Where

Cinema Godard - Fondazione Prada
Largo Isarco 2, 20139 Milano

When

Sunday 26 October 2025
H 20:45

How much

€ 10/13

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“I’m taking a ride with my best friend,
I hope he never lets me down again.”
Never Let Me Down Again (1987)

C’è un modo in cui la musica parla della morte senza nominarla. Si tratta di un battito che vibra come un cuore ostinato, che non ha più vent’anni ma continua a guardare il buio in faccia.
Nati nei sobborghi industriali dell’Inghilterra dei primi anni ’80, in un’epoca in cui il synth-pop lasciava le discoteche, i Depeche Mode si sono imposti come precursori di un’elettronica oscura e sensibile. Da Basildon a Londra, con Dave Gahan, Martin Gore e Andy Fletcher, hanno mescolato la freddezza delle macchine con il calore del sentimento, tra catene di synth, drum machine pulsanti e testi che parlano di solitudine, peccato, desiderio e redenzione.
Il loro suono è un modo di celebrare la fragilità attraverso la macchina. Si affermano con Speak & Spell, per poi evolversi con Construction Time Again, Some Great Reward, fino ai capolavori violenti-eleganti di Violator e Songs of Faith and Devotion. Hanno attraversato le speranze degli anni ’80, i conflitti interiori dei ’90, l’alba del nuovo millennio, conservando sempre la tensione estetica tra l’industriale e il sacro, tra la fede nella melodia e la constatazione della perdita.

I Depeche sono una comunità sonora, un modo di stare al mondo. Memento Mori, il loro ultimo album, e ora anche un documentario, Depeche Mode: M, diretto da Fernando Frías de la Parra, è il punto in cui questo diventa corpo, memoria e rito collettivo. Una band che ha attraversato cambiamenti culturali e personali si guarda indietro con la lucidità di chi sa che l’arte è un modo di restare, con la fede laica nel legame che la band continua a tenere in vita. E forse è proprio per questo che un docu-film come Depeche Mode: M arriva come naturale conseguenza, più che celebrazione. 

Girato durante le date sold out di Mexico City, M lega la band ai fan attraverso l’occhio di Frías, che mostra come il pubblico diventi specchio, parte integrante di un rito che non parla più solo di suono ma di presenza, di ciò che resta quando il palco si spegne. Guardando il film e confrontandosi con le domande che solleva, si capisce che il vero tema dei Depeche Mode non è mai stato la morte, ma la possibilità di continuare a cantare nonostante tutto.

Milano sa cosa significa trasformare l’industria in cultura, il cemento in visione.
Portare qui Depeche Mode: M significa inserire la riflessione della band dentro un tessuto urbano che ha la stessa doppia anima: produttiva e poetica, concreta e spirituale. È un modo per ricordare che la cultura non è un museo di icone, ma un movimento continuo, un’onda che si rigenera. Come la band, anche il cinema cerca di interrogare il presente senza mai addomesticarlo, aprendo spazi per la memoria, la vulnerabilità, la trasformazione.

Guardare un film sui Depeche Mode significa chiedersi chi siamo noi, nel frattempo. Nei loro testi si respira la certezza che l’umanità non è mai tutta luce, ma anche ombra e limite. Eppure è proprio nella condivisione del vuoto che si crea connessione vera.
“Siamo più di un gruppo, siamo un culto” come ha detto una volta Martin Gore.

“All I ever wanted, all I ever needed
Is here in my arms.
Words are very unnecessary,
They can only do harm.”

Enjoy the Silence (1990)

La proiezione è preceduta da una conversazione tra il regista Fernando Frías e Alessandro Stellino, direttore artistico del Festival dei Popoli di Firenze.

Written by Gianluca Mariano Colella