Chi segue il lavoro di Nicola Lagioia sa quanto sia profondamente legato alla città di Roma e ha intuito come all’interno di questa connessione un posto speciale lo occupi l’Esquilino, quartiere in cui Nicola vive ormai da quindici anni. A volte sono state direttamente le sue strade a essere ispiratrici, come in „Esquilino. Tre ricognizioni“ uscito per Edizioni dell’asino nel 2017 – casa editrice anch’essa di zona – a volte invece è stato il destino a riportare la sua scrittura all’interno del perimetro cucito a ridosso di Via Merulana, Termini, San Giovanni e Porta Maggiore, come ad esempio nell’acclamatissimo „La città dei vivi“ (Einaudi, 2020), dove il caso ha voluto che tutti gli interrogatori dell’omicidio Varani su cui è basato il libro si tenessero nel comando dei Carabinieri di Piazza Dante. In questa intervista però non si parlerà tanto di letteratura, quanto del rapporto personale che Nicola ha con l’Esquilino e di quello che è lo stato del quartiere, il suo ruolo e le sue potenzialità rispetto al resto della città. E su questo non si fa zero e zero: se da una parte infatti c’è il plauso per i recenti lavori di riqualificazione di Piazza Vittorio, dall’altra c’è la denuncia di come continui a mancare una visione dell’amministrazione cittadina su quelle che sono le tantissime risorse intellettuali presenti in questo territorio, che potrebbero senza problemi dar vita a «Un festival culturale di livello internazionale a chilometro zero e a costo zero». Vi raccontiamo qui come e perché.
All'Esquilino ci abiti da diversi anni e quindi sicuramente lo hai vissuto molto di più rispetto a tante altre persone che a Roma ci sono nate. Prima di arrivare a quello che è oggi il quartiere però, mi piacerebbe farti qualche domanda sul passato: ti ricordi quando hai deciso di andarci a vivere e perché?
Io sono arrivato a Roma nel ’98, mi ricordo che c’erano i Mondiali in Francia. Ventitré anni fa… Ora che ci penso ho passato più tempo a Roma che a Bari, la mia città natale. Mi sono sempre chiesto quando sarebbe arrivato questo momento e alla fine è arrivato… Il primo posto dove sono andato a vivere era una specie di scantinato – veramente brutto – vicino Re di Roma, dopo mi sono trasferito in un paio di case in zona Policlinico, poi sono arrivato qui all‘Esquilio. Era il 2006, avevo iniziato a lavorare e quindi volevo accendere un mutuo per comprare casa. Se avessi avuto abbastanza soldi già nel ’98 magari ora vivrei da un’altra parte, perché allora i prezzi erano molto più bassi. Da questo punto di vista c’è stato un cambiamento epocale nel 2001, sia per il Giubileo che per l’entrata dell‘Euro, con tutte le speculazioni interne che ci sono state. Mi ricordo perfettamente che nel ’98 avevo visto che un bilocale in affitto nella piazzetta di Monti a 800.000 lire! Me la soffiò uno che ne offri 850. In ogni caso, siccome avevo deciso che Roma era la città in cui sarei voluto rimanere almeno per un po‘, iniziai a cercare casa e l’Esquilino mi sembrava un posto perfetto: è un quartiere centrale, che ti permette di arrivare a Colle Oppio o al Colosseo con dieci/quindici minuti di passeggiata, è vicino Termini e ci sono case abbastanza grandi, perché le case umbertine hanno in media una metratura ampia. All’epoca erano quasi tutte da ristrutturare, ma costavano molto meno rispetto ad altre simili perché si scontava il fatto che l’Esquilino fosse un quartiere multietnico. A me ovviamente di questo aspetto non importava, anzi, ma tante persone non volevano abitarci proprio per questo motivo. Preciso che io abito nella zona di Via di Porta Maggiore e questa parte dell’Esquilino è considerata come un quartiere popolare o comunque di ceto medio basso e ha un certo tipo di mercato immobiliare, all’altezza di Via Merulana invece diventa un’altra cosa, un quartiere borghese, con prezzi che erano inaffrontabili anche nel 2006.
