Per chi ancora non conoscesse Tunnel Boulevard, siamo andati a incontrare Elisabetta di T12, Christian di ComunicareArte Atelier Spazio Xpò, Luca di B-CAM e Vincenzo di Comin. Sono progettisti, curatori, networkers, ognuno fa una cosa diversa ma tutti parlano di spazio pubblico. La loro qualità, ci dicono, è quella di fare comunella. Ed è vero, tant’è che la fanno con il quartiere.
Raccontate ai lettori di questo grande progetto che è Tunnel Boulevard?
Elisabetta: Tunnel Boulevard è un progetto molto complesso, che abbiamo presentato un anno fa con il traino del bando Piazze Aperte del comune di Milano. L’area che ci interessa è la linea di via Pontano, una colonna vertebrale che va da via Padova a viale Monza in cui si innestano 5 tunnel ferroviari. La caratteristica di questi posti è d’essere luoghi degradati. Presenza di homeless, abbandono di rifiuti, mancanza di luce… sono a tutti gli effetti barriere fisiche tra spazi, muri piuttosto che tunnel. Vogliamo trasformare questa strada in uno spazio pubblico, pedonale e ciclopedonale, attraverso delle operazioni di urban art orizzontali. Ti faccio un esempio, cominceremo con un gesto alla Klein: con 2500kg di blu dipingeremo tutte le aree pedonali, e lo faremo con la cittadinanza, con tutti quelli che desiderano fare di questi luoghi una risorsa per il quartiere. Ci saranno poi una serie di interventi per creare delle micropiazze con processi di autocostruzione, workshop, attività performative con gruppi teatrali, letture, cinema all’aperto… e poi c’è la questione straordinaria della street art milanese, perché in Pontano abbiamo opere di rilevanza. L’idea è quella di avere una galleria a cielo aperto, mantenendo quella componente espressiva dei “muri liberi” che c’è da sempre.
Arte pubblica, passa la palla a Christian. Sappiamo che ti occupi di street art, come si inserisce nel progetto e nel quartiere di NoLo?
Christian: Per cominciare, i muri, “liberi” non lo sono mai stati. Al massimo oggi sono depenalizzati. Ci sono qui delle murate storiche, hall of fame percorse da crew importanti e radicate nella zona dagli anni 80, come i TDK. Con Tunnel Boulevard e la galleria come spazio pubblico, vogliamo unire delle sinergie con la storia già esistente. Da un lato rendere vivo e vivibile un luogo; per dire che se vai a farti uno street art tour in bici non ti investono. Pensa che uno dei tunnel su cui si interviene lo chiamavamo “il tunnel degli orrori” perché era un deposito di masserizie, di piscio dei borrachos, illuminato male, e le persone ci passavano ogni giorno. Dall’altro, valorizzare la storia di un territorio fatta da gente come i TDK, oppure in via Termopili, Crespi, Marco Aurelio da Tomoko, Pao, Bros,TV Boy, che hanno per certi versi iniziato il percorso di rigenerazione urbana, insieme al comitato di quartiere, di quella che diventerà poi NOLO, in un periodo dove si rischiavano multe allucinanti.
Se parliamo di accessibilità e spazio pubblico, non si può non considerare la street art. Perché bellezza porta sicurezza e anche identificazione, la gente si affeziona. Tant’è che quando avevano baffato il pezzo di Pao, qui, si sono mossi tutti i cittadini. È anche così che alcuni muri sono rimasti intonsi per anni, oltre al fatto che se provavi a fare un pezzo su queste murate e non eri della zona, o ti beccavi le mazzate (era una Milano più territoriale) oppure si partiva col crossare i muri a vicenda. È una di quelle leggi della strada non scritte ma tuttora valide, che solo i novellini non conoscono.
Com’è approcciarsi così a un quartiere come NoLo?
Vincenzo: Beh, è un quartiere variegato, con tante situazioni diverse. Zone residenziali, popolari, vie intensamente abitate da immigrati e con problemi di povertà e marginalità a macchia di leopardo. Ci sono palazzine in difficoltà di fianco a palazzine in piena rinascita. Siamo ancora nel mezzo, c’è una forte vicinanza di rapporti di vicinato, un terreno molto fertile in questo senso, e la rinascita che ha portato la brandizzazione di NoLo, così come la vita sociale, ruota attorno a questa contrapposizione. C’è chi si guarda con diffidenza e chi coopera per creare ponti, fare da fare cerniera.
