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Tue 26.04 2016

Ecliptica

Where

Masada
Viale Espinasse 41, 20156 Milano

When

Tuesday 26 April 2016
H 21:30

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Plunge + TerzoPaesaggio

Caterina Barbieri al Path Festival di Verona

Quanto sappiamo di Ecliptica è che si comporrà di tre live, ciascuno dei quali rappresenterà una delle fasi di un’eclisse parziale di luna avvenuta tre anni fa. Ma quel che ne fa, nelle premesse, un evento inusuale è l’assenza di qualsiasi scelta artistica riconducibile intuitivamente aL tema. Piuttosto che “rievocare” l’eclisse come evento empirico, la scommessa sembra semmai quella di isolarne e riprodurne le suggestioni modificando il medium: dall’osservazioe all’ascolto. Tradurre in suono quel mix di sorpresa, meraviglia, angoscia e smarrimento generato dalla scomparsa della luna dal campo visivo con gli spasmi analogici acidi di Jung An Tagen. Ripensare il lento sopraggiungere del cono d’ombra nella forma dei sogni lucidi, ora eterei e ora inquieti, di Ensemble Economique. Ricostruire quei trenta secondi in cui l’ombra svanisce e il tempo pare fermarsi attraverso le meditazioni vocali sui suoni del Buchla di Caterina Barbieri. Un’eclisse sonora, nel vero senso del termine. In fondo, di concettuale c’è davvero poco. La sostanza, invece, abbonda.

KosmischeKommando

Il Buchla e i flussi di coscienza, la geometria come pratica per affinare l’arte percettiva, le differenze abissali nell’approccio alla formazione artistica tra Svezia e Belpaese (ma pure relativamente alla questione del genere nell’arte contemporanea), l’approdo su Important Records, l’analogico e il digitale: di tutte queste cose ci aveva parlato tempo fa Caterina Barbieri, venticinquenne originaria di bologna tra le migliori nuove leve in ambito sperimentale, che siamo tornati a interpellare per anticiparci qualcosa del suo concerto per Ecliptica a Masada e della presentazione del nuovo progetto Punctum al Nowhere Festival di Roma.

ZERO: Quando hai iniziato ad appassionarti di musica?
CATERINA BARBIERI: I miei mi raccontano che quando ero piccola piccola preferivo cantare che parlare. Quindi penso di aver iniziato ad amare la musica fin dalla prima infanzia. In famiglia se ne ascoltava tanta.

Ti ricordi il primo disco che hai comprato?
Il primo album che ho comprato autonomamente è stato Spice delle Spice Girls, ancora in cassetta. Il primo cd invece Hit Me Baby One More Time di Britney Spears.

Hai avuto un “maestro”?
Di maestri ne ho avuti tanti. Devo dire che sono stata fortunata perché negli anni ho incontrato persone che mi hanno trasmesso cose veramente preziose e hanno svolto un preciso ruolo chiave nel mio percorso di formazione, un po’ come nelle fiabe. Mi sento quotidianamente grata per questo. Un buon maestro può salvarti la vita. Credo profondamente nella trasmissione orale del sapere e nella relazione personale tra discepolo e maestro. Quando l’insegnamento passa attraverso esperienze di vita condivise e non semplici nozioni da applicare a un campo specifico acquisisce infatti un potenziale molto più trasversale e prezioso. Fra tutti ricordo con grande affetto il mio maestro di chitarra Walter Zanetti.

Cruciale nel tuo percorso di formazione è stata l’esperienza agli EMS di Stoccolma: come ti è capitata questa occasione?
Ho studiato musica elettronica al Royal College of Music di Stoccolma per un po’. Trovandomi là, ho iniziato anche a lavorare agli EMS, il conservatorio è molto ben connesso a tutte le realtà di musica elettronica esistenti nella città e in particolare a questi studi che rappresentano il centro nazionale di ricerca musicale sin dagli anni Sessanta.

