BookCity ha avuto una di quelle idee a cui prima o poi, ci auguriamo, anche le grandi fiere dovranno allinearsi. Un’idea tutto sommato semplice: evitare di essere una grande fiera e basta. Evitare quell’impronta da modello fieristico ottocentesco, grande e immensa, con decine di migliaia di persone raccolte in un luogo, accalcate l’una all’altra; la grande celebrazione di un ambito che, come spesso e purtroppo accade con ogni grande manifestazione, avviene, fa il botto e se ne va come niente fosse. Ecco, BookCity a nostro avviso funziona proprio perché il modello “diffuso”, che fa della città il suo “teatro”, che avviene nei luoghi e con le persone che il sistema dell’editoria qui a Milano lo fanno, rincara ogni anno l’importanza di tutta una filiera e delle maniere di veicolare pensieri. Insomma, BookCity si prende la città. Librerie, università, parchi, centri di ricerca, musei, fondazioni. Ovunque andrete, in qualunque quartiere, in qualunque via, state certi che troverete qualche cosa a pochi metri da voi.
S’assorbe tutto, siamo lo scottex dell’esistenza. Questa è la “Vita Ibrida”.
Il tema di quest’anno ha un titolo annoso: “La Vita Ibrida”. Ora, si può trattare l’argomento in tanti modi, ma a partire da uno li si può forse cogliere, almeno parzialmente, un po’ tutti: siamo porosi come spugnette usate, e benché si parli di resilienze di sorta – facendo della fatica un claim di resistenza e sopportazione – ogni cosa che ci capita attorno è parte di una nostra postura, sia fisica che intellettuale o propriamente di pensiero. S’assorbe tutto, siamo lo scottex dell’esistenza. In altri termini, c’è insomma un riflusso continuo tra le cose, tale per cui ogni cosa è sempre a rischio di essere confusa e assimilata ad altro, di perdere i propri contorni. Chiaro che a volte è un bene e altre è un male, e qui stanno i distinguo per una salubre ibridazione. La vita ibrida a cui ci si riferisce è quella ibrida perché si ibrida col lavoro, ragion per cui si fa fatica a staccare un po’ perché bisogna tirare a campare, un po’ per abitudine e un po’ per coazione. E allora la vita ibrida richiede di essere ripensata e raccontata ancora. Ibrida perché la comunicazione dimostra sempre e continuamente che si può dire tutto di tutto, no matter what: tutto è raccontabile, ma quando tutto è dicibile vuol dire che qualcuno non vede al di là e che tutti parlano la stessa lingua, e allora la comunicazione è complice, a volte, di un certo doppiogiochismo. E allora va ripensato anche questo. Ibrida perché digitale e sociale non smettono di contaminarsi. Ibrida, insomma, perché ogni corpo che vive è relato ai corpi che ha intorno, perché non esiste informazione singolare, racconto solitario o sguardo solipsista. Tra chimere felici, cyborg per vocazione e biofilie che mescolano la vita con altre vite, i temi sono tanti ma l’invito di BookCity è uno: cercare un filo sensato e trasformativo nella matassa della complessità di questi momenti, a costo di mettervi di fronte a centinaia di eventi. Centinaia.
Andiamo quindi con ordine tematico. L’ibridazione della vita richiede innanzitutto di intercettare le riflessioni carsiche, i filoni più profondi. L’evoluzione di homo e il suo rapporto con quel paesaggio complesso che si chiama “natura”, e qui Andrea Staid e Marco Aime imbastiranno un ottimo dibattito attorno all’antropologia più recente all’ADI Design Museum, ma anche il Telmo Pievani in Triennale che rifletterà sui rapporti tra uomo e animale. Ovviamente non potevano mancare i nodi indistricabili tra digitale e sociale, tra reale e virtuale (al MEET e alla Biblioteca Dergano Bovisa) – con focus su AI, democrazia, cyber security ecc. – e i conseguenti rapporti tra realtà e finzione nell’era indubitabile della post-verità e della politica delle emozioni e dei romanzi dei sentimenti.
Una sezione importante è dedicata alla storia, a quel passato che, in una lunghissima notte dei mai-morti, torna puntualmente e con forza a riconfigurare il presente. Trent’anni dalle stragi mafiose in Sicilia, cento dalla Marcia su Roma, lo spettro della guerra e della recessione che incombe. Non è mai troppo tardi per cominciare a rifletterci, ma forse era meglio cominciare prima.
Milano Racconta Milano propone invece un ricco palinsesto di autrici e autori e scrittori e pensatrici e realtà disparatissime che racconteranno la città meneghina. Dall’eventificio al passeggio all’impresa all’architettura, con figure come Paolo Cognetti, Lucia Tozzi, Malika Ayane, Jonathan Bazzi e storie d’impresa fondative per Milano come la Pirelli.
Un buonissimo spazio per le falangi guerrigliere dell’editoria, è I mestieri del Libro, altri momenti dedicati alla cultura libraria e alle fatiche di Sisifo del lavoratore editoriale, e qui ricordiamo come sempre le malie e le lotte del Bianciardi che male non fa. Si parla dell’evoluzione del settore, con le nuove modalità di consumo, le sempreverdi statistiche, il dramma attuale e mai finito dei prezzi della carta e allora della sostenibilità della produzione fino agli orizzonti di scrittura che si stanno imponendo qua e là.
Riconoscere non nella “letteratura” o nel “letterario” ma nella facoltà immaginativa del racconto un percorso decisivo per ricostruire un paesaggio e un orizzonte d’azione.
Potremmo davvero andare avanti all’infinito, di sezioni ce ne sono molte altre: dalla Guerra in Ucraina ai rapporti tra scienza e ambiente fino all’incremento della voglia sportiva e dei temi legati alla salute nel post-lockdown, passando per la cucina a Cascina Cuccagna e per il palinsesto dedicato ai bambini, fino alla classica sezione de La Lettura Intorno (che compie due anni) con tutto il lavoro di prossimità nei quartieri di Baggio, Corvetto-Chiaravalle e Stadera-Chiesa Rossa-Gratosoglio e con un grande programma di incontri dedicati ai grandi narratori dall’Italia e dal mondo. Ci saranno Roberto Camurri con la sua bellissima saga di Fabbrico edita da NN, Carofiglio, Missiroli, e tanti altri. Nello stesso contesto tornano poi i BookCity Milano Papers, imperterriti dopo il successo del format online del 2020, raccogliendo l’internazionalità letteraria che ha colpito i nostrani. Per citarne soltanto alcuni, c’è Joshua Cohen (per Codice edizioni, che spinge come un trattore) che racconta la struggente ascesa di una delle figure politiche più ambigue di questi anni, Netanyahu; Jason Mott (sempre NN) che racconta l’invisibilizzazione ancora in atto nel pregiudizio razziale come promessa di una vita e come condanna, ma anche Sheena Patel (per Blu Atlantide) che scrive un libro sull’ossessione amorosa e lo stalking con una crudezza che qui ancora scarseggia.
Insomma, i temi sono tanti. Gli inviati di più. Gli eventi non possono nemmeno essere contati. Ma bisogna sapersi orientare, questo è il punto. E un passo è riconoscere non nella “letteratura” o nel “letterario” ma nella facoltà immaginativa del racconto un percorso decisivo per ricostruire un paesaggio e un orizzonte d’azione, di pensiero, per fronteggiare quella complessità sempre crescente che, volenti o nolenti, ci troviamo davanti. Un po’ di speranza passa da qui, e per fortuna ci si diverte anche.