Luca: Si tratta di saper immaginare come persone diverse con competenze diverse, così come iniziative che nascono dal basso, possano ritrovarsi in un coordinamento creativo comune. Le azioni rivendicative anche se scoordinate hanno certamente un senso, ma se riusciamo a farle diventare tasselli di una costruzione più ampia, allora ci occupiamo di spazio pubblico (non roba da Milano Due, eh, giardinetti dove non vive nessuno). Molto schiettamente, l’alternativa a spazi e tempi da vivere insieme che le persone cercano o sono portate a vivere è il centro commerciale. Parliamo di uno sviluppo locale, magari con anche contenuti commerciali oltre che culturali e sociali in senso lato, ma all’interno di una rete che valorizzi il territorio. Perché sono questi i pezzi che fanno diventare “fronte” e non “retro” uno spazio pubblico come quello intorno alla ferrovia.
Ecco, e infatti riqualificazione e rinascita sono termini spesso associati all’idea di gentrificazione.
Christian: Sicuramente il tema è molto sentito dagli abitanti, le famiglie vengono mandate via, prima nessuno voleva quelle case e poi… poi sono arrivati i creativi, come succede a Soho e Dumbo, io per primo. Sono scappato da Città-Studi-Nosocomio e ho cercato una zona più movimentata, che allora non si cagava nessuno. All’epoca in Morbegno facevano le ronde con i cani e la mazza, le ronde, perché Ferrante Aporti collega via Padova con Centrale, quindi ecco: via dei Transiti mai nome più appropriato.
Ma adesso l’osteria Crespi è chic, sicilian style. Dove c’era il Gibarrito, che si accoltellavano un giorno sì e uno no, c’è l’ottimo Anarres. Bisogna anche ringraziare il comitato di quartiere però, e i cittadini che si sono presi cura del territorio con azioni di rete. Ed è anche così che nasce NoLo. Non solo come operazione furba di marketing territoriale, ma che prende avvio dal basso. È una gentrificazione morbida, potremmo chiamarla così.
Bello. Ha l’aria di essere un intento, d’ammorbidirla. Però le esperienze come quelle di Isola, eclatanti, rendono la questione spinosa.
Christian: Quelle sono le gentrificazioni che asfaltano. Sono fondi e investimenti. Certamente arriverà anche qui, come in tutte le città del mondo. E non la puoi fermare, soprattutto in una città come Milano. Ma è anche vero che la puoi trattare, governare in qualche modo, facendone parte senza delegare a nessuno. E qui, se ci riusciamo, sarà diverso. Come in altri quartieri come il Corvetto, Bovisa e Derganino che hanno alle spalle bellissime esperienze dove si sono mosse associazioni, territori e cittadini assieme agli enti pubblici. Insomma, pane e rose: c’è bisogno di dare il supporto a chi ne ha bisogno e offrire anche un coté culturale di ampie vedute. Pensiamo un quartiere aperto e non più periferia (un termine obsoleto), una città con diversi centri. Vediamo una forza centrifuga che va verso il centro ma anche una centripeta che da lì riporta energie e sinergie.
Luca: Qui ci sono culture e pratiche che vanno in direzione del mix sociale, e da parte di chi tiene a questo mix non si può non prendere in considerazione il ruolo del mercato. Perché il mercato produce tutta una serie di cambiamenti ma ci devono essere anche le politiche pubbliche a dare spazio e forza a proposte come affitti calmierati, canone concordato, incentivi, garanzie e aiuti per proprietari e affittuari, progetti di housing sociale, edilizia pubblica… insomma la tenuta di un quartiere così non ha che fare solo con aspetti culturali, ma anche economici, sociali e strutturali. Ci piacerebbe nel futuro pensare che qua possa sorgere un laboratorio territoriale di politiche pubbliche che abbia dentro anche il tema della casa e dell’abitare. Questo è uno dei territori che meglio si prestano, perché questi temi sono molto presenti e vanno affrontati per preservare e valorizzare il mix sociale e l’entusiasmante scambio che produce.
Christian: Ecco, in questa zona non ci avranno mai. Scrivi: non ci avrete.