Chissà se nel lontano 1805, quando salì sul Monte Sacro a giurare di liberare i popoli del Sudamerica, Simón Bólivar poteva mai immaginare che la campagna tutta intorno a sé due secoli dopo sarebbe diventata non solo un quartiere di Roma, ma anche uno fra i più vivi della Capitale, punto di riferimento per un’intera parte della città. Lontana dai circuiti turistici, per molti romani e tanti forestieri Montesacro è stata una scoperta soltanto recente, frutto dell’apertura di molti bar e ristoranti nell’ultimo decennio – e in particolare nell’ultimo lustro – soprattutto lungo viale Gottardo. Per molti altri, invece, la Città Giardino sorta negli anni Venti in riva all’Aniene rappresenta da sempre lo sbocco naturale per un intero quadrante della Capitale e per tutti quei quartieri che proprio intorno a Montesacro sono nati nel XX secolo e anche in anni recenti: Tufello, Talenti (nata come Monte Sacro Alto), Vigne Nuove, Val Melaina, Nuovo Salario e ancora oltre.
Una città nella città che oggi prende il nome di III Municipio, ma che nel cuore porta ancora il vecchio numero IV, fonte d’ispirazione per il nome della crew hip hop Quarto Blocco, in cui si sono formati Achille Lauro e soprattutto Frenetik&Orang3. La storia di Montesacro affonda le proprie radici in quella dell’Antica Roma: fu qui infatti che la plebe romana si ritirò, in conflitto con i patrizi. Il primo “sciopero” popolare della storia, nel 494 a.C., ricondotto all’ordine dall’ingegno diplomatico di quel Menenio Agrippa il cui nome risuona ancora oggi in quello della piazza del mercato, di una delle migliori trattorie old school di zona e in un monumento funebre che sicuramente non poteva essere il suo stando agli studi archeologici, ma che trovandosi a ridosso del Mons Sacer non poteva che essere denominato come il famoso console.
La verità è che è impossibile scindere Montesacro dal “suo” fiume: l’Aniene.
Chi oggi passeggia per le vie che si dipanano dalla splendida Piazza Sempione – centro nevralgico del quartiere e scenografia cardine per chi ci arriva da via Nomentana – può ancora facilmente tornare indietro nel tempo, a quando poco più di cento anni fa da queste parti sorgevano solo ville e ci si dedicava alla caccia alla volpe. Basta scendere verso il Ponte Nomentano, amorevolmente chiamato “Ponte Vecchio” dagli abitanti del quartiere: antico avamposto militare della città, dove si dice che s’incontrarono Carlo Magno e Leone III e dove aleggerebbe ancora il fantasma di Nerone, morto suicida poco lontano. Il primo simbolo del quartiere, di certo quello più a stretto contatto con l’elemento fondante di Montesacro: l’acqua. Non c’entra soltanto la sorgente dell’Acqua Sacra, che dalla sua scoperta nel 1911 abbevera gli abitanti di zona. La verità è che è impossibile scindere Montesacro dal “suo” fiume: l’Aniene. Se il Tevere è stato in qualche modo affossato dai suoi muraglioni, il secondo fiume di Roma invece continua a fluire selvaggio e solo apparentemente impenetrabile lungo le rive che fiancheggiano Montesacro, in una dimensione quasi sovrannaturale che nei giorni più caldi ricorda la giungla e in quelli più plumbei rievoca certi paesaggi degni del romanticismo.
C’era il nome Aniene anche in quel Consorzio “Città Giardino Aniene” che ha dato vita, nei primissimi anni Venti, al quartiere come lo conosciamo: la nascita di Piazza Sempione con la sua chiesa, il suo Palazzo Municipale e una serie di altri edifici per ogni servizio di una città immaginata in equilibrio fra natura e Urbe. Un equilibrio fragile, messo a dura prova da una serie di interventi che hanno cambiato l’impianto originario immaginato nel progetto degli architetti Gustavo Giovannoni e Innocenzo Sabbatini: l’aumento delle case popolari e la sostituzione nel Dopoguerra di molti villini con palazzine più in linea con l’espansione edilizia di quegli anni hanno contribuito a rendere Montesacro il quartiere che è oggi, contaminato non solo nella sua architettura ma anche in una stratificazione sociale che riesce a far convivere l’animo popolare dei suoi albori con una borghesia più ricca e con i primi recenti accenni di gentrificazione hipster.
