La necessità di dividere le enoteche, chiamiamole ordinarie, da quelle naturali viene dall’incredibile ondata che questa categorizzazione sta producendo. Mio padre non riesce a farsi andare giù questa suddivisione. “Un buon vino è un buon vino”, come dargli torto. Il vino non dovrebbe che essere il miracolo che trasforma il mosto in uva, lo zucchero in alcol, espressione di terroir e tradizioni secolari. Nel vino però, molto spesso, non c’è solo il frutto dionisiaco, ma lieviti industriali, additivi, chiarificanti (come l’albume), derivati alimentari di origine animale e non. Almeno nel vino massificato, industrializzato, il vino che risponde alle logiche del sistema e non rispetta la terra e i suoi cicli vitali.
All’origine di questo movimento c’è un sentimento di protesta. Tornare alle origini, guardare al passato, avere più cura di quello che già è presente in natura, senza troppe sofisticazioni. Che il vino sia un prodotto dell’uomo e non della natura in senso stretto è chiaro a tutti, il suo intervento è fondamentale in questa catena produttiva, che parte in vigna e arriva in cantina. Quello che però interessa ai produttori biologici, biodinamici, insomma naturali, è capire come questo intervento possa essere limitato e arginato soprattutto se dannoso.
Parto dal presupposto che non amo la definizione naturale, perché al netto delle argomentazioni di natura agronomica – che pochi di noi capirebbero – in realtà la questione è più semantica. Questo significherebbe che esisterebbe dei vini non naturali, quando invece la questione non è così semplice, tanto che a oggi ancora non c’è una regolamentazione chiara per questa categoria di vini. Molto spesso questo termine è abusato, bistrattato, usato dal marketing in maniera indistinta e comunque lontana dal vero intento per cui i produttori si approcciano a questi metodi produttivi.
Come si produce un vino “non convenzionale”? Tra biologico e biodinamico le differenze sono numerose. Dice l’AIS: “Un vino bio deve quindi essere prodotto con uve bio. Questo tipo di agricoltura esclude l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi (i diserbanti, i concimi inorganici, i fitofarmaci di laboratorio…), ma autorizza l’impiego di altri prodotti protettivi quali rame e zolfo.” Mentre per il biodinamico non si ammette utilizzo di chimica in vigna, in cantina è ammesso una quantità di solforosa minima. Il risultato? Il gusto? Molti non riescono ad approcciarsi al vino naturale perché gustativamente parlando diverso da quello convenzionale. Espressione vera in parte. Il vino, in generale, ha bisogno di tempo e pazienza, anche nell’assaggio. Non siate frettolosi nel giudizio, si tratta comunque di vini generalmente diversi da quelli a cui siamo abituati.
Per non annoiarvi, e soprattutto perché il vino non solo si racconta ma soprattutto si beve, vi invito a farvi un’idea sul vino naturale nei luoghi in cui questo si consuma. Le fiere, in primis, che sono il momento per eccellenza in cui si degusta e si parla direttamente con i produttori. Fatevi un giro a La Terra Trema e al Live Wine, per capire di cosa stiamo parlando. Al resto ci pensano queste enoteche. Un vino naturale ha solitamente un prezzo più alto, motivo per cui ancora questa categoria può essere considerata una nicchia del mercato. Economia a parte, dopo queste esperienze tornerete a casa felici e soprattutto senza svegliarvi con il mal di testa il giorno dopo.