Le opere di Arena hanno sempre una duplice forza motrice, che le spinge in avanti – nel tempo e nel luogo in cui vengono pensate e realizzate – e le rende immediate e riconoscibili. La prima deriva dall’impatto principale, quello della materia diversa che l’artista utilizza ogni volta, con cui gioca seriamente. La seconda forza è quella simbolica che appartiene alla pratica lavorativa di Arena sin dai primi gesti, dalle prime opere. Simbologie e rimandi spazio-temporali sulla distanza tra cose e persone. Tra contesti differenti, spesso immersi nella natura, ma dove la temporalità calcolata e la storia fanno da fili conduttori.
In Tre sequenze per voce sola è difficile non pensare, una volta che si è stati li dentro, al rame scelto appositamente per restituire una resa specchiante all’interno dell’opera, ma opaca all’esterno. Angolo Scontento (Hommage à la mort de Sigmund Freud) è infatti una grande installazione triangolare, appesa dall’alto, che obbliga l’utente della mostra ad aggirare l’ostacolo, girandoci intorno e interagire con lo spazio della galleria in maniera limitante, ma con nuove prospettive su questo stanzone bianco un po’ complesso perché fatto da diversi piani angolari. All’interno dell’opera, sospesa ad una altezza mediana per il pubblico, è seduta una persona nata nel ’39, l’anno della morte di Freud. Un ricambio generazionale, un passaggio di consegna tra la morte e la vita, tra la mancanza e la perpetuazione di un pensiero che prosegue e si moltiplica come il volto della persona seduta specchiato più volte all’interno del grande triangolo. Francesco Arena fa partire da qui la mostra composta in tre atti alla galleria di Raffaella Cortese. Tre opere pensate appositamente per gli spazi della galleria, come del resto fece per la prima personale in galleria nel 2015. Tre atti come a teatro, dove infatti, oltre alla materia tangibile selezionata, come il rame o il marmo grezzo – seppur raffinatissimo – scavato al centro per inserire delle agende che riportano le date e il periodo successivo alla morte e il conseguente processo di Stefano Cucchi, Marmo con 3274 giorni – subentrano altri leitmotiv legati ad altri ambiti come quello della musica, della nostra storia culturale e sicuramente quella personale dell’artista. Nel mezzo, come una pausa riflessiva, c’è Linea finita (Orizzonte Gianluigi): una lunghissima bobina, allungata e realizzata manualmente, di 4.630 metri in cui Gianluigi, amico dell’artista, racconta la sua vita “a staffetta” – dice la densa voce narrante del protagonista -, ovvero tra un pensiero e l’altro con rimandi al suo passato, o a momenti appena vissuti come la morte di Bruno Ganz, avvenuta recentemente. Arena ha chiesto a Gianluigi di realizzare questo lungo tributo agendo secondo le regole della sua pratica lavorativa: l’artista ha calcolato infatti la distanza dello sguardo, dell’occhio, dell’amico mentre guardava l’orizzonte del mare. Una visione poetica, ma anche rigorosa e studiata. Senza libretto d’istruzioni non è mai semplice guardare Arena, che fa sforzare il suo pubblico, con l’aiuto di materiali speciali.
Written by Rossella Farinotti