Farsi un giro per Garbatella vuol dire riscoprire – con un misto di invidia e “malinconia” per chi viene da fuori, con orgoglio per chi ci abita – un piccolo mondo antico fatto a misura d’uomo, alla cui base c’è un equilibrio tra spazi architettonici e spazi verdi, spazi comuni e spazi privati, muri portanti e alberi. Assaporare la possibilità di affacciarsi dalla finestra e finire con la testa praticamente dentro la cucina dei vicini, mandare a giocare i propri figli in cortile senza timore che accada qualcosa perché dei cento occhi che abitano un palazzo o un complesso abitativo, qualcuno che si affaccia a controllare c’è sempre, e così via. Si farebbe però un errore a considerare passato e nostalgia le uniche due coordinate di questa fetta di Roma: c’è la solidarietà e la comunità di luoghi come La Strada, La Villetta o Casetta Rossa; c’è la riscoperta del verde e del contatto con la natura che emerge forte tanto negli Orti Urbani del quartiere quanto in realtà ristorative attente alla filiera come Verde Pistacchio; ci sono tutti i trend più recenti dell’accoglienza quali mixology, birra e gelato artigianale, vino naturale; c’è l’arte urbana e la cultura, custodia in un teatro storico quale il Palladium o nell’hub di nuova generazione Moby Dick. C’è nell’aria il sentore di un’esplosione imminente (leggi gentrificazione) che però non esplode mai. E forse è proprio in questa formula magica ancora da decifrare che contemporaneamente ferma il tempo e lo manda avanti che risiede il segreto del fascino di questo quartiere.