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Massimiliano Lorenzelli

L.U.P.O.: una ricerca internazionale pronta a portare in mostra la generazione anni ‘90

quartiere Porta-Venezia

Geschrieben von Alessia Romano il 7 April 2023

Nel 2021 Massimiliano Lorenzelli decide di aprire L.U.P.O., dopo aver da sempre lavorato a contatto con l’arte: Lorenzelli infatti è un cognome con una storia nel mondo dell’arte che arriva ormai alla sua quarta generazione, e che oggi vede la generazione più giovane aprire la sua galleria in piena Porta Venezia.
Corso Buenos Aires 2 diventa la sede della sua ricerca come gallerista, dedicata ai giovani artisti della generazione degli anni novanta italiana ma con un occhio anche verso le ricerche internazionali.

Mi piace l’idea che la galleria diventi anche un luogo di aggregazione, un posto per socializzare, di incontro capace di mettere a proprio agio.

Chi è Massimiliano Lorenzelli e come hai deciso di aprire la tua galleria?

Sono nato in una famiglia che da sempre fa questo lavoro, quindi fin da piccolo sono stato dentro l’ambiente dell’arte, proprio fisicamente. Dentro i quadri, dentro gli studi d’artista ad ammirare il lavoro, le sculture, e tutto quello che c’è dentro questo mondo. Per me l’arte è da sempre la normalità. Ho lavorato per un periodo con mio nonno e mio padre, Lorenzelli Arte, fino a quando, durante il Covid, oramai quattro anni fa, ho notato questo spazio vuoto proprio davanti a quello di mio papà e mio nonno. Da lì mi è arrivata l’idea di aprire le porte di questo ambiente per lavorare con i giovani, che era la cosa che mi divertiva e mi interessava di più. Nell’altro spazio, che tratta prevalentemente moderno e storico, unire le due cose sarebbe stato ambiguo, nessuna delle due realtà sarebbe riuscita ad esprimersi al meglio, e quindi, volendo dare sfogo a questa mia esigenza di ricercare e di mostrare il contemporaneo, ho aperto la mia galleria. L’idea di questo progetto è nata viaggiando molto e vedendo gallerie giovani nel mondo che funzionano e che fanno proposte interessanti, freschissime, e a Milano mi sembrava ce ne fossero poche con questa tipologia di ricerca. Secondo me ancora adesso i giovanissimi non hanno molto spazio.

Puntare tutto sui giovani artisti, generazione ’90, portando a galla lavori di ricerca ancora da scoprire. Da cosa nasce il desiderio?

Io sono nato nel 1995, quindi voglio portare avanti un focus su quegli artisti che appartengono alla mia generazione, con cui posso condividere quotidianamente il lavoro e con cui posso avere una discussione attiva. La ricerca della galleria ha iniziato e continua ad avere un occhio di riguardo rispetto alle ricerche degli artisti italiani, solo fino ad ora sono quattro le personali realizzate con artisti italiani. Ma l’interesse della galleria è sempre stato anche internazionale, tant’è che presto inizieremo a lavorare con artisti americani e adesso inauguriamo un progetto che riguarda la Corea curato da Hyun Jeoung Moon, curatrice di Seoul. Io penso che per i nostri artisti sia importante essere circondati da colleghi stranieri, così che possano entrare in contatto tra loro ed intessere nuove relazioni per poter uscire e magari creare legami anche con gallerie all’estero. Dal mio punto di vista avere una ricerca solo sull’Italia non avrebbe senso perché, oltre ad essere “limitante” per me, sento che non offrirei “nessuna altra possibilità” ai miei artisti.

Come coltivi il rapporto con i tuoi artisti? E con il tuo pubblico?

Con gli artisti si lavora, ma siamo anche amici: spesso usciamo a bere una cosa insieme come fanno tutti e si instaura un rapporto umano, anche perché siamo per lo più coetanei e possiamo avere momenti di lavoro ma anche di condivisione più spontanea. Ammetto che all’inizio temevo che non sarebbe stato semplice lavorare con artisti giovani e invece ho trovato molta serietà. Per quanto riguarda il pubblico invece mi sono lanciato in una sfida: quella di alimentare un collezionismo giovane grazie ai lavori di artisti giovani e freschi. In Italia il collezionismo è rimasto un po’ indietro, ancorato al passato, e quindi mi piaceva questa cosa di provare a invertire un po’ la direzione, permettendo ai miei amici di vedere delle cose diverse e di proporgli delle cose diverse e devo dire che sta funzionato, perché poi la gente si appassiona e inizia a collezionare. Mi piace anche l’idea che la galleria diventi anche un luogo di aggregazione, un posto per socializzare, di incontro capace di mettere a proprio agio.

Uno spazio e una posizione invidiabile: una struttura caratterizzante, parquet e la facciata su Corso Buenos Aires. Com’è la galleria dei tuoi sogni?