Frequentavi l'Esquilino già prima di trasferirti?
Giravo più a San Lorenzo, che negli anni a cavallo tra i Novanta e i Duemila era nel suo periodo d’oro. Ora è un quartiere che si è un po‘ addormentato, ha una vitalità rallentata. L’Esquilino non lo frequentavo tantissimo, ma già mi piaceva la sua atmosfera.
Hai abitato in parti diverse del quartiere?
No, sempre nella stessa.
Qualche anno fa uscì su Repubblica un tuo articolo molto accorato a seguito di un tentativo di rapina. Iniziasti dicendo che era da tempo che meditativi di scrivere un pezzo sul quartiere il cui titolo sarebbe potuto essere: "Esquilino, il poema della merda". Eri bello arrabbiato!
Un po‘ simulavo dai! In realtà, come scrissi nell’articolo, non ce l’avevo con il quartiere, criticavo altro. L’Esquilino non è un quartiere violento, in cui avverto pericolo. In quindici anni ho subito un solo tentativo di rapina e pure maldestro, a quella persona gli ho dato cinquanta euro e se n’è andata. Io sono cresciuto a Bari e ho bazzicato posti come Via Japigia, dove se andavi a comprarti cinquemila lire di fumo lo spacciatore ti chiedeva se gli potevi reggere il ferro. Rispetto a un contesto del genere l’Esquilino è la periferia di Locarno. Quello che mi faceva incazzare e che attribuivo – e in parte continuo ad attribuire – all’amministrazione cittadina è questo: come in molti quartieri popolari di altre città, che sono vicino la stazione ferroviaria, qui ci sono diverse persone che non hanno una fissa dimora o comunque vivono situazioni di disagio. Per cui, non avendo un posto dove andare, usavano la piazza come casa, bagno incluso. Ma ovviamente la colpa non è loro: se non hai un tetto sopra la testa non puoi cambiare la tua fisiologia. È bastato infatti mettere dei bagni, come ci sono ora, e la situazione è cambiata molto. Certo, ci sono voluti quindici anni… In ogni quartiere minimamente vivo c’è un elemento di disagio ed emarginazione, se tu amministrazione non te ne occupi è logico che la situazione non si risolve da sola. Che poi all’Esquilino questo disagio è sempre stato minimo, i senzatetto che vivono la piazza o stanno sotto i portici, che tanto casino e clamore mediato hanno creato e continuano a creare, saranno al massimo una cinquantina. Se gli dai un posto dignitoso dove stare il cittadino non riscontra più problemi di decoro.
A proposito di cambiamenti, che ne pensi del recente rifacimento di Piazza Vittorio?
La ristrutturazione di Piazza Vittorio è stata fatta molto bene. Il progetto è stato affidato a un’architetta brava, Valentina Cocco, che ho conosciuto proprio qualche giorno fa, perché per una volta che succede una cosa bella volevo sapere chi l’avesse fatta. Ecco, è bastato fare questo intervento, che non è costato milioni di euro, per rivitalizzare tutto un pezzo di quartiere: ci sono i ragazzini che giocano a ping pong, quelli che giocano a basket, c’è chi fa tai chi, ci sono addirittura un po‘ di signori che fanno meditazione. Quando è in un ambiente accogliente dal punto di vista architettonico la gente sta assieme. Questo è un punto a favore degli amministratori comunali, mentre dieci punti contro glieli do per una cosa che per me è assurda. Tutto il tratto di città che prende un pezzo di Monti, L’Esquilino, il Pigneto e Torpignattara è un angolo di mondo non unico a Roma, ma unico in Italia. Se io avessi l’amministrazione culturale di questa zona brinderei ogni giorno, perché se si mettono assieme scrittori, attori, artisti, musicisti e registi che stanno lungo questa linea, si ha un festival culturale