«This revolution is faceless», diceva Wu Ming dopo il suicidio rituale di Luther Blissett. Sono passati poco più di due anni da quando la “vrenzola” Lia Febbraio, protagonista del video di “Nove maggio” – girato come gli altri del progetto da Francesco Lettieri -, si perdeva per le vie di una Napoli estremamente glocal, portando alla luce la musica di questo nuovo misterioso artista, Liberato, e la sua miscela di tradizione popolare, quindi anche neomelodica, e suoni dal pop contemporaneo.
Poco più di due anni in cui è successo e si è detto di tutto: la boutade (?) del Mi Ami, le ventimila persone sul lungomare partenopeo, Moroder, Club2Club, Sónar – sullo stesso palco dell’omologa spagnola Rosalia, che da lì a poco avrebbe spiccato il volo internazionale – e tanto altro, fino ad arrivare all’album d’esordio omonimo, uscito, come vuole la tradizione liberatesca, proprio il nove maggio di quest’anno. Un sottile gioco di sottrazione nell’epoca dell’ipertrofia digitale – no interviste, pochi social e solo per comunicazioni di servizio, nessuna faccia.
Operazione di marketing? Collettivo? Livio Cori? Carcerato a Nisida? Non è dato sapere chi o cosa si nasconda dietro quel bomber e quel cappuccio, possiamo però provare a ragionare su cosa rappresenti per Napoli questa sorta di moderno Masaniello, riscatto di una città troppo spesso bistrattata («È ‘na carta sporca, e nisciuno se ne ‘mporta»), da dove erano forse decenni che non usciva un fenomeno musicale di tale portata. E allora meno domande e più cuore, e il 22 giugno (festa trasformata in festival con Mc Bin Laden, Bawrut, Tiger & Woods, Dengue Dengue Dengue, K-Conjog e Napoli Segreta) occhi chiusi e polmoni aperti per quell’inno d’amore ultras che è «Un giorno all’improvviso mi innamorai di te».
Written by Shinobu Hosokawa