1.500 metri di tessuto in seta, s’increspano, come onde, sul palco del Teatro Argentina . Una stoffa tanto raffinata da farsi metafora di ciò che è trattenuto appena tra ragione e sragione: il delirio. A darvi luogo è la produzione coreografica di Miet Warlop, artista belga che si colloca in un terreno composito, fatto di teatro, performance, arti visive e danza. “INHALE, DELIRIUM, EXHALE” non è una meditazione fatale, ma il debutto di una potente azione performativa.
Uscire dal solco, durante quell’atavica pratica dell’aratura, è il delirio nella sua accezione primitiva. Miet Warlop immette il delirio dentro la più comune azione umana: tra l’inspiro e l’espiro, a significare un’insufficienza o una via di fuga. L’artista affida alla traduzione simbolica del suo lavoro due immagini analoghe per irregolarità: l’onda del mare da un lato, lo stato mentale sopraffatto da pensieri tumultuosi e ineffabili dall’altro.
Inspirate ed espirate. Tirate dentro, buttate fuori. Concentratevi solo sull’aria che entra e che esce. Contare, aiuta. Finché non s’insinua un’onda imprevista, un pensiero stocastico che travolge, confonde e disorienta, risucchiando ogni speranza di presunto equilibrio. Vestito in seta, il delirio, si infrange e avviluppa contro i performer a galla (in scena). I loro corpi urtano la stoffa come si fa coi pensieri inamovibili. Per disfarsene, scacciarli, come si scaccia una mosca poggiata sul naso che costringe a ingrottare la fronte. Ma il pensiero – formato seta – si agglomera, accavalla e contorce. Sta tutto nella testa e nelle cavità dei corpi.
È lì, nella resa, che la performance sembra trasformare il delirio in un solco abitabile. Una condizione dalla quale è difficile disincastrarsi e dentro cui, allora, si gioca. Warlop rende quasi dilettevole ottemperare alla profezia più temuta – e non perciò più attendibile – dei nostri tempi.
Written by Jamira Colapietro