La Montesacro di oggi è invece sempre più un quartiere aperto e che della sua identità fa vanto per dialogare con il resto della città, offrendo a chi ci vive o ci esce uno spazio a misura d’uomo e ricco di verde in cui inebriarsi, rallentare, perdersi
Se l’eredità politica della lotta del quartiere durante la Resistenza e poi dell’attivismo che ha visto qui fra i suoi “martiri” Valerio Verbano sembra oggi essere passata al vicino Tufello, è anche vero che Montesacro è dal 1990 la casa di uno dei centri sociali più importanti di Roma: il Brancaleone. Insieme allo Zoobar e a quell’Horus che negli anni Novanta dominava Piazza Sempione, il Branca è stato uno dei poli più importanti del clubbing alla romana e per tanti anni l’unica vera attrattiva di una zona popolosa, ma che ha sempre dovuto lottare per guadagnare i suoi spazi di socialità (ricordiamo anche il Bencivenga). A questa assenza di spazi culturali ha provato a rispondere in questi anni il progetto “Grande come una città”, ma a Montesacro oggi mancano ancora teatri e live club propriamente detti e persino dei suoi cinema oggi ne è rimasto solo uno (e spesso a mezzo regime): l’Antares. E pensare che il vecchio cinema Espero – dove negli anni Ottanta dettero scandalo Schicchi e Cicciolina e scoppiò una rivolta popolare per un concerto dei CCCP – continua ancora a dare il nome a quell’area del quartiere ufficialmente nota come Sacco Pastore, nonostante oggi sia diventato una sala bingo.
Ciò che non è mancato in questi anni invece è la nascita di nuove attività che hanno dato linfa al quartiere e lo hanno reso attrattivo anche per chi oltrepassa l’Aniene venendo da altre parti della città. Oggi Montesacro è tutta un fiorire di nuovi bistrot, bar e ristoranti, ideali per una zona che vive sempre una più una duplice dimensione: tanto buen retiro per chi la sceglie come casa, alla ricerca dell’equilibrio perfetto fra la dimensione metropolitana e quella più umana e ricca di verde pubblico determinata dai suoi villini e dalla presenza del polmone verde dell’Aniene, quanto attrazione per moltissimi pischelli che vengono a passarci le serate, con conseguenti problemi di schiamazzi notturni che per la prima volta da queste parti fanno parlare di mala movida (e c’è chi addirittura sta già abbandonando Viale Gottardo in cerca di maggior quiete). Se poi in passato Montesacro era la zona mitica in cui Rino Gaetano scriveva le sue canzoni e dove nacque Claudio Baglioni – che alla casa natale in subaffitto coi muri che sudavano ha dedicato “51’ Montesacro” – nei decenni più recenti la musica è stata protagonista nel quartiere sia nelle sue vesti più pop (Mannarino, Galeffi) ma anche e soprattutto nel rap che dall’underground si è poi affermato nella scena nazionale, a riprova di un fermento irrefrenabile e attivo.
Per tanti anni l’Aniene è stato il limitare di un’area urbana apparentemente confinata in se stessa e che solo superando Ponte Tazio o il Ponte delle Valli poteva innestarsi nelle dinamiche di un’Urbe sempre più grande e geograficamente espansa. La Montesacro di oggi è invece sempre più un quartiere aperto e che della sua identità fa vanto per dialogare con il resto della città, offrendo a chi ci vive o ci esce uno spazio a misura d’uomo e ricco di verde in cui inebriarsi, rallentare, perdersi. Se l’ecosistema di locali eviterà di diventare ripetitivo e omologato, se l’anima del quartiere continuerà a contaminarsi senza snaturarsi e se questo piccolo miracolo urbanistico riuscirà a resistere alle sirene del cemento selvaggio e del guadagno facile, Montesacro sarà ancora the place to be di una Roma Nord che sfugge ai cliché e che orgogliosamente vuole essere qualcosa di diverso, fra metropoli e paese.