Nella scena finale di C’era una volta in America, Robert De Niro si rintana in una fumeria d’oppio cinese per dimenticare i suoi peccati. Penso sempre a questa scena quando passeggio per via Paolo Sarpi, il centro della Chinatown milanese.
Ogni volta spero di trovare una porta, un cortile, un passaggio spazio-temporale che mi porti via da Milano. Spero di incontrare un tizio con i baffi lunghi da gatto che con un cenno del mento mi indichi la strada maestra, la via di accesso alla felicità dello spirito. Fa un po’ questo effetto Chinatown, quartiere mistico, modaiolo e di malaffare.
Con le insegne in doppia lingua, le lanterne rosse scolorite, i vapori del brodo bollente che appannano i vetri dei ristoranti e le immancabili tracce di vomito sul marciapiede la domenica mattina. Se fossimo nei ruggenti anni venti, il quartiere giusto per dimenticare tutti i nostri peccati sarebbe stato sicuramente Chinatown.
È infatti a partire dal 1920 che la zona venne chiamata “quartier generale dei cinesi”, luogo operoso di lavorazione della seta, famoso soprattutto per la produzione di cravatte.
Paolo Sarpi è simile a una via del grande west, una main street che taglia in due un quartiere-città, che come un bozzolo da seta si chiude a nord con Via Procaccini e a sud con Viale Elvezia.
Sarpi non è solo Chinatown, ma una scatola cinese a cielo aperto che contiene mondi infiniti: milanesi alto e medio borghesi, immigrati calabresi che non hanno mai perso l’accento nemmeno dopo 50 anni, designer sia milanesi che calabresi, musicisti da balcone, amanti della boxe, street artist, quelli fissati col vino buono, quelli fissati con gli hotpot, quelli fissati con i karaoke.
Per semplificare la complessità di Sarpi, seguirò la regola, da me appena inventata, delle 3 emme: mistico, modaiolo, malaffare.
Sarpi è dove i credo si incontrano e generano kitsch, fanatismo gastronomico e fenomeni paranormali.
È noto a tutti che l’emisfero nord di Chinatown sia un’area esoterica, per pochi iniziati. La maggior parte dei visitatori si limita ad arrivare al Mc Donald’s e non osa spingersi oltre.
Ma per chi avesse coraggio, oltre il Mc Donald’s, imboccata via Lomazzo fino alla fine dell’asfalto, si trova una sorprendente riproduzione in scala naturale della grotta di Lourdes. La Basilica Prepositurale di Santa Maria di Lourdes, con la sua raggiante gaiezza fa da contraltare alla seriosità gotica del Cimitero Monumentale. Ottima photo opportunity per un bel selfie con la Madonna e piccioni focomelici.
Sarpi è dove i credo si incontrano e generano kitsch, fanatismo gastronomico e fenomeni paranormali.
Lasciandoci il grande nord alle spalle e riprendendo via Lomazzo troviamo un altro luogo di culto: La Chiesetta, tempio di un’intera generazione di millennials. Parliamo di old millennials, 35+, quelli a cui hanno rubato il futuro e non hanno paura di perdere anche la dignità. Provate i chupitos di Don Angel e scendiamo tutti in piazza a riprenderci quello che ci hanno tolto.
I gironi infernali si fanno sempre più lussuriosi con il tempio della carne, La Macelleria Sirtori, e il tempio del Raviolo, Ravioleria Sarpi, uno dei più riusciti esempi di integrazione gastro-economica tra italiani e cinesi. In poche parole Walter Sirtori, il re della carnazza di Sarpi, è il fornitore ufficiale della ravioleria, la combo è micidiale.
Ma il vero sacerdote di Paolo Sarpi, il profeta visionario di una nuova era, devoto alla scheda madre è Johnny Aggiustatutto, J Fix per i più intimi. Il bello di Johnny è che ti salva sempre. Quell’iphone recuperato dal cesso del BUKA che non hai ancora finito di pagare è in ottime mani. J è l’unico che può veramente riportare in vita cose morte.
MODAIOLO
Sarpi è dove l’eleganza eterna incontra l’effimero della moda, e perde.