C’è un insegnamento di questa esperienza – pratico ma anche teorico, di atteggiamento – che ti ha segnata in particolare?
L’approccio alla formazione artistica in Svezia è totalmente diverso da quello italiano. Mi ricordo il grande stupore della prima lezione individuale di composizione quando il mio maestro semplicemente mi chiese «Cosa vuoi fare?». Ero spiazzata, abituata com’ero ad anni di studio schiavizzante nel sistema educativo italiano. Là manca il culto feticistico del passato tipico dell’accademia italiana, quell’attitudine museale alla cultura che nullifica il potenziale individuale dello studente in nome di uno studio nozionistico che di fatto mummifica i giovani e li rende inetti a vivere ed esprimere il loro presente. C’è sicuramente molta meno consapevolezza storica (anche perché in Svezia non ci si sente vittime di un glorioso passato culturale come qui), ma si lavora molto sul responsabilizzare gli studenti con progetti personali e trattarli come individui creativi già dotati di una loro peculiare personalità artistica. Secondo me questo non solo è molto professionalizzante, ma anche vitale per produrre qualcosa di significativo nel presente.

Immagino che per la musica e per l’attenzione ai giovani tra Italia e Svezia ci sia un abisso: quali sono le maggiori differenze che hai riscontrato?
I giovani sono valorizzati più di ogni altra cosa nella società svedese e, soprattutto, non ci sono quel nonnismo e quella competizione intergenerazionale tristemente tipici dell’ambiente artistico italiano. Poi c’è una particolare attenzione a supportare le espressioni femminili nel mondo dell’arte contemporanea. C’è una scena musicale elettronica di compositrici donne molto vivace. Ed è così perché è fortemente voluta. Una manifestazione culturale specifica infatti (in questo caso la produzione musicale femminile) si afferma all’interno di un tessuto sociale soltanto se questo la ricerca e la supporta, se si sviluppa cioè una specifica richiesta in tal senso.

Il tuo è un suono molto geometrico. Da dove arriva questa inclinazione?
La geometria è una delle mie grandi passioni e penso che derivi da una mia naturale inclinazione all’astrazione. Mi piace quando l’arte riesce a dispiegare i concetti in maniera nitida e affilata, perché in questo modo può avere più chance di generare l’esperienza effettiva di quei concetti nella mente di chi contempla, come se riducendo all’essenziale aumentassero le possibilità di sviluppare nello spettatore quella spinta autonoma (l’unica vera forma di conoscenza) a scoprire i propri stessi meccanismi percettivi. Il filosofo francese Gilles Deleuze scrive: «La ripetizione non cambia nulla nell’oggetto che viene ripetuto, ma cambia qualcosa nella mente di chi la contempla». Così come la ripetizione, la geometria ha il potere di affinare la nostra arte percettiva e dunque conoscitiva, rivelando la continuità tra i piani del visibile e dell’invisibile, del percettibile e dell’impercettibile.

Quali sono stati i tre musicisti che hai ascoltato di più e che credi abbiano avuto un impatto maggiore sulla tua formazione?
Gli artisti che mi hanno influenzato di più non sono necessariamente quelli che ascolto di più. Comunque per andare proprio alla radice, direi i compositori minimalisti: La Monte Young, Steve Reich e Terry Riley.

Analogico o digitale?
Analogico e digitale sono semplicemente due diverse forme di rappresentazione e interpretazione della realtà, diverse superfici di conoscenza. L’uno è utopia dell’infinito, l’altro ne è l’approssimazione. Lavorare sull’ibridazione delle due diverse logiche può essere un’interessante modalità “cubista” per creare diversi piani di profondità e aumentare la complessità dell’oggetto sonoro, moltiplicandone appunto le superfici di conoscenza.

