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Il futuro del Mercato Sonato, il festival Sun Donato, il quartiere: intervista a Tommaso Ussardi

quartiere San Donato

Geschrieben von Salvatore Papa il 12 September 2023
Aggiornato il 13 September 2023

«L’unica certezza è che una casa ce l’avremo»: ne è sicuro Tommaso Ussardi, parlando del destino dell‘Orchestra Senzaspine. I lavori per la riqualificazione dell’ex mercato San Donato non sono ancora iniziati, quindi, per il momento, le prove dell’orchestra sinfonica giovanile creata dallo stesso Ussardi e Matteo Parmeggiani continuano nel Mercato Sonato, che dal 2015 oltre a ospitare gli oltre 400 musicisti della Senzaspine è stato luogo di innumerevoli concerti, festival e feste, attività formative e molto altro. La notizia del progetto che trasformerà lo storico edificio in uno spazio polifunzionale ultramoderno ha sollevato molte critiche, ma Ussardi è ottimista. L’unico dubbio riguarda la futura collocazione, elemento comunque centrale per un’associazione che proprio sul quartiere ha puntato moltissimo. Un lavoro pluriennale che, tra le tante cose, ha prodotto anche il festival estivo Sun Donato – organizzato insieme al Collettivo Franco – che da alcuni anni accoglie nel giardino Parker Lennon centinaia di persone tra fine agosto e metà settembre e che in questi giorni è nel suo clou.

Sun Donato

 

Partiamo da Sun Donato. Perché è un "festival di quartiere"? Come c’entra il quartiere oltre alla location?

Ci piace raccontare il festival Sun Donato come un festival di quartiere perché ogni anno cerchiamo di immaginarlo ascoltando i bisogni e i suggerimenti delle persone e delle associazioni che manifestano interesse verso il progetto. Vogliamo che sia un festival accessibile, adatto per tutte le età, multiculturale e multietnico, artisticamente attento a valorizzare i giovani artisti e legato ad un’idea di luogo ricco di socialità e scambio.  Ovviamente l’accesso è libero e gratuito ma ci teniamo affinché i prezzi di cibo e bevande siano veramente alla portata di tutti e tutte, proprio perché conosciamo bene il quartiere e non vogliamo escludere nessuno.

Il Giardino Parker-Lennon è uno di quei luoghi che hanno avuto diverse fasi nella propria vita, tra alti e bassi. Per voi cosa rappresenta?

Per noi, al di là della bellezza di fare un festival in un giardino che porta il nome di due grandissimo musicisti, è stato uno spazio che d’estate, come orchestra, abbiamo vissuto molto, in quanto luogo di ritrovo e di “balotte”. Ne conosciamo dunque solo i lati positivi. Siamo felici che dal 2019 sia sorto Sun Donato, un modo per dire grazie al quartiere, mantenendo un contatto con il territorio anche nel periodo estivo e cercare di rendere sempre più bello il quartiere.

Com’è nato invece il rapporto con il Collettivo Franco?

Con i ragazzi e le ragazze del Franco ci conoscevamo già per progetti che avevano incrociato le nostre strade, dall’anno scorso abbiamo stretto questa collaborazione sul piano allestimenti e comunicazione sia del Festival SunDonato che di Porta Pratello. Condividiamo molto l’estetica e l’etica del collettivo, insomma una felice collaborazione che speriamo duri più possibile.

San Donato è un quartiere al quale siete molto legati, ma la vostra casa come sappiamo dovrà cambiare. La scelta del Comune di abbattere l’ex Mercato è stata molto criticata, da parte vostra però l’approccio è stato più morbido. Avete qualche certezza sul vostro futuro?

L’unica certezza è che una casa ce l’avremo e speriamo davvero di poter restare sul quartiere che ormai ci ospita dal 2015. Il Mercato Sonato comunque resterà per sempre la nostra casa, nei nostri cuori e nelle nostre memorie, un luogo magico dove il progetto di Senzaspine è potuto fiorire in tutte le sue forme. Non c’è dubbio, la storia del Mercato dalla sua costruzione nel ‘57 ad oggi è qualcosa di veramente eccezionale e speriamo davvero che se ne custodisca e se ne coltivi la memoria, un luogo con radici forti e profonde radicate nel tessuto sociale e nei ricordi delle persone che l’hanno vissuto. Per quanto riguarda il nostro approccio, abbiamo preferito una strada costruttiva e di dialogo, nel 2015 il Comune ci diede la possibilità di rigenerare lo spazio e così abbiamo fatto e dunque quello che sarà spetterà all’amministrazione. Noi diciamo grazie per quello che ci è stato permesso di fare. L’unico punto però sul quale non transigiamo è che ci venga garantito uno spazio dove trasferire le nostre attività e dove poter garantire, senza soluzione di continuità, tutti i servizi che offriamo alla città.

Si parla tanto di impatto della cultura, si cerca di valutarlo, ma spesso è una sfida impossibile. Qual’è la vostra percezione rispetto al vostro impatto nel quartiere e, più in generale, sulla città? 

Il nostro impatto culturale si valuta soprattutto quando non ci siamo, ovvero quando siamo chiusi e gli spazi adiacenti al Mercato diventano luoghi difficili, di disagio sociale e criminalità. Invece durante il nostro presidio non abbiamo mai avuto un problema in termini di sicurezza e civiltà: un vero e proprio presidio culturale.
Senzaspine al Mercato, e dunque al quartiere e alla città, porta arte, didattica, socialità, concerti e attività ricreative con circa 200 eventi in un anno, un’apertura di 7 giorni su 7 da settembre a luglio, dalla mattina alla sera. Questo attivismo genere senza dubbio un evidente impatto in termini di benessere sociale ed economia per il territorio; quando non ci sarà più le persone purtroppo se ne accorgeranno.

Dove si svolgeranno le prove dell’Orchestra Senzaspine ora che il Mercato Sonato non c’è più e che ne sarà di tutti i progetti avviati lì? 

Ancora purtroppo non lo sappiamo, al momento siamo lì e se volete venirci a trovare la porta è sempre aperta.

Tutto è partito, appunto, dall’Orchestra. Quali sono gli stereotipi sulla musica classica che ancora oggi dovete affrontare?

Gli stereotipi sono moltissimi e cambiano a seconda delle generazioni e degli ambienti. Essere Senzaspine significa imparare a leggere la contemporaneità e abbattere tutti quei muri visibili e invisibili che rendono inaccessibili le esperienze, tutte,  culturali  o sociali che siano. Noi siamo partiti dai nostri bisogni, rimettere al centro la musica classica come fattore di crescita culturale e sociale, e da lì non ci siamo più fermati.

Qual è la soddisfazione più grande del lavoro svolto fin qui? 

In termini artistici non sappiamo rispondere, ogni anno accade qualche progetto che sovrasta il precedente. L’ultimo è stato il progetto “E Buio Fu” in Piazza Maggiore per il Festival dei Portici, per noi è stato qualcosa di importantissimo.
Dal punto di vista sociale le soddisfazioni più grandi sono aver avviato una scuola di musica che oggi conta 400 tra bambini e bambine e, infine, aver contribuito a disegnare un futuro meno incerto per gli occhi dei nostri collaboratori e delle nostre collaboratrici, un futuro ancora ricco di emozioni e di speranze.