Lascia stare i sogni è la prima mostra monografica sull’opera di Yuri Ancarani. Curata da Diego Sileo e Iolanda Ratti, è in dialogo con l’altro progetto espositivo dedicato all’artista al MaMbo di Bologna, Atlantide 2017 – 2023, in cui viene approfondita la ricerca che ha dato vita al suo film omonimo. Ma è anche, non casualmente, coeva con la mostra di Bill Viola a Palazzo Reale, completando a Milano un continuum espositivo tra pratiche artistiche audiovisive di ieri e di oggi.
Il titolo della mostra è la citazione di un dialogo tra i personaggi di Atlantide, e ben espone la poetica di Yuri Ancarani: un’indagine filmica che si discosta da una rappresentazione incantata dei luoghi, dei processi e dei fatti raccontati, e che palesa, invece, una brutalità del reale nella semplicità delle sue contraddizioni.
Superata l’opera d’introduzione, Il Capo, si viene posti di fronte a una disposizione longitudinale di otto schermi che oscurano le vetrate del PAC, che diventano a loro volta delle finestre sulle cartoline audiovisive Ricordi per moderni, la serie di primi video girati tra il 2000 e il 2009 nella terra d’origine dell’artista: la riviera romagnola. Il sound design è un aspetto non secondario in questa mostra, e le due opere, così come le altre presenti, pongono l’accento sull’assenza della voce umana, la quale, venendo sostituita dal frastuono delle macchine, avvia una riflessione sul complesso rapporto tra uomo e tecnologia che caratterizza il capitalismo.
Proseguendo, vengono presentate due trilogie: La malattia del ferro (composta da Il Capo, Piattaforma Luna e Da Vinci) e Le radici della violenza (composta da San Vittore, San Siro e San Giorgio). Se nella prima viene esplorato il rapporto tra uomo, lavoro e tecnologia, nella seconda si compie un itinerario attraverso tre luoghi emblematici che dispongono l’esercizio della violenza e del “trauma” nel quotidiano: il carcere, lo stadio e la banca. L’opera di Ancarani si configura come un’indagine sulle forme di potere che regolano la società contemporanea. Il filo rosso che tiene insieme tutte queste opere è, infatti, lo svelamento della violenza come strumento tramite cui il potere viene esercitato, sia esso statale (San Vittore), del capitale (Il Capo, San Giorgio) o patriarcale (Il popolo delle donne).
Questa suddivisione dell’opera di Yuri Ancarani non risulta mai caotica nella mostra, che è invece un progetto antologico valorizzato da un percorso lineare, in cui gli spazi sono in equilibrio tra allestimento e sala cinematografica.
Written by Pietro Leonardi