Se dovessi descrivere, non per forza con termini tecnici, il Buchla a una persona che non lo conosce, come lo faresti?
Il Buchla è una macchina intelligente nata per la sperimentazione sonora. Proprio come il nostro organismo riceve degli input, li rielabora e produce degli output. Se abbiamo voglia di giocare con questo strumento, dobbiamo essere aperti all’idea di pensare con esso, lasciare che il suo design modelli il nostro pensiero musicale e sia orizzonte creativo di concetti, come se si venisse a creare un sistema cognitivo integrato tra musicista e macchina, dove le energie fluiscono liberamente da un polo all’altro senza soluzione di continuità. La prima cosa che mi ha colpito del Buchla è che molti eventi sonori possono avvenire al di là del tuo controllo (si tratta di sistemi instabili) e la sensazione prevalente è che siano i suoni a manipolarti piuttosto che il contrario. Se la metti così suonare un synth può divenire quasi una pratica di meditazione o terapia, sicuramente un metodo interessante per esercitare flussi di coscienza. Poi sì, la caratteristica che rende questo strumento così unico e vivo è la sua forte componente di organicità, la sua capacità di generare processi sonori che hanno un’evoluzione naturale e che potrebbero essere verosimilmente prodotti da una specie biologica di un altro pianeta (come è stato messo in luce da molti musicisti di questo strumento…). Una volta, mentre lo suonavano ho cominciato a sentire il lamento di una voce roca, una follia totale. Era davvero inquietante, mi sono spaventata…

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Il buchla di Stephen O’Malley ( Sunn O)))), anche lui passato più volte per gli EMS di Stoccolma

Fuori dai luoghi comuni, è innegabile che poche sono le musiciste donne in ambito sperimentale in Italia. Forse nessuna nel territorio dell’elettroacustica. Hai avuto difficoltà, limitazioni in quanto donna prima o dopo l’esperienza in Svezia (dove dubito ci siano di questi problemi)? O semplicemente ti capita di doverti confrontare con il fatto di essere giovane e di sesso femminile?
Qui in Italia c’è ancora molta poca sensibilizzazione sulla questione del genere nell’arte contemporanea. Si tratta di un tema molto complesso, che affonda le proprie radici in archetipi e retaggi propri della nostra cultura ancora molto duri da scalfire. Come ad esempio l’archetipo culturale della maternità, per cui l’uomo italiano assimila la femminilità alla figura materna e la riesce a concepire soltanto in questi termini. Di conseguenza si sente minacciato dalle figure femminili che non lo incensano al pari di una madre. Entrano subito in competizione, perché si sentono a proprio agio solo quando riescono ad affermare la loro superiorità. Superiorità che viene spesso rivendicata in nome di presunte maggiori competenze tecnologiche. Ecco, la tecnocrazia è la roccaforte del maschilismo.

Come Alberto Boccardi e Alessandro Cortini, esci su Important Records: come sei arrivata a pubblicare per questa etichetta? Ci sono dei musicisti italiani che senti più affini al tuo lavoro?
Quando ho registrato i primi pezzi del mio album Vertical mi sono imbattuta nel lavoro di ELEH, un’artista che esce su Important Records. Mi sono innamorata della sua musica e di tutto il catalogo dell’etichetta, che pubblica e supporta alcune tra le produzioni musicali (sia del presente che del passato) che più mi hanno influenzato e che rispetto tantissimo. Penso che Important sia risalita alla mia musica tramite il magico mondo di Facebook. Quando mi hanno contattato avevo finalizzato solo due pezzi ma la cosa incredibile è che stavo lavorando a quell’album pensando proprio a loro e con l’intenzione di mandarlo non appena finito. Per quanto riguarda gli artisti italiani oltre al lavoro di Alessandro Cortini, amo le produzioni di Lorenzo Senni.

