A un certo punto, in un momento imprecisato del 2017, cliccando su tutte le iconcine degli utenti di Bandcamp (sempre sia lodato) si finiva, seguendo una o l’altra strada, sul medesimo disco. Una copertina quanto mai anonima, per non dire brutta, con un incastro di quadrati color pastello, ma non appena si cliccava sul triangolino ecco che si spalancava un universo di musica. Un caleidoscopio dentro cui guizzavano canoni minimalisti, echi di musica sacra e ceffoni di drone-music. Ellen Arkbro ne eseguì una buona parte al festival Le Guess Who? dello stesso anno e sembrava di assistere a una partita a ping-pong al rallentatore, rimbalzando tra bordoni d’organo e sonorità elettroniche come una pallina in acido.

È da allora che aspetto di rivedere muoversi quella pallina, e quale luogo migliore di Santa Maria Annunciata, con il suo organo illuminato da neon violetti. Una compatta sala d’attesa sacra, ideale per accogliere i “Sounds for waiting” che danno titolo e sostanza all’ultima uscita di Ellen Arkbro. Aspettare, d’altronde, è l’attività ideale per questa epoca senza futuro. Attendere cosa, che sia la redenzione, la guarigione o l’estinzione, non è dato saperlo. Magari ascoltando bene ci facciamo un’idea.