Mister Wang Sang, detto “il romanino” per via del suo amore per la Capitale, fu il primo cinese ad aprir bottega in quello che un tempo era chiamato Borgo degli Ortolani. Con Mister Wang, Sarpi diventa ufficialmente Chinatown. La sua famiglia ancora oggi gestisce l’Oriente Store all’incrocio tra via Bramante e via Paolo Sarpi. Due piani pieni zeppi di arazzi, sete, porcellane, bastoni intarsiati, spade tradizionali, vasi, ventagli e poi un’infinità di gattini di ogni forma e foggia. La storia di Mister Wang, morto ultracentenario e sepolto al Cimitero Maggiore con grandi omaggi da tutta la città, è la storia di un’idea: portarsi dietro la bellezza del proprio Paese e creare un’estetica, un gusto nuovo nel Paese di adozione. Peccato che la Cina di Mister Wang fosse un’altra cosa rispetto alla Cina che gli italiani cercano nei gattini portafortuna.
Sarpi è dove l’eleganza eterna incontra l’effimero della moda, e perde.
L’altro caposaldo dell’eleganza in Chinatown è la Cappelleria Melegari, che dal 1914 dà lezioni di stile un po’ a tutti. Mi chiedo sempre quanti Campari si saranno tirati giù Mister Wang e il Signor Melegari dopo aver tirato giù la loro clèr.
Neoretrò e Avanguardia antiquaria, in Via Canonica, sono invece due wunderkammer dove passare i pomeriggi per poi uscire e ricordarsi di possedere solo una dannata Billy dell’Ikea.
Una dannata Billy dell’Ikea da riempire con i libri della Librosteria in via Cesariano 7, dove oltre a trovare una rarissima selezione di titoli usati, si fa cultura, si fa vita di quartiere, ci si siede al sole e ci si sente subito a posto con la coscienza anche al quarto bicchiere di rosso.
Sarpi è dove la malavita ha ceduto il passo alla dolce vita.
Quando mi sono trasferita in Sarpi nella prima metà dei 2000, vivevo in un cortile di ringhiera appena sopra un internet point cinese. Una mattina alle 7 in punto un cinese stralunato mi bussa alla porta, trema, non parla italiano e si piazza a casa mia facendo gesti di preghiera con le mani. Dopo 10 minuti di contrattazione, capisce di essere un po’ inopportuno e decide di tornarsene alla sua di vita, lasciando me alla mia. Eravamo nel pieno di una retata, la polizia aveva scoperto che l’internet point sotto casa mia era in realtà un albergo illegale dove per 10€ a notte potevi alloggiare sulle comode sedie ergonomiche davanti agli schermi dei computer.
Sarpi è dove la malavita ha ceduto il passo alla dolce vita.
La Mala cinese era molto più rude ed efferata nei primi 2000. Ammazzava per strada, spacciava droghe sintetiche, promuoveva il gioco d’azzardo, la prostituzione e il racket ai danni dei piccoli commercianti locali.
Il luogo di riferimento della Mala era il Milan by night di via Signorelli, un karaoke bar dove i boss si sfidavano a colpi di stecche vocali e grappe maleodoranti.
Adesso non c’è traccia per strada di quel passato glorioso, le gang si sono placate, i soldi girano in altro modo, i negozi e i bar sono eleganti e accoglienti, forse anche troppo.
Rimane comunque qualche nostalgico che fa tappa al Diamante Bar, ex strip-club, a parlare di Zhou Wei, il boss ragazzino detto “il Ballerino”, assassinato a 20 anni per un regolamento di conti o di Hu Libin, detto Limin, anche lui morto a 22 anni in una sparatoria.
Se siete arrivati fino a qui, lo so, è soltanto perché volete sapere qual è il miglior ristorante cinese di Sarpi.
Per me è Da Zhong, in via Aleardi, l’esperienza più hard core, più mistica e meno modaiola di sempre.
Ma che ne sapete voi della bellezza di mangiare accanto a un cinese che scaracchia a terra mentre guarda Dragon TV.
Inoltrati nei quartieri sul nostro profilo Instagram.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2020-09-10