di livello internazionale a chilometro zero e a costo zero. Questa situazione negli anni è stata sfruttata dall’amministrazione capitolina in maniera vergognosamente nulla: da dieci a zero, zero. Si potrebbe fare di tutto: un centro studi, un luogo dove si fanno lezioni, un centro culturale, un festival, qualsiasi cosa! Invece, niente. Si potrebbe creare un laboratorio di idee incredibile spendendo pochissimi soldi e tirare fuori almeno tre/quattro appuntamenti a settimana. E questa è una cosa che posso dire con una certa cognizione di causa perché ormai sono quasi venti anni che faccio questo lavoro e mi muovo in questo mondo. Per me rimane assurdo che nessuno ci abbia puntato. Ci sono state diverse piccole cose, ma tutte di livello volontaristico. Ad esempio Lorenzo Pavolini e Francesco Piccolo hanno fatto una piccola rassegna all‘Apollo Undici; ogni tanto c’è Goffredo Fofi che organizza qualcosa perché in zona c’è la redazione della sua rivista Gli Asini (e ancora prima de Lo straniero); Elena Stancanelli ha fondato Piccoli Maestri, un’associazione per la quale io e altri scrittori abbiamo fatto lezioni nelle scuole; quando Andrea Segre ha girato „Io sono Li“ c’è stata una proiezione pubblica molto bella, con la comunità cinese e quella italiana che si sono ritrovate insieme a vedere lo stesso film, e lo stesso è successo per il documentario di Abel Ferrara sull’Esquilino, con tutto il quartiere in piazza. Tutte cose nate spontaneamente e sporadicamente, ma comunque sempre al di fuori delle istituzioni. L’unica cosa che ho visto d’istituzionale quest’anno è stato un presepe che sembrava uscito da una distopia di Philip Dick. Ripeto, è tutta gente che sta qua, a pochi metri di distanza l’una dall’altra, non c’è bisogno di fargli prendere un aereo per ospitarli. Se invece che in centro – che ormai è una zona morta, appaltata a ricchi e turisti come tanti altri centri cittadini – la Casa delle Letterature fosse stata aperta qua, sarebbe diventato un laboratorio di importanza nazionale. E secondo me questa cosa non viene fatta nemmeno per un disegno politico, ma per sciatteria e ignoranza: i Fratelli d’Innocenzo, che pure abitano qua, l’amministratore cittadino non sa neanche chi sono!
D'accordissimo, avviene tutto più per miopia che per malvagità.
E ma qui altro che miopia, è roba da orbi! Comunque, il quartiere è migliorato nell’ultimo anno e mezzo. Piazza Vittorio è stata rifatta bene e anche piazza Dante, hanno aperto una libreria Ovs-Mondadori: ci sono tanti piccoli segnali di miglioramento. Quando sono arrivato c’era la retorica di „Piazza Vittorio multiculturale“ che chissà cosa avrebbe dovuto generare di buono, poi ci si è inabissati in una specie di oblio che però non è stato nel segno del degrado, né tantomeno dei conflitti. Nelle città dove ci sono diversi gruppi entici spesso le diversità esplodono in maniera violenta, qui invece non è mai successo. Piuttosto è come se ci fossimo limitati ad affondare tutti quanti assieme in maniera molto pacifica e tranquilla, di un millimetro al mese, nel dissesto di Roma, al quale abbiamo in qualche modo partecipato. Però questo non ha causato grandi conflitti e violenze. Ci sono stati quegli episodi negativi che di norma succedono in ogni grande città. Pensa che adesso addirittura ho sentito anche qualcuno preoccuparsi di una possibile gentrificazione….
Ecco, proprio su questo tema volevo farti una domanda. In una tua recente intervista su Jacobin c'è un'affermazione che mi ha incuriosito molto: "Roma è ingentrificabile". Cosa vuol dire?
