le tre precedenti, ha fondato la Humboldt Books, entrando in un vortice di relazioni e di progetti che naturalmente producono nuovi progetti. Nella settimana di MIART apre un nuovo spazio in Piazza Vetra, MEGA, insieme a Delfino Sisto Legnani e Davide Giannella, e inaugura una mostra-corso di Adelita Husni-Bey con Paola Nicolin e Giulia Mainetti, The Classroom. Noi l’abbiamo già incontrata per il progetto sulla storia del clubbing italiano Notte Italiana, presentato alla Biennale di Architettura di Venezia lo scorso anno; anche Giovanna ha partecipato a Monditalia con il lavoro Nightswimming, che poi si è evoluto in una ricerca sul clubbing nelle capitali europee, appena pubblicata in un libro per i tipi di Bedford Press.
Se dopo aver letto l’intervista avete delle altre domande da farle, venite venerdì 15 aprile a casa nostra per incontrare Giovanna di persona.
ZERO: Nei prossimi giorni inaugurano due progetti per Miart che ti vedono coinvolta, il nuovo spazio Mega con Delfino Sisto Legnani e Davide Giannella, con una mostra di Diego Perrone e Andrea Sala, e The Classroom, concepito insieme a Paola Nicolin e Giulia Mainetti, con una mostra di Adelita Husni-Bey. Ce li racconti dal tuo punto di vista? perché hai aderito, e qual è il tuo ruolo? Conosci tutti da sempre o sono relazioni in parte nuove?
Giovanna Silva: Ho aderito per amicizia, affinità e intenti lavorativi. Sono amica di Davide e Delfino da tempo, e con Delfino condivido anche il background lavorativo, poiché entrambi abbiamo lavorato e lavoriamo come fotografi per riviste di architettura e design. Delfino ha trovato uno spazio, ci ha proposto di entrare come co-curatori e abbiamo subito colto l’occasione.
Conosco anche Paola Nicolin e Giulia Mainetti da tempo. The Classroom è un progetto eccezionale dal punto di vista formativo. Il mio ruolo all’interno di The Classroom non sarà didattico, ma spero di prendere parte a una piccola idea rivoluzionaria.
Il mio ruolo è ibrido, sono entrambi progetti nati dalla consapevolezza che unire saperi diversi porta a un’accelerazione della prospettiva e del contenuto.
A parte loro, cosa andrai a vedere di Miart?
Onestamente non avrò molto tempo, devo anche lavorare!
Sicuramente andrò in Fiera, poi da Peep-hole, perché apprezzo non solo il lavoro di Paolo Gioli, ma anche quello di Vincenzo De Bellis. Poi vorrei vedere la Fondazione Trussardi, che come sempre ha scelto uno spazio eccezionale per allestire la mostra di Sarah Lucas. Vorrei anche seguire il tour al Cimitero Monumentale organizzato da Diego Cassina, è un luogo magico, spesso sottovalutato.
Con l’anno nuovo è uscito il tuo libro Nightswimming con la Bedfrod Press, e per ora l’hai presentato all’AA e a Berlino. Quando e dove lo presenterai qua a Milano? Secondo te questo tema degli spazi della notte, che nonostante l’enorme successo degli ultimi anni è ancora nebuloso, è destinato ad alimentare nuove ricerche? E nel tuo caso specifico, consideri chiusa quest’indagine cominciata per commissione e poi diventata passione?
Non credo si apriranno nuove ricerche, certo è che c’è un momento di gran moda, soprattutto di riscoperta dell’architettura radicale. Per quanto mi riguarda chissà, scherzando la butto sempre lì, ora che ho chiuso con l’Italia e le capitali europee, magari è il momento di esplorare nuovi continenti.
Mi piacerebbe poter presentare Nightswimming da OTTO, dove hanno un’ottima programmazione e sempre molto pubblico, oppure da O’artoteca, con dj set di STRA che ha composto le musiche del video di Nightswimming. Ma non lo sanno ancora, quindi forse non dovrei dirlo…
In quali locali sei andata a ballare e a fare foto, a Berlino Barcellona Parigi e Londra?
Purtroppo quasi mai ballo. A Berlino ho ritratto Kraftwerk, Ohm, Tresor, Globus, Westgermany, Ritter Butzke, Beghain Kantine, non ho avuto il permesso per il Panorama Bar, purtroppo non sono Tillmans Humboldthein. A Parigi: Rex, Concrete, Fleche d’or. A Barcellona: Apollo, Paloma, Ratzmataz. A Londra: Ministry of Sound, Coronet, Egg, Fridge.
