Bisogna entrare a piedi a Villa Ada: riprendersi lo spazio e conquistarselo, aspettare la folla stretta stretta sotto palco. Sembra tutto giallo, anche se è notte, il caldo che affievolisce, si sente ancora il check delle chitarre, e poi le luci diventano blu, sugli alberi tutt’attorno. Quel fresco sulle spalle di cui c’è bisogno. E poi il palco, così caro all’estate romana: sembra perfetto per il ritorno di Motta in città. Proprio qui il cantautore toscano ha trascorso quel tempo necessario a una consacrazione già arrivata il primo album, “La fine dei vent’anni”. Del resto, sappiamo che “Sei bella davvero”, contenuta in quel disco, era per una trans romana, e per tutte le donne.
Motta è quella voglia di chitarra, quella voglia di batteria che si insinua piano piano e rimane lì. Motta è quella sorpresa italiana che nessuno si aspettava. È quel pezzo arrivato sul palco
di Sanremo. Indie? Rock? Indiepoprockdautore. Dopo quell’esordio sono arrivati altri due dischi e una consapevolezza diversa: “Vivere o Morire”, del 2018, e nel 2021 l’ultimo “Semplice”, dove non ci sono soltanto chitarre, ma archi e pianoforte incombenti, spazi e tempo che avevamo dimenticato. Una linea di basso sinuosa e questo disco suonato fra gli alberi della Villa diventa una pièce teatrale, un atto romantico e profondo, un momento idilliaco per le anime che cercano una solitudine condivisa. Come ha detto proprio questo cantautore: “Nella musica si possono condividere i silenzi della mente”, perché la solitudine non fa più paura, è solo un altro tuffo dentro se stessi.
Written by Manuela Maiuri