Roma la puoi imbruttire, quello sì, con scempi architettonici o con l’azione dei palazzinari, la puoi rendere ancora più invivibile, ma gentrificarla è un po‘ impossibile. Si può gentrificare un quartiere di Londra dove c’è un’economia finanziaria che crea delle bolle immobiliari pazzesche, ma l’economia che c’è a Roma non ha quel tipo di violenza. Può succedere a Londra, a Parigi, a New York con Williamsburg o Brooklyn, ma per me è difficile chiamare gentrificazione quella del Pigneto ad esempio: hanno aperto un po‘ di locali, tutto qua, anzi, si sono create anche delle situazione belle come Tuba. A Roma si possono fare interventi che cambiano ma non gentrificano il verso di un quartiere. Quando hanno pedonalizzato via del Pigneto è cambiato qualcosa, adesso che hanno rifatto Piazza Vittorio è cambiato qualcosa. Questi sono gli interventi da fare in città e ci metto anche lo skate park di Colle Oppio, che sta cambiando una zona che pure ha sempre avuto le sue difficoltà. Rendere un quartiere più bello e più umano non vuol dire aprire le porte alla gentrificazione. Se veramente all’Esquilino ci fosse una dinamica del genere al posto di Mas ci sarebbe già qualcosa di diverso. Al massimo a Roma succede quello che è successo a Monti, che comunque non è la gentrificazione, ma un altro tipo di fenomeno: porzioni di città che si „vendono“ al turismo, che però è un turismo usa e getta, non ricco. Se uno si va a leggere le statistiche pre Covid, vede chiaramente che rispetto ad altre città a Roma la gente spendeva meno, ci stava meno e ci ritornava anche meno, perché la città tende a essere inospitale e a spolpare i turisti. A Monti è successo questo: bed and breakfast, Airbnb, negozietti etc. I primi anni che ero a Roma l’atmosfera lì era molto diversa: si incontrava spesso Mario Monicelli per strada, l’ottobrata monticiana era molto bella. Adesso la vita di quartiere si è un po‘ incrinata. Ripeto però, non è gentrificazione, perché Monti non è il Marais, siamo anni luce lontani.
Che rapporto hai con l'Esquilino rispetto al tuo lavoro di scrittore?
Mah, al di là dell’oggetto del mio lavoro, a me piace proprio abitare qua e lavorare qua, mi piace il fatto che sto scrivendo qua, che sto nella mia stanza, nel mio studio, mentre fuori passa il tram, la gente chiacchiera e c’è tutto un quartiere vivo attorno. Sono stato un anno a Torino per il Salone del Libro e sentivo la mancanza proprio dell’Esquilino. Anche di Roma, ma soprattutto dell’Esquilino! C’è ancora un senso di comunità che trovo molto bello. Poi succedono anche cose assurde, come il fatto che tutti gli interrogatori di cui parlo ne „La città dei vivi“ si siano tenuti nella caserma di Piazza Dante, per cui l’epicentro delle indagini di un fatto incredibile e terribile come l’omicidio di Luca Varani ce l’ho avuto a dieci minuti da casa. Mi ha molto colpito.
Quali sono i tuoi posti preferiti di questa zona di Roma?
Mi piace tantissimo Colle Oppio, ci vado a correre spesso, anche la mattina. Se ci penso è incredibile: in qualsiasi altra parte del mondo se ci fosse un campo di calcio di fronte al Colosseo non si sa quanto farebbero pagare per entrarci. Oltretutto, basta appena uscire da Colle Oppio per arrivare a San Pietro in Vincoli dove c’è il Mosè di Michelangelo e ci sono dei giorni in cui riesci a starci a tu per tu per parecchio tempo perché non c’è nessuno. Non esiste un altro posto al mondo dove ti può capitare una cosa del genere. Mi piace molto Piazza Dante, ci sono un po‘ di locali dove si può – anzi, si poteva, perché ora c’è il Covid – fare un po‘ di vita notturna, come Casadante; poi la parte di Piazza Vittorio dove ci sono Gatsby e la Mondadori. Sono legato anche al mondo che ruota attorno Goffredo Fofi che pure è in zona, considera che io per quindici anni sono stato vicedirettore di una sua rivista, Lo Straniero. Poi i fiorai, che sono tutti intorno a Piazza Vittorio e sono aperti pure di notte; le pasticcerie, da Regoli a Fassi.
Cucina cinese o indiana?
Diciamo cinese dai, sono amico di Sonia! Mi piace anche la cucina giapponese e timidamente sta aprendo qualcosa anche qua.