La sala buia è avvolta nella musica di Bach, stiamo ascoltando la Passione secondo Giovanni, il sipario si alza e la scena, inserita in una cornice luminosa, si presenta come l’interno di una casa. Inizia a cantare il coro, entrano i primi danzatori ed improvvisamente tutto si interrompe. Le situazioni che si susseguono, costantemente in penombra, costringono lo spettatore ad osservare meglio, a pensare che, come in un sogno, qualche dettaglio, qualche gesto sfuggirà sempre alla vista. I danzatori sembrano reali ma allo stesso tempo i loro movimenti scomposti, robotici, li trasportano in una dimensione distopica, immediatamente il mio immaginario entra in uno dei romanzi di Philip K. Dick e da lì mi faccio trascinare in questo mondo surreale. Situazioni apparentemente normali, comuni, della vita di tutti i giorni precipitano nell’assurdo. Noi spettatori abbiamo il ruolo di spia in questa cornice, in questa casa che a tratti sembra il set di una sitcom, a tratti invece l’unico posto sicuro in un mondo apocalittico. I danzatori, in una magia che solo chi sa usare il proprio corpo alla perfezione conosce, si muovono sul palco con movimenti scomposti, scattanti, come se fossero bambole animate e allo stesso tempo, risultando fluidi e bellissimi. C’è della bellezza anche nell’inquietudine, i ballerini si trasformano in mostri con quattro gambe e quattro braccia, diventano esseri enormi che entrano ed escono dalla casa, creano un rito. La Veronal in questo spettacolo porta in scena un mondo apparentemente reale e riconoscibile ma che si rivela sempre altro. L’unica àncora per lo spettatore rimane la musica, brevi parentesi, dove riconosciamo una canzone, un pezzo, una melodia e ci rilassiamo, per un po’, finché anche quel momento non viene distorto e trasformato. Alla fine dello spettacolo, che ci ha rapito e stravolto, ci resta una sola domanda, che mondo potrebbe essere senza passioni?
Written by Francesca Rigato