La mia galleria dei sogni? Non saprei…anni fa ti avrei detto un white cube, il classico stanzone gigante, tutto bianco, alto cinque metri, con le luci dirette, poi mi sono accorto che mi avrebbe stufato a lungo andare. Mi piacciono molto gli ambienti ibridi, la galleria di Tommaso Calabro ad esempio mi piace tantissimo! Sogno un palazzo storico, magari del Settecento, dove si possa mischiare il contemporaneo con il moderno e creare un po’ di contrasto. Al contempo mi piacerebbe cambiare anche spesso spazio, credo che, oltre che divertente, sarebbe anche molto stimolante per gli artisti avere la possibilità di dialogare con luoghi sempre diversi.

A guardarla da fuori sembra che ci sia un filo conduttore tra la ricerca dei vari artisti esposti fino ad ora: il mistico, la magia, l’onirico tradotto nei media dell’arte contemporanea. È così?

Sembra che per tanti galleristi la programmazione del loro spazio sia frutto di incredibili voli pindarici. La mia verità è che faccio solo cose che mi piacciono, ma non tanto perché penso che siano le migliori, ma perché se piacciono a me penso di poterle comunicare al meglio, di farle al meglio. Vendere un quadro che mi piace è centomila volte più facile che vendere un quadro che non mi piace e mi appassiona di più. L’unico filo conduttore è la qualità, deve esserci un senso dentro il lavoro, sempre. Poi subentra il mio gusto personale, ma l’estetica da sola non basta mai.

Mi parli della mostra che presentate per l’Art Week 2023?

Nel 2016, attraverso un amico di Londra, sono stato in Africa, in Ghana, e mi sono appassionato agli artisti africani, soprattutto quelli che ho avuto modo di conoscere. Avevo trovato un forte fermento, una voglia di fare e creare che mi ha colpito e, in modo simile ma diverso, mi è sembrato di ritrovare le stesse vibrazioni adesso che ho incontrato lavori e artisti dalla Corea del Sud, anche se i due contesti sono totalmente differenti. Siamo andati in Corea e siamo entrati in contatto con ragazzi molto giovani, la prima generazione che parla inglese e che quindi si sta aprendo un po’ all’internazionale. Tanti degli artisti che abbiamo conosciuto sono nati tra il ’90 e il ’99 e ci hanno raccontato molto del cambiamento generazionale rispetto ai loro genitori e alle difficoltà affrontate per formarsi come artisti. Tutto questo è molto forte e me ne sono innamorato: ci sono relazioni molto forti tra artisti, gallerie ed istituzioni pubbliche, cosa che ancora qui in Italia è difficile da trovare. Molti degli artisti che portiamo in questo ciclo di mostre dedicato alla Corea del Sud hanno già diverse mostre istituzionali a curriculum, nonostante la giovane età. La prima tappa di questo ciclo è una group exhibition che inaugura il 14 aprile, curata da Hyun Jeoung Moon e si intitola K90-99.

Un altro progetto futuro a cui tengo molto è la fiera di Marsiglia, ArtoRama, che faremo quest’estate. Presenteremo 11 nuovi lavori di Giuditta Branconi (1998) che sono sicuro sia una tra le artista giovani italiane più promettenti.

Che rapporto hai con il quartiere di Porta Venezia, con i vicini e con i colleghi? Come ti hanno accolto? E cosa pensi della Milano a cui partecipi attivamente, ti aiuta a sviluppare la tua ricerca?

La galleria è in Corso Buenos Aires 2 e mi trovo benissimo, anche perché è da molto tempo che per me qui è un po’ casa. Mi ricordo che quando ero piccolino mio padre e mio nonno avevano la galleria qui in zona, ma era tutto diverso: giravi nelle vie retrostanti la galleria e non erano sempre sicure, mentre adesso ci sono negozi in ogni dove e anche con le altre gallerie c’è un buonissimo rapporto. Anche se devo ammettere, e mi dispiace, che manca un po’ di collante tra le gallerie, ognuna fa il suo senza generare una rete. Soprattutto in questa zona, in cui ci sono moltissime realtà, dalle più established alle meno, sarebbe importante creare un po’ più di legami.

I tuoi quartieri del cuore, oltre a quello in cui lavori?

Quando ero più giovane frequentavo i Navigli, adesso lavoro a Porta Venezia e vivo vicino a Piazza Risorgimento, tra Porta Venezia e Porta Romana, ma per il resto mi piace cambiare, mi piace girare. Quando posso durante i weekend preferisco evadere dalla città!

Per sopravvivere nel mondo dell’arte dobbiamo tirare fuori le unghie e i denti: L.U.P.O. Lorenzelli Upcoming Projects Organization, cosa rivedi dell’animale acronimo della tua galleria nella sua essenza?

Urca che domanda…non saprei. Il nome della galleria è nato perché non mi piaceva dare il nome della persona allo spazio, volevo qualcosa di rottura. Volevo che da fuori ci fosse la curiosità di chiedersi che cosa fosse. Il logo è stato disegnato da Giga Design Studio, uno studio giovanissimo di graphic design nostri vicini di casa, anche loro in Porta Venezia. Ma non c’è stata una vera motivazione del perché si è arrivati a questa immagine, l’unica cosa che mi auguro è che si traduca l’immagine di galleria forte!