Il più bel party a cui sei stata?
Al Ministry of Sound direi. Però c’è anche da dire che non ho potuto scegliere le serate, quindi spesso capitavo in locali bellissimi con serate disastrose.
Un giorno ti dedicherai anche ai festival di musica elettronica?
Magari sì, anche se dipende sempre dallo spazio; la mia è una ricerca più architettonica che sonora.
Su Milano invece oltre al Plastic sei rimasta colpita da qualcosa in particolare? Oppure, il fatto che le storie di Milano siano più „nascoste“ o siano meno rispetto ad altre città ti ha stupito?
Devo dire che attualmente il fenomeno che più mi interessa è quello del NUL, e dell’idea di occupare ogni volta spazi diversi. Non credo possa più esistere il concetto di una discoteca veramente stanziale.
Vivi a Milano? Da quanto tempo? Raccontaci la tua giornata
Da 34 anni, cioè da sempre. Quando sono a Milano – raramente - la mia giornata è di una monotonia allucinante. Mi alzo, vado in studio, che poi è a 300 metri da casa, lavoro, torno a casa la sera. Mi piace compensare con una vita schizofrenica sempre in viaggio.
Qual è la tua zona di Milano preferita?
Porta Venezia, di cui amo l’atmosfera. Anche se non vivo lì.
Che drinkbar frequenti di solito? Qual è il tuo drink preferito?
Vado a periodi; in genere preferisco la vodka. Ho un forte legame con lo Spritz Aperol perché ho un forte legame con Venezia. Per anni ho frequentato il Bar Basso, ora meno, ma per me rimane un luogo di casa, l’unico posto dove mi concedo di andare a bere da sola.
Ci sono locali dove, per sbaglio o volontà, vai a ballare?
Attualmente direi alla serata Glitter.
Prima di andare a ballare, dove ceneresti se volessi trattarti bene? Qual è il tuo piatto preferito?
Voto la mozzarella in carrozza, un piatto leggero prima di una serata a ballare. Per i ristoranti non ho preferenze, vado a periodi e ossessioni culinarie.
Quando stai a casa invece cosa fai? Leggi? Cosa?
Romanzi, spesso italiani perché per lavoro devo conoscere gli autori nazionali, ma anche grandi classici. Anche in questo ambito coltivo ossessioni, e quando scopro un autore tendo a leggerne tutta la bibliografia. Sono una lettrice appassionata.
Quali sono adesso le tue ossessioni?
A ora la mia ossessione è il cicchetto cipolla e acciuga del Bottegon a Venezia, perché passo l’estate in laguna. E le giacche da idraulico, quelle che trovo sempre online.
Stai su internet? Su che siti navighi?
Direi i social network, la sera per una parentesi di vita degli altri, siti di e-commerce (da anni non compro più nulla nella vita vera) e youtube.
Oltre la fotografia hai altre passioni?
Ho una casa editrice, quindi direi i libri.
Ci sono posti in città dove ti rechi per alimentare le tue passioni?
Milano è la mia città, ci sono nata, la mia famiglia è milanese, le mie radici sono qui. Ma è una città che uso per riposarmi e per lavorare. Non c’è molto che mi appassioni particolarmente se non le persone che la abitano. Se devo alimentare le mie passioni, prendo un treno e vado a Venezia.
Dove ti rifornisci di libri di fotografia?
Su internet, come per tutto.
Chi è il tuo fotografo preferito?
Oggi direi Wolfgang Tillmans, perché non mi stanca mai ed è in grado di evolversi. Ecco, potessi vorrei diventare come lui. Professionalmente parlando…
E il suo scatto migliore?
Mi piacciono molti scatti, forse quello che più ho in mente è Lutz e Alex seduti tra gli alberi, per la sua semplicità e profondità.
Invece qual è il progetto di cui vai più orgogliosa?
Ovviamente a Nightswimming sono legatissima; è stato un anno della mia vita. Ma non è un progetto partito dalla mia volontà, è stata la Biennale di Architettura a commissionarmelo. Quello di cui vado più orgogliosa è la mia casa editrice, perché spero di trasmettere agli altri il mio amore per i libri. Se invece penso a un mio lavoro fotografico, quello sulla Libia: l’ho voluto fortemente, anche quando il destino sembrava mettersi di traverso.
