Correva l’anno 1986 quando il verbo “indie pop” cominciava a diffondersi nel panorama alternativo internazionale. Da lì una serie di uscite fondamentali che avevano in etichette come Sarah, K Records e Postcards la loro casa principale. Attitudine do it yourself, bassa fedeltà da cameretta e quello spirito dannatamente sentimentale che nel corso degli anni ha spinto molti musicisti (perlopiù autodidatti) a fare dell’indie pop qualcosa di più grande. Così ecco sbucare a inizio Duemila i primi festival “di ritorno”: se il Regno Unito ha le sue versioni che riflettono una storia e una cultura musicale “importante”, anche l’Italia ha la sua piccola edizione local. Si chiama RomaPopFest e, dopo quattro anni di stop, per la sua settima edizione torna a elevare la bellezza di certa musica pop italiana indipendente. In un solo giorno si alterneranno sul palco gli Any Other, col loro indie rock flanellato debitore del 90s americano, il pop multiforme e colorato di Andrea Poggio, il cantautorato intimista di Germanò, la psichedelia vagamente sixties dei romani Weird Bloom, sino alle derive synth pop di Lucia Manca. Tra abbracci twee e sorrisi diabetici, stasera non ci resta che lasciarci guidare da un motto di qualche anno fa: “Indie pop kids of the world united”.