Un tempo l’arte andava fruita con il massimo contegno e una buona dose di resistenza. Concentrati ed eretti, bisognava essere disposti ad affrontare chilometri di gallerie senza lamentarsi o sbandare. Se lo ricordano bene gli studiosi, costretti a portarsi sempre acqua e cioccolatini appresso per evitare l’inesorabile calo di zuccheri. Ora che l’edonismo ha definitivamente prevalso, anche il più sfigato dei musei ha il suo bar-ristorante con cui svenare i consumatori di arte e di alcol, ed è più che normale aggirarsi sbronzi tra tele e installazioni che, per la verità, spesso ne escono potenziate. Da quando poi lo stesso bere è diventato un’arte da coltivare con perizia e know-how, anche i bar si sono sentiti in dovere di trasformarsi in gallerie e sale performance, creando quindi intorno al milanese medio un paesaggio continuo di forme incerte, anomale, la cui stranezza dipende in proporzioni variabili dal tasso alcolico e dalla bontà delle opere che lo circonda.