Ecco, torniamo alla tua casa editrice: questo è un momento d’oro dal punto di vista dei bilanci – non parlo di quelli economici, di cui non so nulla, ma del catalogo. La qualità e la cura dei singoli libri è un fatto palese, così come il fatto che stai convincendo tutti i migliori scrittori, fotografi, artisti su piazza a lavorare con te. Ma dal mio punto di vista la cosa interessante è che in molti casi riesci a farli scrivere o esprimere in modo diverso rispetto al loro canone. Come nasce un libro Humboldt? Visto che siete ancora pochi le scelte sono personali o il risultato di un confronto?
I libri di Humboldt Books nascono spesso per suggestioni casuali, o per la volontà specifica di lavorare con un certo autore, sia esso uno scrittore o un artista. Poi dalla consapevolezza che Humboldt Books si occupa di viaggio e che alcuni artisti hanno dei legami speciali con alcuni Paesi.
È spesso una coincidenza a unire i fattori precedenti. Faccio un esempio: sapevo che Luigi Ontani aveva un rapporto privilegiato con Bali, dove avviene parte della sua produzione artistica, e ho deciso di coinvolgere Emanuele Trevi come scrittore, non perché avesse un particolare rapporto con Bali o con Ontani, non sapevo neanche se fosse stato mai in Oriente oppure se conoscesse Ontani. Ho scritto a Emanuele un’e-mail chiedendogli di scrivere un testo su Luigi Ontani e lui mi ha risposto, testualmente: “Per me Ontani è un genio, sono disposto a qualsiasi cosa”. E poi ho scoperto che Trevi è un ottimo viaggiatore, e che ha viaggiato più di me! Insomma, da una sensazione iniziale fortunata è nato un ottimo libro.
Dando per scontato che ogni volume ha una storia diversa, qual è la parte del processo di produzione che ti appassiona di più? gli incontri iniziali, i viaggi, o le scelte che definiscono poi l’oggetto materiale?
Tutto. Inizialmente la casa editrice è nata anche per la mia passione per il viaggio: mi piace viaggiare, soprattutto per lavoro, perché ti permette di vedere i Paesi da un altro punto di vista. Poi ci sono stati gli incontri che si sono trasformati in amicizia. E l’oggetto materiale… ecco credo ormai di essere il terrore di ogni grafico, dico la mia su tutto, ho delle idee ben precise, sono il peggior committente di sempre.
Quanto ti ha cambiato la vita? E rispetto all’inizio che cambiamenti invece hai dovuto imprimere alla casa editrice e in che direzione la vorresti fare evolvere?
Se mi ha cambiato la vita? Radicalmente, nel bene e nel male. Nel bene perché finalmente sono felice e realizzata, adoro quello che faccio e ho trovato la mia strada, e spero insomma sia evidente che lo faccio per passione e con passione. Nel male perché sono così appassionata che non riesco più a staccare la mente da quello che faccio, anche quando faccio altro, e spesso è molto frustrante. Diciamo che vorrei riuscire a farla crescere nel catalogo, mantenendo la nostra integrità, il che è molto difficile, e forse dovremmo riuscire a trovare un sistema organizzativo più strutturato. Oltre al mio socio Alberto Saibene a lavorare in Humboldt ci sono anche Chiara Carpenter e Stefania Scarpini, con cui condivido passioni e stress. Forse demandare di più potrebbe essere un buon proposito per il futuro.
Qual è il tuo cinema e teatro preferito?
La Scala, mi piace molto l’opera. Una volta il mio cinema preferito era l’Augustus, ora purtroppo hanno rifatto le poltrone.
Dove vai a fare shopping?
Online!
Ti piace la musica? Qual è l’album più bello che hai comprato? Qual è la tua attuale colonna sonora notturna?
Il più bell’album che ho comprato è il White Album dei Beatles, originale del ’68, con copertina di Richard Hamilton. Oggi, per addormentarmi, in loop i Future Islands.
Ti capita di finire dei progetti di notte?
Quasi mai, piuttosto la mattina prestissimo.
Sei mai stata stalkerizzata?
Sì, ma credo sia normale all’epoca dei social network.
Qual è la cosa più matta che hai fatto nella tua vita?
Prendere due aerei per una cena.
Chi è il tuo eroe e perché?
Alexander Von Humboldt, perché ha rinunciato a tutto per la sua passione, scoprire il mondo.