Avrei voluto andarci per San Valentino e invece ci sono capitato per San Corrado, parlo del Confalonieri, quello che protegge gli assicuratori contro gli incendi e che piace tanto a Paola Zonca. Entriamo da Pacifico con la curiosità di chi vuole saperne di più di Jaime Pesaque, cuoco peruviano per eccellenza, fondatore del celebrato Mayta di Lima ed ora molti altri progetti in giro per il mondo.
Ambiente scuro e luci che scaldano l’atmosfera. Un gran bel bancone ci accoglie sulla sinistra e ci tuffiamo in un cocktail tour peruviano che deve essere per forza attorno al pisco: è il drink locale per eccellenza e da Pacifico ci hanno fatto una lista intera, preparata da Manuel De Santis, giovane mixologist di Pavia, con qualche esperienza in provincia e tanta gavetta all’estero.
Partiamo dal classico Pisco Chilcano, base pisco (marca 20 Nuovos Soles), succo di lime, ginger ale e amargo, che ha tutte le caratteristiche rinfrescanti dell’originale, diffuso in Perù da immigranti italiani sulla fine del diciannovesimo secolo. Basta un sorso per entrare nel tema del locale e della cucina peruviana, un crocevia di incroci tra sud America e altre culture, soprattutto l’asiatica. Per fortuna siamo in due, l’altro drink è un Cala Salada, un Pisco a base tequila al sancha tomate, lime, siroppo di agave, mezcal, curaçao secco, sale di sedano e bitter al sedano, meno dolce e molto tonificante, almeno a giudicare dal sorriso beato della mia compagna (l’alcol lo regge poco, se non sto attento, più che far colpo la dovrò portare a casa in braccio).
Una lista tutta Pisco a Milano è una bella sfida. Oltre al classico Pisco Sour, torneremo presto per provare il Pisco alla Milanese, con zafferano e chiaro d’uovo e il Bloody Zen con pomodoro e wasabi.
Ci portano chips di camote, tipica patata dolce peruviana, e platano. Non siamo a chilometro zero e lo apprezziamo moltissimo. Non ci facciamo certo problemi per una patata che arriva dal Perù, soprattutto da quando hanno sciolto mezzo Polo Nord per portare Ludovico Einaudi (in elicottero, immaginiamo) a suonare il pianoforte in mezzo ai ghiacci.
In cucina in questi giorni c’è Wilson (il secondo di Pisaque), che ci prepara un welcome di salmone in ciotola di marmo, se non avessero coperto i Navigli potremmo dire che è arrivato via chiatta dal Lago Maggiore e scaricato proprio qui dietro, al Tombon de San Marc.
Il bagno ha una carta da parati con un’onda molto simile a quella di Hokusai e soprattutto ci ricorda che il Perù non è poi così lontano dal Giappone, le onde basta saperle aspettare. Infatti nel menu ci sono molte proposte nikkei fusion e diversi piatti della tradizione cinese. Proviamo una selezione di dim sum, davvero ottimi, con gamberi e manzo al basilico thai e ancora cavolo cinese, carote e funghi. Meravigliosi.
Per un attimo ci chiediamo come faccia quel Wilson a muoversi in una cucina così lunga e stretta. Per fortuna tra qualche mese si allargheranno alla copisteria di fianco. Ormai le fotocopie non le fa più nessuno e a dire il vero gli stampatori del quartiere non hanno mai avuto una gran fortuna (qui davanti c’erano le rotative del Corriere della Sera, quel quotidiano che facevano a Milano… ricordate?).
La specialità della casa è il ceviche. Ci buttiamo sul ceviche chirimoya, a base di un frutto amazzonico che ha un sapore tra ananas e banana e piaceva moltissimo a Mark Twain. Se non lo conoscete, dovrete assaggiarlo quanto prima. Nel ceviche di riccola lo mettono a fettine scottate, ovviamente con pesce e leche de tigre (la base del ceviche, con succo di lime e brodo di pesce). Proviamo anche il ceviche puro con branzino, leche de tigre e cipolla rossa. Sono i piatti di Pisaque.
Alle nostre spalle c’è un neon con una frase di Ernest Hemingway: “My big fish must be somewhere”. Gli sarebbe piaciuto questo antipasto ma certo, avrebbe protestato perché a questo bancone non si può fumare e poi avrebbe tirato un diretto destro a qualche cliente del ristorante. Alla fine il Pisco Sour e il Pisco alla Milanese li ordiniamo per davvero ma con un’accortezza: dovrò bermeli entrambi io e devo promettere che non farò a cazzotti con nessuno.
Tra le carni, ci buttiamo sul meglio, il tiradito wagyu. Si tratta di carne di manzo Kobe di una razza che ha una carne deliziosa, morbidissima, con strati di grasso intramuscolare che la rendono meravigliosa quanto una lastra di marmo rosso. Ci piace anche il piatto quadrato smussato di sasso. Finisce troppo presto.
C’è stato un tempo in cui avrei voluto fare la guida ai cocktail analcolici di Milano: mi avevano ritirato la patente e mi ero lanciato in un periodo di morigeratezza, per fortuna ormai dimenticato. Per chi volesse stare su questo tema, da Pacifico c’è una pagina di drink fatti con Holy Water, acqua prodotta in Italia con vitamine e vari altri ingredienti salutisti.Li proveremo la prossima volta, stasera volevamo lasciarci andare all’atmosfera romantica. I cocktail hanno dato una bella mano, non c’è che dire. Avremmo preso volentieri un terzo pisco ma è arrivato il tempo di avvinghiarci. Il dolce lo proveremo la prossima volta. Siamo sicuri che torneremo presto.
Corrado Beldì