Che live porterai a Masada?
A Masada presenterò un live simile a quello che ho portato a The Long Now, un evento di 30 ore di musica non stop organizzato dall’Atonal a Berlino in collaborazione con Berliner Festspiele come manifestazione conclusiva di Maerz Musik – Festival for Time Issues 2016. Molti dei pezzi fanno parte del mio ultimo album, Virtual Fundament, che ho composto interamente sull’ER-101 dell’Orthogonal Devices e l’Harmonic Oscillator di Mark Verbos. Cercavo un sequencer che mi permette di salvare sequenze lunghissime e applicare operazioni matematiche per variarle e un’oscillatore con un design basato sulla sintesi additiva che mi portasse a ricavare l’ispirazione melodica dalla selezione delle armoniche del suono. Così ho deciso di farmi questo sistema, che è estremamente limitato ma compatto. Volevo partire da una matrice limitata di archetipi melodici e ritmici per poi espanderla durante il live tramite operazioni basate sui pattern. Ripetizione, permutazione, procedimenti sottrattivi e additivi. Uno dei pezzi che ho più a cuore, This Causes the Consciousness to Fracture, potrebbe durare dai 15 minuti a svariate ore, ma per il live ho dovuto lavorare a una versione molto ridotta e più cristallizzata. Ma per me questo pezzo rimane sempre un entità organica, generativa, dinamica. Come se fosse dotata di una propria vita cangiante, idealmente in grado di sviluppare le proprie leggi ed espandersi tramite decine di pattern derivati da un archetipo di partenza. Lo stile formulare di questo brano è alla base della sua natura organica, che intende il suono come “coming into being”, come agente di creazione. Tramite la ripetizione del suono mi piacerebbe esplorare il funzionamento dei nostri stessi meccanismi percettivi. Produrre uno stato di coscienza pattern-driven e modificarlo tramite la variazione del pattern stesso. Posto che l’esposizione alla ripetizione di un oggetto crei un certo stato di coscienza, o anche la metafora del campo gravitazionale funziona, l’introduzione improvvisa di un nuovo elemento che destabilizza e disattende le leggi del precedente stato di coscienza/campo gravitazionale permette di osservare il relativismo della percezione. Si genera una frattura della coscienza (This Causes the Consciousness to Fracture), un effetto di layering che rivela la sua natura multidimensionale (…allora ci rendiamo improvvisamente conto che accediamo soltanto a una minima frazione del nostro potenziale psichico).

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Caterina Barbieri al Path Festival di Verona

A Roma per Nowhere Festival sarai invece con un altro Progetto, Punctum, che condividi con Carlo Maria. Ce ne parli?
Non vedo l’ora di presentare Punctum, un progetto a cui tengo molto. Tra febbraio e marzo abbiamo fatto una residenza all’Elektronmusikstudion (EMS) di Stoccolma dove abbiamo registrato il nostro primo album e altro ancora. Abbiamo lavorato solo con la bass line TB303 e drum machine TR606 della Roland, ri-processate via Buchla 200 system. Volevamo sviluppare uno sguardo alieno sul suono leggendario delle “silver boxes”. Spogliarlo dei suoi attributi estrinsechi più culturalmente consolidati e proiettarlo in una specie di deserto dei sensi. Abbiamo lavorato molto di sottrazione, per ricercare un grado zero ideale che permettesse di tornare a percepire queste macchine come oggetti spettro-morfologici. Una specie di détournement dell’iconicità delle Roland. Oltre all’attitudine sottrattiva (a cui sia io che Carlo siamo affezionati) sono stati i moduli del Buchla e un forte processing timbrico digitale a fungere da “alien devices”.
Oltre alla release del nostro primo album Remote Sensing, con Punctum abbiamo parecchi progetti all’orizzonte qui a Berlino ma Roma ci è sembrato il luogo più adatto in cui fare la premiere di questo progetto dato che la line-up di Nowhere ci è subito piaciuta e siamo dei fan di LSWHR!!!

Intervista a cura di Chiara Colli

VINCI CON ZERO

Zero, Plunge e TerzoPaesaggio ti regalano due ingressi per Ecliptica (tessera del Masada comunque obbligatoria). Per partecipare, basta mandare una e-mail a contest@edizionizero.com specificando la città e l’evento di riferimento nell’oggetto e il proprio nome e cognome nel corpo dell’e-mail. Il vincitore sarà estratto tra tutti coloro che avranno partecipato entro le 12 del 26 aprile e sarà l’unico a ricevere una risposta via e-mail.

Written by Chiara Colli